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Esselunga combatte l’inflazione, ma azzera gli utili

Esselunga paga cara la lotta all’inflazione: il primo semestre del 2022 si è chiuso con una tenuta delle vendite, ma un sostanziale azzeramento dell’utile netto per via del contenimento dei prezzi. Una circostanza piuttosto sorprendente – il gruppo di Limito di Pioltello si è sempre segnalato nell’ambito della Gdo per gli ottimi risultati finanziari – ma che bene esemplifica le tante insidie di questa fase economica. Esselunga rivendica, infatti, di aver difeso il potere di acquisto dei suoi clienti, con una riduzione tra il 6 e l’8% dei prezzi a scaffale di oltre 1.500 articoli. L’operazione, realizzata dall’11 novembre 2021 al 30 aprile scorso, ha comportato un importante investimento e di qui l’impatto assai pesante sui conti.

La semestrale si è chiusa con vendite per 4.322,1 milioni di euro, in lieve contrazione (-0,2%) rispetto al corrispondente periodo 2021 che era andato in archivio con +6,7%. Il margine operativo lordo è pari a 214,6 milioni di euro (5,0%), dimezzato rispetto ai 427,1 milioni di euro (9,9%) del 1° semestre 2021. Al già citato investimento sui prezzi si sono sommati il significativo aumento dei costi di energia elettrica, gas e combustibili e il venir meno di un effetto che aveva influito positivamente sul corrispondente periodo del 2021, cioè la chiusura della campagna Fìdaty quinquennale. Il risultato operativo si è attestato a 30,7 milioni di euro (0,7%), rispetto ai 241,8 milioni (5,6%) del 1° semestre 2021. Infine, l’utile netto: 2,7 milioni di euro (0,1%) e il confronto con l’analogo periodo 2021 – quando l’ultima riga del conto economico recitava +221,1 milioni (5,1%) – è davvero impietoso.

Ma qual è stata l’inflazione a scaffale in Esselunga? Per il primo semestre 2022, l’azienda dichiara un incremento medio dei prezzi dell’1,7% a fronte di un rialzo medio del 7,4% ricevuto dai fornitori, precisando che “assorbire il 5,7% dell’inflazione è stata una scelta strategica maturata proprio al fine di tutelare il potere di acquisto dei clienti”. In crescita l’indebitamento: la posizione finanziaria netta è negativa per 2.347,3 milioni di euro, in peggioramento di 630 milioni rispetto al 31 dicembre 2021, principalmente per effetto dell’acquisto da UniCredit del 32,5% del capitale sociale di La Villata – società immobiliare proprietaria di un’ottantina di superfici commerciali del gruppo, di cui Esselunga deteneva già le restanti quote azionarie – con un esborso di 444,2 milioni di euro. Va comunque ricordato che il primo semestre dell’anno ha visto anche investimenti per 151,9 milioni di euro e l’apertura dei punti vendita di Fino Mornasco (CO), Torino Porta Nuova e laEsse in Largo Augusto a Milano, portando così la rete a un totale di 180 negozi.

Alla luce dei dati del primo semestre, è presumibile che nella seconda parte dell’anno Esselunga stia trasferendo una percentuale maggiore degli aumenti di listino ricevuti dai fornitori e questo renderà ancora più interessante la chiusura dell’esercizio. Restano due domande in sospeso: i clienti hanno compreso e apprezzato lo sforzo fatto dall’insegna? E quali sono i risultati finanziari di altri operatori della Gdo che non hanno mai raggiunto performance comparabili in termini di marginalità a quelle di Esselunga?

Mercati di largo consumo, le previsioni IRI per il 2022

IRI, leader mondiale nelle informazioni di mercato per il Largo Consumo, il Retail e lo Shopper, ha elaborato le previsioni sull’andamento dei mercati del Largo Consumo Confezionato per il l’ultimo trimestre del 2021 e per il 2022. Il nuovo rapporto previsionale è stato elaborato considerando un contesto caratterizzato dai seguenti fattori che influenzeranno le vendite di Largo Consumo nei mesi futuri:

• L’epidemia da Coronavirus è sostanzialmente sotto controllo, nonostante la diffusione delle nuove varianti del virus. Tuttavia il Sistema istituzionale ed economico italiano resta improntato alla prudenza.

• Il rilancio dell’economia italiana è previsto continuare anche nel 2022. I cardini su cui l’Esecutivo sta orientando la propria politica vertono su sostegno dell’occupazione e crescente allocazione delle risorse agli investimenti (in parte discendente dalle risorse del Next Generation EU).

