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La tecnologia è amica o nemica del lavoro? Italiani ottimisti, manager e giovani preoccupati

Che le tecnologie stiano trasformando il mondo del lavoro è cosa evidente: macchine sempre più intelligenti e precise, veloci e in grado di eseguire ogni genere di compiti sono pronte a sostituire cuochi e cassieri, autisti e infermieri (anche nel retail, vedi I robot prenderanno il controllo del supermercato del futuro?). Per contro, la tecnologia rende più semplice svolgere varie mansioni, evitare di recarsi i ufficio ma lavorare da casa, analizzare i Big Data, organizzare il lavoro e programmarlo per prendersi spazi di vita, in tutti i settori. Ma qual è la percezione “sul campo”, delle persone, a proposito? Lo ha indagato uno studio condotto da Epson su oltre 7.000 lavoratori nei cinque principali Paesi europei (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna). Anche perché il mondo del lavoro sarà trasformato dalle nuove tecnologie in tempi più brevi di quanto si pensasse: molti infatti ritengono che non sia così lontano un mondo dove la produzione di massa appartiene al passato.

 

Il 64% di posti in meno, il 63% disposto a cambiare

Eppure, c’è poco spazio per l’ottimismo. Oltre la metà (57%) dei dipendenti europei – ma ben il 62% di quelli italiani – che lavorano nella sanità, formazione, retail e produzione ritiene che la tecnologia rivoluzionerà settori e modelli aziendali. Soprattutto, il 6% degli intervistati in Europa (e il 4% in Italia) crede che nel futuro la propria mansione non esisterà più: una previsione addirittura al ribasso, visto che stando ai modelli attuali si parla di una possibile riduzione dei livelli di occupazione in Europa al 64%, un valore inferiore a quello registrato nel 2005. Ciò nonostante, chi lavora mostra di essere cittadino a pieno titolo della learning society e gli italiani (86%) si dichiarano ancora una volta più ottimisti degli europei (72%), con il 63% disposto ad aggiornare le proprie conoscenze per poter svolgere nuove mansioni.

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Tuttavia, questo ottimismo potrebbe essere vanificato dal fatto che, nelle opinioni dei dipendenti, le aziende sembrano non voler trarre il massimo vantaggio dalle nuove tecnologie: infatti solo il 15% dei lavoratori italiani considera la propria organizzazione “eccellente” nel monitorare i nuovi sviluppi tecnologici e meno di un terzo (27%) la ritiene particolarmente abile quando si tratta di implementare nuove tecnologie. In questo scenario, sostanzialmente allineato ai valori europei, rimane quindi una certa sfiducia da parte dei lavoratori sulla capacità o volontà delle organizzazioni circa l’implementazione e l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Lo studio che ha messo a confronto le opinioni fornite da 17 esperti di vari settori con quelle di oltre 7.000 dipendenti e manager, evidenzia come singoli individui, datori di lavoro e istituzioni debbano affrontare scelte non facili circa l’adozione delle nuove tecnologie. Le opinioni siano contrastanti sia sui potenziali vantaggi che sulle possibili minacce circa l’avvento dell’innovazione tecnologica nei vari settori e nelle diverse economie.

In ogni caso, il 75% dei lavoratori europei (e il 78% degli italiani) ritiene che l’utilizzo di nuove tecnologie potrebbe comportare una riduzione del numero di dipendenti nell’azienda. A tale riguardo, i più preoccupati sono gli spagnoli (80%) seguiti a ruota dagli italiani (78%), mentre i tedeschi (67%) lo sono molto meno.

Il settore manifatturiero, probabilmente perché già ampiamente colpito in passato dalla “caduta di teste” risultato della robotizzazione della produzione, si è rivelato particolarmente ottimista: qui il 75% prevede il passaggio a un modello di produzione più localizzato, con il 55% degli intervistati (57% in Italia) concorde sul fatto che i livelli di occupazione rimarranno invariati o aumenteranno.