• Lo Smart Working è diventato un fatto strutturale con una influenza significativa sui comportamenti sociali e di consumo.

• All’interno del comparto del Largo Consumo si consolida la crescita del canale di convenienza, il Discount, ma aumentano le vendite dei prodotti d’alta gamma all’interno della Distribuzione Moderna Classica.

• L’inflazione del Paese è in salita. Tuttavia i prezzi del comparto stanno reagendo con ritardo alle spinte al rialzo, anche a causa del particolare ciclo degli accordi commerciali che caratterizza la filiera del Largo Consumo. Si prevede che gli aumenti si scaricheranno sui prezzi finali soprattutto fra la fine del 2021 e la prima metà del 2022.

• La risalita dei prezzi aumenterà la concorrenza orizzontale. Le promozioni saranno una leva competitiva fondamentale.

Nonostante un rallentamento della domanda che caratterizzerà l’ultimo trimestre, il 2021 chiuderà in positivo, grazie all’eredità dei primi otto mesi: l’andamento delle vendite a valore si attesterà al +2%. Il 2022 segnerà invece un calo ma molto contenuto, pari al -0,8%. Tuttavia il retail veicolerà ancora il +9,3% di ricavi rispetto al pre-Covid e il +7,1 in termini di volumi: si tratta quindi di un salto di livello rispetto a prima della pandemia.

L’inversione di tendenza di quest’anno si registrerà a partire dal IV trimestre. Il trend negativo raggiungerà però il culmine nel primo trimestre del 2022 scontando il confronto con le controcifre elevate durante la seconda ondata Covid. Solo nella seconda metà del prossimo anno ci sarà un recupero della crescita. Le principali motivazioni alla base di queste previsioni, oltre al “rimbalzo” sulla domanda eccezionale della seconda Ondata epidemica (Ottobre 2020-Marzo 2021), sono la spinta inflazionistica attesa e la maggiore normalizzazione dei comportamenti sociali (più mobilità per motivi lavorativi e più pasti fuori casa.

Per quanto riguarda le previsioni sugli acquisti in volume è necessario sottolineare che questi ultimi saranno influenzati dalla risalita prezzi che caratterizza il secondo semestre del 2021. Prevediamo che l’aumento dell’inflazione si esaurirà entro i primi 6 mesi del 2022. Il profilo evolutivo dell’andamento atteso dei volumi nel Largo Consumo ricalca quello dei ricavi ma sconta l’effetto dei rincari.

Si attende quindi una chiusura del 2021 con una crescita delle vendite a volume pari al +1,8%. Il 2022 vedrà invece una flessione che si attesterà al –1,6%.

Merita infine uno sguardo a quello che è stato il canale “rivelazione” degli ultimi due anni, ovvero l’online. Le attese a chiusura 2021 sono state ritoccate al ribasso rispetto all’edizione precedente delle previsioni, a causa di una crescita relativamente meno brillante a partire dai mesi primaverili. Comunque lo sviluppo dei ricavi previsto per il 2021 è di tutto rispetto (ca +490 milioni di euro). Le proiezioni IRI indicano che l’E-Commerce nel Largo Consumo Confezionato potrà aggiungere altri 260 milioni di fatturato nel 2022, raggiungendo una quota del 2,6% sul totale nella Distribuzione Moderna (fisica e online).

Supermercati, dove risparmiare in 70 città. L’indagine di Altroconsumo

Settanta città, 1.148 punti vendita tra supermercati, ipermercati e discount, oltre 1,6 milioni di prezzi rilevati per 125 categorie di prodotti, tra alimentari, per la cura della persona, della casa e pet food: sono questi i numeri dell’edizione 2021 dell’inchiesta di Altroconsumo sulla grande distribuzione. Un’indagine che permette di indicare il supermercato più economico visitato per ognuna delle città e di stilare anche quattro classifiche nazionali per catena e tipo di spesa (con prodotti di marca, a marchio commerciale, prodotti più economici e mista).

Risparmio massimo fino a 1.700 euro l’anno
La conferma arriva, come ogni anno: scegliendo la catena o il punto vendita più conveniente individuati con le classifiche di Altroconsumo si possono risparmiare anche grandi cifre, anche se solo laddove la concorrenza funziona. Il risparmio massimo individuato nell’inchiesta arriva fino a 1.700 euro all’anno in media per le famiglie italiane, sia passando alla catena di discount più conveniente per una spesa con i prodotti più economici (Aldi), sia scegliendo, invece del più caro, il supermercato più conveniente in città (il Super Rossetto, in provincia di Rovigo). Purtroppo, non in tutti i 70 centri visitati si può risparmiare allo stesso modo e il divario tra Nord e Sud è evidente. Considerando la spesa media delle famiglie al supermercato – 6.843 euro nel 2020 (Istat) – il risparmio massimo, nelle città più convenienti, può arrivare fino al 20% circa se si sceglie il punto vendita più economico invece di quello più caro: siamo, appunto, a 1.700 euro l’anno in provincia di Rovigo (1.720 per la precisione), 1.523 euro a Reggio Emilia e Modena, 1.400 euro a Brescia e Ravenna. Sono cifre che stridono con i 100 euro circa di risparmio possibile (solo il 2%) nelle città dove non c’è concorrenza tra i supermercati visitati, tutte al Centro-Sud: Potenza, Pesaro, Pistoia, Sassari, Reggio Calabria, Foggia. In questi centri, anche cambiando supermercato, i prezzi restano sempre allo stesso livello e comunque piuttosto cari. Quanto ai punti vendita più convenienti dell’indagine, continua ad andare Rossetto: due suoi negozi (in provincia di Rovigo e Brescia), insieme a un punto vendita Emisfero (Vicenza), sono i più convenienti dell’inchiesta. Come registrato da anni, nelle prime 30 posizioni troviamo 20 super del Triveneto; bisogna arrivare al 40esimo posto per il primo negozio non al Nord, l’Ipercoop di Prato. Nell’indagine completa ci sono anche i risparmi massimi calcolati per differenti tipi di nuclei familiari e differenti tipi di spesa. Vengono riportati anche alcuni esempi di prodotti (uno shampoo, un detersivo lavatrice, un formaggio e un’acqua) per cui sono state rilevate le differenze di prezzo maggiori a seconda del punto vendita: il prezzo per lo stesso prodotto è cambiato anche del 200%. Inoltre è stato anche fatto un approfondimento sulla qualità dei prodotti di marca, a marchio commerciale e del discount nei test e, infine, realizzato un focus su come sono cambiati i prezzi rispetto a prima della pandemia.

Pandemia: come sono cambiati i prezzi
In passato – con la corsa all’accaparramento delle prime fasi emergenziali – di anomalie sui prezzi ne erano state rilevate, in particolare rispetto alla riduzione delle promozioni. Cosa succederà sul lungo termine? Il timore di un progressivo aumento circola, tra incertezze e ripresa economica, rincari delle materie prime e possibili speculazioni. Altroconsumo ha voluto vedere cosa è accaduto ad alcuni prezzi, confrontando quelli rilevati nell’indagine sui supermercati del 2019 con quelli di quest’anno (farina, passata di pomodoro, Emmenthal, pasta, spinaci surgelati, crema mani, detersivi per pavimenti, saponetta). Spicca l’aumento rilevato nelle indagini per il costo medio di due prodotti molto comuni ed entrambi poco reperibili nei primi mesi di pandemia: la farina, il cui prezzo è a + 27% rispetto a due anni fa, e la passata di pomodoro a +22.

La metodologia dell’indagine
Senza preavvisare i punti vendita, i rilevatori di Altroconsumo hanno registrato 1,6 milioni di prezzi in 70 città, presso 1.148 negozi: 230 iper, 599 super e 319 discount, selezionati su criteri che ne garantiscono la rappresentatività. Per ognuna delle 125 categorie di prodotto considerate (le più acquistate secondo Istat) sono stati registrati i prezzi, promozioni incluse, di tutti i prodotti presenti sugli scaffali. I prezzi vengono elaborati sulla base di calcoli e ponderazioni che permettono di ottenere gli indici di competitività su base 100 e realizzare le classifiche.