Nel settore della formazione l’ottimismo è meno diffuso: mancanza di finanziamenti, formazione degli insegnanti e tecnologie obsolete vengono indicate come le principali minacce per il futuro della formazione. Il 61% a livello europeo (68% in Italia) degli intervistati, inoltre, ritiene che gli insegnanti non dispongano delle conoscenze necessarie per utilizzare le nuove tecnologie nei prossimi 10 anni, con conseguenti difficoltà nell’impartire lezioni agli studenti.

Oltre i tre quarti degli intervistati hanno dichiarato che la tecnologia potrebbe aumentare i profitti delle aziende e offrire nuove opportunità di crescita. Tuttavia, per le realtà che vogliono investire sulle nuove tecnologie con l’obiettivo di mantenere la loro competitività e trarre vantaggio dal cambiamento, lo studio ha evidenziato tre tendenze principali che non devono essere trascurate:

I maggiori timori di perdere il posto di lavoro provengono dai giovani e dai top manager.
Mentre in media solo il 6% dei dipendenti ha dichiarato di voler fermare o impedire di proposito l’introduzione della tecnologia qualora questa rappresentasse una minaccia per la mansione svolta, sorprendentemente questa percentuale aumenta tra i Millennials (giovani tra 18 e 29 anni) con il 12% e tra i dirigenti, con addirittura il 17%.

Le nuove tecnologie esercitano un forte fascino, ma sono poche conosciute.
In media, gli intervistati sono affascinati dalle tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, la realtà` aumentata, i dispositivi indossabili, le tecnologie per la collaborazione e la robotica, ma la loro conoscenza e` piuttosto limitata.

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C’è grande disponibilità a “rimettersi in gioco” per acquisire nuove competenze.
Quasi un terzo degli intervistati ritiene che la propria azienda non comunichi in maniera efficace quale possa essere l’impatto generato dai cambiamenti tecnologici sulle varie mansioni. Inoltre, benché il 65% (63% in Italia) degli intervistati ritenga che la propria azienda abbia la possibilità di formare i dipendenti nell’utilizzo di nuove tecnologie, crede anche che i datori di lavoro siano molto più propensi ad assumere nuovo personale già competente anziché formare e riallocare i dipendenti potenzialmente in esubero. Di questi, solo il 47% valuta positivamente la capacità del proprio datore di lavoro nel ricollocare i dipendenti in esubero. Ciò nonostante, ben il 72% degli italiani (il valore più alto registrato, con una media europea del 65%) si dichiara disposto ad acquisire nuove conoscenze per poter svolgere mansioni diverse qualora il proprio ruolo fosse minacciato.

«L’attuale preoccupazione legata al progresso tecnologico è del tutto comprensibile ma la tecnologia offre enormi opportunità, se gestita in maniera corretta. Indipendentemente dalla nostra attuale situazione lavorativa, essa è destinata a cambiare in futuro e, come evidenziato anche dai risultati dello studio, occorre intensificare il dialogo tra la Pubblica Amministrazione, le aziende e la società in generale affinché tutti possano acquisire le conoscenze e le competenze necessarie per assumere nuovi ruoli e sfide. Le modalità con cui gestiremo l’evoluzione determineranno il nostro ruolo lavorativo – e non solo – per i prossimi 10 o 20 anni» ha dichiarato Minoru Usui, Presidente di Epson.

Lo studio in due fasi è stato condotto da FTI Consulting. Durante la prima fase (settembre – ottobre 2016) si sono svolte interviste telefoniche basate sul metodo qualitativo a 17 persone fra esperti di previsione di scenari futuri provenienti da vari Paesi ed esperti europei in vari settori, per ottenere informazioni e formulare ipotesi sull’ambiente di lavoro del futuro e su come cambieranno ruoli e funzioni dei dipendenti nei prossimi anni, fino al 2025. La seconda fase, che si è svolta online nel dicembre 2016, consisteva invece in un’indagine quantitativa condotta dal team Strategy Consulting &Research di FTI Consulting. All’intervista hanno partecipato i dipendenti full-time di Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna impiegati in cinque settori principali (corporate, produzione, formazione, settore sanitario e retail) per un totale di 7.016 dipendenti.