Maltempo, temperature giù prezzi su, è allarme speculazione per l’ortofrutta

Crollano le temperature, si impennano i prezzi di frutta e verdura. In molti casi a causa di speculazioni. Ne è convinto il Codacons, che sulla vicenda ha presentato un esposto a 104 procure della Repubblica di tutta Italia. Secondo l’associazione per la tutela dei consumatori, se è innegabile l’ondata di gelo che attanaglia l’Italia e in particolare il Centro-Sud, questo non giustifica al momento l’impennata dei listini dell’ortofrutta all’ingrosso e al dettaglio, perché “la maggior parte dei prodotti oggi in vendita è stata raccolta nelle settimane scorse, quando cioè non vi era alcuna emergenza neve e freddo. Addirittura vengono spacciate per nazionali frutta e verdura provenienti da Paesi esteri, allo scopo di poter rincarare i prezzi con la scusa del maltempo. Vere e proprie speculazioni intollerabili sulla pelle dei consumatori e degli agricoltori. Per tale motivo – conclude Codacons – abbiamo chiesto a 104 Procure di aprire indagini su tutto il territorio alla luce del reato di aggiotaggio, e di individuare gli speculatori che determinano rincari ingiustificati dei listini all’ingrosso e al dettaglio”.

 

Difficoltà reali

Quello delle speculazioni sui prezzi è solo una delle conseguenze della morsa del gelo che ha colpito le campagne italiane e che ha spinto molte Regioni ad avviare le procedure per la dichiarazione dello stato di calamità, a ciò incoraggiate dallo stesso ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina. Del resto l’agricoltura di mezza Italia è in difficoltà con decine di migliaia di ettari di verdure pronte per la raccolta bruciate dal gelo, serre danneggiate o distrutte sotto il peso della neve, animali morti, dispersi e senz’acqua perché sono gelate le condutture, ma anche aziende e stalle isolate che non riescono a consegnare il latte quotidiano e le verdure. Secondo Coldiretti nel Centro Agroalimentare Roma si riscontrano “una disponibilità dei volumi ridotta del 40% rispetto ai quantitativi consueti e rincari nei prezzi all’ingrosso di certe referenze schizzati a picchi massimi del 50/60% in più, rispetto ai listini di inizio anno”. In particolare,  secondo le rilevazioni del Centro ortofrutticolo di Roma tra gli aumenti più pesanti rispetto alla stessa settimana dello scorso anno spiccano il +350% delle bietole, il +233% dei cipollotti, il +225% degli spinaci, il +170% della lattuga, il 157% delle zucche, il 150% dei cavoli. Ingiustificabile il rincaro di alcuni prodotti secondo la Coldiretti perché già raccolti da tempo come mele, pere e kiwi “mentre rialzi alla produzione dovuti all’aumento dei costi di riscaldamento delle serre o alla ridotta disponibilità di alcuni prodotti orticoli danneggiati dalle gelate non possono essere un alibi per speculazioni che danneggiano i produttori agricoli e i consumatori”.

Le regioni più colpite sono Puglia (con un calo del 70% delle consegne), Basilicata, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Sicilia e Calabria, dove migliaia di aziende agricole hanno perso le produzioni di ortaggi invernali prossimi alla raccolta, dai carciofi alle rape, dai cavolfiori alle cicorie, dai finocchi alle scarole, per effetto del gelo che ha bruciato le piantine. Gravi i danni anche agli agrumeti e ai vigneti di uva da tavola che hanno ceduto sotto il peso della neve. C’è anche il problema delle difficoltà nelle consegne, che ha portato alla distruzione di tonnellate di generi deperibili come il latte e alcuni tipi di frutta e verdure. Ciò naturalmente non può non avere conseguenze sui prezzi, anche se pure Coldiretti invita a vigilare sul rischio di speculazioni.

Se è ancora difficile calcolare i danni sull’agricoltura italiana di questa ondata di gelo di inizio 2017, Coldiretti in base a dati del Crea ipotizza che gli eventi meteorologici estremi provocati dai cambiamenti climatici abbiano “rubato” all’agricoltura italiana almeno 14 miliardi di euro negli ultimi dieci anni tra produzioni distrutte e danni a strutture e infrastrutture. Cambiamenti che si manifestano con sfasamenti stagionali e precipitazioni brevi ma intense (le cosiddette “bombe d’acqua”), con il repentino passaggio dal sereno al maltempo, con lunghi periodi di siccità che si alternano a forti piogge a carattere alluvionale, con gelate estreme e picchi di calore anomali. Stranezze che si evidenziano anche a livello territoriale come in questi giorni: mentre nella provincia di Padova non piove da 40 giorni e i livelli dei grandi laghi del Nord sono al di sotto della media, nel Mezzogiorno sono caduti quantitativi record di neve e le temperature sono proibitive, con pesanti danni alle coltivazioni e agli allevamenti.

Istat, ad aprile prezzi a -0,4% sul 2015, dato peggiore del 2016

L’Istat ha diffuso i dati provvisori per il mese di aprile sull’andamento dei prezzi al consumo: continua (e peggiora) la flessione già registrata a marzo, con un tasso complessivo di inflazione del -0,4% rispetto allo stesso mese del 2015 (era -0,2% a marzo), trainato ancora una volta dal ribasso dei beni energetici (-7,4%).
«L’Italia continua a rimanere in deflazione – commenta Giovanni Cobolli Gigli, Presidente di Federdistribuzione – e la situazione non sembra migliorare. Il dato di aprile è infatti il peggiore dall’inizio del 2016 e uno dei più bassi da molto tempo. Con questi numeri diventa anche più critico il raggiungimento del pur modesto obiettivo di inflazione annua per il 2016 del +0,2%. Anche escludendo l’effetto dei beni energetici, l’inflazione è ferma al +0,3%, sintomo di una domanda ancora debole».
Non sembra funzionare nemmeno l’assunto prezzi bassi=consumi aumentati. Commenta Cobolli Gigli «I consumi permangono in un limbo di crescita modesta (se escludiamo il settore auto, rischiano di essere pericolosamente vicini allo zero) perché le persone vivono ancora un clima di incertezza sul futuro, che frena gli acquisti e induce a ricostituire lo stock di risparmio, precedentemente eroso dalla crisi. Ed è anche su questa “leva immateriale” che occorre agire per tornare a crescere, ricreando sicurezza e fiducia con politiche che configurino un reale cambiamento per il Paese, attraverso la continuazione del programma di riforme, la creazione delle condizioni per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, fornendo più certezze che dubbi sulle pensioni».

Coldiretti lancia l’allarme per le campagne italiane, dove ad aprile sono letteralmente crollati i prezzi: dal -24 % per il grano duro al – 57% per i peperoni, mentre si riducono le quotazioni del 34% per il latte, del 48% per i pomodori e del 54% per le arance “su valori al di sotto dei costi di produzione”. “Se sullo scaffale per i consumatori i prezzi sono praticamente stabili (-0,1%), nelle campagne – sottolinea la Coldiretti – la situazione alla produzione è drammatica. Oggi gli agricoltori devono vendere tre litri di latte per bersi un caffè, 15 chili di grano per comprarne uno di pane e dieci chili di pomodori ciliegini per comprare un pacchetto di sigarette”.
Le cause di questa situazione? L’anticipo dei calendari di maturazione, l’accavallamento dei raccolti, le varietà tardive diventate precoci, con eccesso di offerta prima e crollo della disponibilità: tutti effetti dell’andamento climatico anomalo sulle coltivazioni, che subiscono anche la pressione delle distorsioni di filiera e dal flusso delle importazioni, determinate dagli accordi agevolati. Come nel caso delle condizioni favorevoli concesse al Marocco per pomodoro da mensa, arance, clementine, fragole, cetrioli, zucchine, aglio, olio di oliva, all’Egitto per fragole, uva da tavola, finocchi e carciofi. “L’accordo con il Marocco – sottolinea la Coldiretti – è fortemente contestato dai produttori agricoli perché nel Paese africano è permesso l’uso di pesticidi pericolosi per la salute che sono vietati in Europa, ma anche perché le coltivazioni sono realizzate in condizioni di dumping sociale per il basso costo della manodopera”.
Sul settore agroalimentare pensano anche gli effetti dell’embargo russo, che ha azzerato le esportazioni di ortofrutta, formaggi, carni e salumi Made in Italy, provocando una turbativa che ha messo in crisi decine di migliaia di aziende agricole europee.

Secondo il preliminare Istat, rispetto ad aprile 2015, i prezzi dei beni registrano una flessione stabile a -1,0%, mentre il tasso di crescita dei prezzi dei servizi rallenta (+0,4%, da +0,7% del mese precedente). I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona aumentano dello 0,1% rispetto a marzo e diminuiscono dello 0,2% su base annua (da -0,3% del mese precedente).
I prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto aumentano dello 0,2% in termini congiunturali e diminuiscono dello 0,9% in termini tendenziali (era -1,1% il mese precedente).