Rovagnati Bistrò Italiano: apre in Corso Garibaldi a Milano il secondo store

ROVAGNATI, sulla scia del primo aperto in Piazza XXV Aprile, ha inaugurato il suo secondo BISTRÒ ITALIANO a Milano, per offrire piatti raffinati e gustosi, caldi e freddi con tutta la bontà e la qualità dei salumi Rovagnati.

Il bistrò in Corso Garibaldi, aperto da martedì a domenica, dalle 10:00 alle 22:00, propone appetizer e light lunch, a base di salumi ROVAGNATI “ricettati”, protagonisti di abbinamenti gourmet. Si possono degustare i salumi in piatti originali e taglieri con nuove ricette per promuoverne il consumo in modi inediti.

Il  menù comprende preparazioni esclusive, come la Giardiniera di cetrioli con Mortadella Riserva Oro e salsa di uva fragola ed un classico della cucina milanese, reinterpretato in maniera originale, la Cotoletta Gran Biscotto. Tutte le ricette sono state ideate da rinomati chef, che hanno voluto combinare i sapori più significativi della cucina mediterranea con la qualità dei salumi ROVAGNATI.

 

Cliente e prodotti, una relazione sempre più multimediale

Cliente – prodotto: la relazione ideale, all’insegna della disintermediazione.

E in questo la tecnologia può essere un valido supporto.

Come i nuovi mini totem e-post Short, proposti da Domino Sistemi.

Posizionati sul bancone di una reception, sugli scaffali del punto vendita o in prossimità delle casse, i totem e-post Short offrono sia un contenuto multimediale che un design completamente customizzabile. La struttura in allumino, infatti, rifinita con due eleganti pannelli in metacrilato trasparente, è sagomabile in base al progetto che il committente richiede. Il nuovo mini totem, dunque, può prendere una forma legata al visual aziendale o a un elemento che rimanda alla campagna promozionale, oppure incorporare supporti per posizionare il prodotto fisico. Per renderlo ancora più appealing è possibile scegliere il rivestimento solo sul fronte o fronte/retro con texture e grafiche stampate su pellicole adesive.

“Stiamo lavorando intensamente per consolidare la nostra presenza nel mercato del digital signage, continuando a differenziarci con soluzioni per la comunicazione multimediale sempre più orientate alla massima personalizzazione. – afferma Alberto Masserdotti, fondatore di DominoDisplay.com. – Il nostro punto di forza è il connubio tra la pluridecennale esperienza nel mondo della visual communication e la continua ricerca in ambito tecnologico. Questa sinergia ci permette di proporre prodotti al di fuori di ogni standard: grazie al nostro know-how, ad esempio, siamo in grado di trasformare totem, come gli e-post Short, in media capaci essi stessi di veicolare messaggi, attraverso la struttura completamente realizzata in base alle specifiche esigenze dei nostri clienti”.

L’offerta

La linea e-post Short completa la gamma di soluzioni compatte che comprende l’innovativa Serie e-post 10, disponibile anche nella versione “expo”, contraddistinta da dimensioni estremamente ridotte (31,5x34x28,8 cm) e design ricercato, e da e-post 22, dallo stile minimal in grado di coniugare le prestazioni della tecnologia LFD firmata Samsung alle esigenze di punti vendita e showroom di piccole dimensioni.

Come tutte le soluzioni acquistabili su DominoDisplay.com, anche i mini totem hanno un cuore tecnologico targato Samsung SMART Signage: i monitor in combinazione con il software integrato per la trasmissione dei messaggi consentono di veicolare contenuti multimediali. Soluzioni che possono essere potenziate con la release 2.0 di Palinsesto, suite proprietaria per il digital signage messa a punto da Domino Sistemi.

L’intera offerta di totem da banco è arricchita dell’assistenza a valore aggiunto di Domino E-Lab, il customer service 2.0 che fornisce formazione e consulenza in tempo reale grazie a canali e strumenti di marketing evoluti.

 

Il Food & Grocery online decolla a Natale, i dati Netcomm

Che il Food & Grocery abbia finalmente virato verso il web, si sapeva. Che quello passato fosse un Natale digitale anche, con un numero sempre maggiore di consumatore che si sono rivolti al web per gli acquisti. Non sorprende dunque che il settore abbia registrato una incremento generalizzato, con tutte le aziende coinvolte che hanno registrato incassi in ascesa rispetto all’anno precedente: lo rileva Netcomm che ha comunicato i risultati dell’-e.commerce natalizio.

Il Consorzio del Commercio Elettronico Italiano ha monitorato l’andamento delle vendite online dei propri soci nel periodo compreso tra metà novembre e fine dicembre 2016, evidenziando una crescita significativa delle transazioni. La ricerca ha coinvolto i soci del Consorzio e i siti di e-commerce in possesso del Sigillo Netcomm, che ne certifica la qualità, l’adempimento degli obblighi di legge e l’attenzione verso le esigenze del consumatore. Il risultato è la voce di aziende sia di grandi sia di medio-piccole dimensioni, appartenenti a diversi settori.

Rispetto al Natale 2015 l’80% delle aziende intervistate dichiara di avere riscontrato un aumento delle vendite online. Aumento che, per circa un sito di e-commerce su quattro, ha preso le sembianze di una vera e propria impennata: il 23% dichiara infatti di aver registrato un incremento superiore al 50%. La tendenza positiva ha riguardato sia le aziende di piccole dimensioni sia le grandi organizzazioni (con oltre 250 dipendenti). Tra i settori merceologici più performanti tra i soci di Netcomm l’Informatica ed Elettronica e il Food & Grocery, appunto, dove la totalità delle aziende rispondenti ha dichiarato una crescita rispetto al periodo natalizio dello scorso anno. Trend molto positivi si riscontrano anche per i Servizi Business (crescita per il 79% delle aziende rispondenti), Arredamento e Servizi per la Casa (70%) e Abbigliamento (67%).

 

L’e-commerce cresce a Natale

Il Natale si conferma un momento cruciale per gli operatori di e-commerce: per quasi il 20% delle aziende rispondenti il valore delle vendite natalizie costituisce tra il 20% e il 40% dei ricavi annui e per il 4% oltre il 40%. È quindi ovvia l’importanza di attirare l’attenzione dei consumatori in tale periodo dell’anno; per questa ragione il 73% degli intervistati dichiara di avere sviluppato iniziative ad hoc per stimolare le vendite sotto Natale, utilizzando un mix di strumenti promozionali: in testa ci sono gli sconti sui prodotti/servizi e le attività di comunicazione (adottati rispettivamente dal 56% e dal 45% dei rispondenti). Anche le promozioni sulle modalità di consegna e ritiro sono state piuttosto utilizzate (21%); però il 27% dei rispondenti non ha sviluppato particolari attività rispetto a quelle che svolge durante l’anno, segno che anche la stagionalità costituisce di per sé un interessante stimolo alla domanda.

Cresce anche la percentuale di acquisti effettuati tramite dispositivi mobili che hanno rappresentato un flusso di traffico e di acquirenti per l’80% dei rispondenti; da notare come la percentuale di vendite concluse attraverso questo device nel periodo natalizio sia stata superiore rispetto alla media della percentuale di vendite via smartphone registrata durante tutto l’anno. Il 44% dei rispondenti ha registrato tra l’1% e il 10% di incremento di vendite via smartphone, il 25% tra il +11% e il +30% e l’11% oltre il +30%.

«Da questi dati si comprende come oggi sia fondamentale rendere l’esperienza mobile sempre più attraente e soddisfacente per gli utenti, dichiara Roberto Liscia, Presidente del Consorzio Netcomm. Per chi ha un sito di e-commerce è importante guadagnare la fiducia del cliente non solo ottimizzando la user experience di navigazione ma garantendo anche sicurezza delle transazioni, contenuti puntuali e mantenendo continuità tra l’esperienza web e mobile».