Altroconsumo: Emisfero, Iper ed Eurospin dove la Gdo è più conveniente

È Emisfero del Gruppo Unicomm dei fratelli Cestaro (associato Selex) l’insegna più economica secondo la consueta indagine di Altroconsumo riguardante la convenienza nella Gdo. Indagine che conferma il divario tra Nord e Sud. La spesa più conveniente, su più di un milione di prezzi analizzati in 885 punti vendita di 68 città italiane, si fa in Toscana, dove si spende, per acquistare prodotti di marca, 6039 euro all’anno, contro i 6.636 euro della Valle d’Aosta, la regione più cara, di fronte a una media italiana di 6350 euro. Seguono il Veneto, il Piemonte, la Puglia, l’Umbria e la Liguria, quest’ultima che ha perso il primato di “regione più cara della media”. Male le regioni come Lazio, Sicilia, Sardegna ed Emilia Romagna, ma anche Marche, Molise, Basilicata e Abruzzo.
Questo nella media generale.

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Fonte: Altroconsumo

 

Analizzando il tipo di spesa, Altroconsumo suddivide in tre categorie: spesa di prodotti di marca, spesa per prodotti a marchio del distributore, spesa economica (discount, essenzialmente)

È proprio nella spesa di prodotti di marca che Emisfero ha ottenuto la palma del più economico, seguito dagli ipermercti Galassi e da Famila Superstore. Quello che emerge dalla lettura della tabella è che la differenza di prezzo tra le prime dieci insegne è nell’ordine del 4% e tra la prima e l’ultima insegna della classifica vi è un divario del 13%. Ma le modalità di acquisto tra promozioni e composizione del carrello, fedeltà al punto vendita sono talmente varie, come hanno insegnato questi ultimi anni, che difficilmente un acquirente acquita solo prodotti di marca o solo prodotti a marchio del distributore. Resta però il fatto che l’indagine di Altroconsumo resta un indicatore importante.

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Fonte: Repubblica, da Altroconsumo

“Se si passa dall’insegna più cara in città a quella più economica – segnaa Altroconsumo – in una stessa città, si possono risparmiare in media 590 euro all’anno, ma nelle città in cui la concorrenza è alta si può arrivare persino a un risparmio di 1.100 euro. Parliamo in questo caso di Pordenone, Torino, Cuneo o Napoli, mentre molto scarse sono queste opportunità a Reggio Calabria e Caserta”.

Se si acquistano prodotti a marchio del distributore, con un risparmio che può arrivare fino a 1.800 euro all’anno, l’insegna più conveniente è Iper, dove il risparmio può arrivare al 43% per l’acquisto degli stessi prodotti di marca. Anche U2 si posiziona s questo indice di risparmio (la proprietà è sempre di Iper), ma ha un numero minore di referenze. Del resto sottolinea altroconsumo è difficile fare una spese composta solo di prodotti a marchio del distributore.

Infine, tra i distount, Eurospin è l’insegna che guida la speciale classifica seguito da LD Market, D-Più Discount, Penny Market, Lidl, Md Discount, In’s Mercato, Prix Quality. Se non si bada al brand il risparmio può arrivare al 51% sui prodotti di marca: in soldoni, 3100 euro, che arrivano a 3500 ad Aosta e Trieste, dove i punti vendita sono i più cari in assoluto.

Istat: prezzi in crescita, ma non per le famiglie più deboli

Le ultime rilevazioni dell’Istat sull’inflazione per le classi di spesa per le famiglie, mette in luce che nell’arco degli ultimi trimestri per quelle con maggiore capacità di spesa i prezzi sono debolmente aumentati, mentre per quelle a minore capacità di spesa continua una condizione di deflazione. Ma su un arco temporale di dieci anni le cose si invertone. E le famiglie più deboli hanno subito maggiormente il peso dell’aumento dei prezzi.

La debolezza dell’inflazione nel primo semestre 2015, infatt, sia pure con intensità diverse, ha interessato tutti e cinque i gruppi nei quali l’Istat ha suddiviso le famiglie italiane in base alla loro spesa complessiva (dalla più bassa del primo gruppo alla più alta del quinto). Nel secondo trimestre 2015, tuttavia, gli indici armonizzati dei prezzi al consumo mostrano, per tutti i gruppi di famiglie, segnali di una lieve ripresa tendenziale, interrompendo la flessione dei prezzi per due dei quattro gruppi per i quali nel primo trimestre era stata registrata una dinamica deflattiva.

Sempre nel secondo trimestre del 2015, la dinamica tendenziale dei prezzi al consumo (pari in media a +0,1%) è compresa tra lo 0,3%, misurato per le famiglie con i più elevati livelli di spesa (quelle dell’ultimo gruppo), e il -0,2% per le famiglie con spesa media mensile più bassa (quelle del primo gruppo).

Il differenziale di inflazione tra il primo e l’ultimo gruppo di famiglie è dovuto sia alla alla dinamica dei prezzi dei diversi aggregati di prodotto sia al loro peso nelle abitudini di consumo di ciascun gruppo.

La deflazione – che continua a caratterizzare l’andamento dei prezzi per le famiglie con minore capacità di spesa – è da ascrivere soprattutto alla persistente, seppur attenuata, flessione dei prezzi dell’Energia, un aggregato la cui incidenza sul bilancio di questo gruppo di famiglie è più che doppia rispetto a quella dell’ultimo gruppo.

L’accelerazione, per quanto contenuta, della dinamica tendenziale dei prezzi dei Beni industriali non energetici e dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona, ha invece un impatto maggiore per le famiglie con livelli di spesa più elevati, che destinano quasi metà dei loro consumi a questi due aggregati.

Su un orizzonte temporale più lungo, i prezzi al consumo delle famiglie del primo gruppo (con i più bassi livelli di spesa) sono aumentati del 21,6% tra il 2005 (anno base degli indici) e la prima metà del 2015. Sullo stesso arco temporale la crescita dei prezzi al consumo per le famiglie con maggiore capacità di spesa è stata pari al 18,3%. Per il complesso delle famiglie la variazione misurata dall’indice armonizzato dei prezzi al consumo è stata del 19,3%.

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Nell’ultimo anno il peso della componente alimentare si riduce per tutte le sottopopolazioni, a fronte di un diffuso aumento del peso della componente energetica. Aumenta, per tutti e cinque i gruppi di famiglie, il peso dei Servizi, sebbene con differenze importanti per le diverse tipologie di servizi considerate.

Istat: prezzi in salita, la deflazione si allontana

Nel mese di maggio 2015, secondo le stime preliminari dell’Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, aumenta dello 0,2% sia rispetto al mese precedente sia nei confronti di maggio 2014 (ad aprile il tasso tendenziale era -0,1%).

Fonte: Istat
Fonte: Istat

La ripresa dell’inflazione, dopo quattro mesi consecutivi di valori negativi, è dovuta principalmente all’ulteriore ridimensionamento della flessione su base annua dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (-7,2%, da -8,7% di aprile) e all’accelerazione della crescita tendenziale dei prezzi dei servizi; a quest’ultima contribuiscono in particolare l’inversione della tendenza annua dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (+0,8%, da -0,6% di aprile) e l’accelerazione della crescita di quelli dei Servizi ricreativi, culturali e della cura della persona (+0,9%, da +0,7% di aprile).

Al netto degli alimentari non lavorati e dei beni energetici, l'”inflazione di fondo” mostra una risalita (+0,6%, da +0,3% di aprile); al netto dei soli beni energetici, si porta a +0,8% (era +0,6% il mese precedente).

L’aumento su base mensile dell’indice generale è da ascrivere principalmente all’aumento dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (+1,8%) – per effetto dei rialzi dei carburanti – e dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,5%), con particolare riguardo a quelli ricettivi.

L’inflazione acquisita per il 2015 è quindi pari a +0,1% (era nulla ad aprile).

Rispetto a maggio 2014, i prezzi dei beni fanno registrare un ulteriore ridimensionamento della flessione (-0,3%, da -0,5% di aprile) e il tasso di crescita dei prezzi dei servizi accelera (+0,7%, da +0,3% del mese precedente). Di conseguenza, rispetto ad aprile 2015 il differenziale inflazionistico tra servizi e beni si amplia di due decimi di punto percentuale.

Nello specifico dei prezzi dei beni alimentari, il lieve rialzo su base mensile degli alimentari non lavorati è principalmente dovuto all’aumento – su cui incidono in parte fattori stagionali – dei prezzi della frutta fresca (+6,4%; in crescita del 3,6% in termini tendenziali, dal +1,3% del mese precedente). Per quasi tutti gli altri prodotti del comparto si registrano diminuzioni congiunturali dei prezzi; tra questi si segnalano i cali – anch’essi condizionati in parte da fattori stagionali – dei prezzi dei vegetali freschi (-4,2%; +10,9% in termini tendenziali, in rallentamento dal +12,1% di aprile) e della carne ovina e caprina (-1,1%, -0,2% su base annua).

I prezzi dei beni alimentari,  per la cura della casa e della persona aumentano dello 0,1% su base mensile e registrano una crescita su base annua stabile allo 0,8%.

I prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto aumentano dello 0,3% in termini sia congiunturali sia tendenziali (ad aprile il tasso annuo era nullo).

Secondo le stime preliminari, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) aumenta dello 0,2% sia su base mensile sia rispetto a maggio 2014 (il mese precedente il tasso tendenziale era -0,1%).

 

Prezzi freddi a dicembre. E la deflazione soffia in Europa

Nel giorno in cui Eurostat ha ufficializzato le stime sull’inflazione annuale a dicembre che si attesterebbe al -0,2%, certificando di fatto la deflazione nell’economia del vecchio continente, l’Istat ha anticipato i dati dei prezzi al consumo.

La deflazione in Europa è guidata dalla caduta dei prezzi dell’energia (-6,3% a dicembre rispetto a -2,6% a novembre), mentre i prezzi per il cibo, l’alcol e il tabacco e i beni non energetici si sono mantenuti stabili. L’unica crescita annuale prevista riguarda i servizi (+1,2%, stabile rispetto a novembre).

Prezzi freddi anche in Italia, secondo l’Istat. Secondo le stime preliminari dell’Istituto di Statistica nel mese di dicembre 2014, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, mostra una variazione nulla sia rispetto al mese precedente sia nei confronti di dicembre 2013 (il tasso tendenziale era +0,2% a novembre).

La sostanziale stabilità su base mensile dell’indice generale è la sintesi del calo congiunturale dei prezzi degli Energetici non regolamentati (-3,5%) e del rialzo mensile dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+2,6%), in larga parte condizionati da fattori stagionali. Si allarga così la forbice tra tra servizi e beni si amplia di mezzo punto percentuale rispetto a novembre 2014.

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I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona aumentano dello 0,1% in termini congiunturali e fanno registrare una flessione tendenziale dello 0,2% (dal +0,4% di novembre). Scomponendo i prezzi dei prodotti alimentari l’Istat rileva una stabilità su base mensile e una crescita dello 0,9% su base annuale dei prodotti lavorati, contro un lieve incremento su base mensile (+0,2%) e una riduzione annuale dello 0,8% di quelli non lavorati

Da notare che invece l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) dei beni alimentari (incluse bevande alcoliche) e tabacchi diminuiscono dello 0,1% in termini congiunturali e dello 0,3% in termini tendenziali (era +0,3% a novembre).

A ottobre l’inflazione sale. Spauracchio riverse charge per la DMO

Una lieve ripresa dei prezzi a ottobre, dopo cinque mesi di discesa allontana lo spettro della deflazione, anche se «non bisogna pensare che sia superato», sottolinea in una nota il presidente di Federdistribuzione Giovanni Cobolli Gigli.

Indice prezzi OttobreI dati provisori diffusi dall’Istat infatti registrano un tasso complessivo di inflazione pari allo 0,1% sull’ottobre dell’anno scorso e in crescita rispetto a settembre, quando era stato di -0,2%. Tuttavia i beni sono ancora in territorio negativo con -0,3%, anche se il dato è migliore rispetto a settembre. In ripresa invece i prezzi dei beni alimentari e delle bevande (+0,2 complessivamente). Qui il documento completo dell’ISTAT.

La preoccupazione, tuttavia, resta alta, anche se Cobolli Gigli dà un giudizio generalmente positivo della Legge di Stabilità. «Il testo del provvedimento attualmente disponibile – afferma –  contiene misure importanti per sostenere i consumi, misure che auspichiamo siano approvate nelle dimensioni tali da poter realmente incidere su una situazione di debolezza dei consumi che ha ormai raggiunto connotazioni strutturali. La DMO sta facendo tutto il possibile per tutelare il potere d’acquisto dei consumatori eroso dalla crisi, attraverso una politica di forte accelerazione sulla convenienza, anche a scapito della propria redditività».

Bocciata invece l’ipotesi della reverse charge (il pagamento dell’Iva da parte dell’acquirente escluso quello finale) con finalità antievasione estesa anche agli acquisti della DMO perché creerebbe ulteriori difficoltà finanziarie e contribuirebbe ad accrescere i costi organizzativi di un settore che sta facendo di tutto per operare a favore dei consumatori.

«Auspichiamo che il Governo riesca a trovare altre strade per combattere l’evasione Iva, una vera piaga per il Paese, che non siano però penalizzanti per un settore, quello della DMO,  virtuoso e trasparente sulle tematiche fiscal», conclude il Presidente di Federdistribuzione.

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