 

Sfondano i pagamenti digital, ma resiste il contrassegno

Gli strumenti di pagamento preferiti dai compratori online sono risultati essere le carte di credito (73%) e il sistema PayPal (64%). Il contrassegno si dimostra ancora una forma di pagamento importante per il mercato italiano, con il 35% dei rispondenti che lo ha indicato come uno degli strumenti maggiormente utilizzati dai propri clienti; una modalità di pagamento che risulta più vicina all’esperienza di fare acquisti in un negozio fisico.

Anche i soci di Netcomm sembrano seguire il trend generale dell’e-commerce italiano, che fatica ad affermarsi sull’export: il 50% dei rispondenti non ha realizzato vendite verso consumatori stranieri durante il periodo natalizio e il 33% ha registrato vendite cross-border tra l’1 e il 10%, mentre solo il 12% degli operatori riesce attualmente ad attirare flussi consistenti dall’estero.

 

Retail Innovations 12, il convegno di Kiki Lab, vi dà appuntamento al 15 marzo

RETAIL INNOVATIONS 12
quando l’innovazione batte la ‘crisi’
Tendenze e casi internazionali e italiani a confronto
Milano 15 marzo ore 9 – 18

Armando Garosci, Giorn. Largo Consumo, introduzione e moderazione
Fabrizio Valente, Founder Partner Kiki Lab
Presentazione della ricerca internazionale Retail Innovations 12

Tendenze e casi di retail innovativo in diversi settori, posizionamenti e format, provenienti da 19 Paesi

Testimonianze aziendali:

  • Oscar Farinetti, Fond. Eataly
  • Hans Hoegstedt, Amm. Del. Miroglio Fashion
  • Lorenzo Losa, Pres. Wikipedia Italy
  • Khardiata Ndoye, Dir. Mark & Merch. Kiabi
  • Andrea Boldrin, Dir. Ris. Um. Decathlon
  • Alessandro Lazzaroni, Amm. Del. Domino’s Pizza
  • Ezio Ballarini, Chief Mark. Off. Gruppo Autogrill

Testimonianze partner:

  • Roberto Paltrinieri, Dir. Bus. Un. On Site Proxima
  • Massimo Moretti, Pres. CNCC
  • Italo Bussoli, Pres. Assofranchising

Ai partecipanti sarà distribuita una copia della ricerca Retail Innovations 12.
Convegno a pagamento – Alcuni inviti disponibili per manager Retail e IdM

Per iscrizioni: kiki@kikilab.it – 030 22 16 81

Partner: Confcommercio, Gruppo Sintesi, Proxima – Main Media Partner: Largo Consumo – Media Partner: AZ Franchising, Beesness, DIYandgarden, Display Magazine, Distribuzione Moderna, InStore, Promotion Magazine – Association Partner: Assofranchising, BeTheBoss, CNCC, Confimprese, Federmobili, GS1 Italy – Award Partner: Insegna dell’anno, Superbrands – Academy Partner: Fondazione Istud

Kizandy, le caramelle con la bocca, arrivano in Italia distribuite da Guglielmo

Kizandy, le famose caramelle americane nate nel 2010 da un’idea di Brian Schroeder e oggi prodotte dalla Kizable, arrivano finalmente in Italia (dopo aver conquistato già 420 paesi). A distribuirle in esclusiva è Caffè Guglielmo, realtà imprenditoriale del sud Italia che produce e commercializza i suoi prodotti nel settore domestico e nel settore Ho.Re.Ca. La distribuzione avrà una prima fase di test in 50 punti vendita della Calabria per poi espandersi su tutto il territorio nazionale.
Le Kizandy, sono prodotte in 12 gusti tutti naturali senza conservanti né coloranti: al mango, limone, ciliegia, lampone, mela verde, cannella, mandarino, liquirizia, melograno, tè, pesca e anguria. Nel catalogo della Kizable, ci sono anche perle di cioccolato e mentine sugar free con massimo 5 calorie. Al top anche il packaging già premiato per il suo innovativo design: scatoline in metallo con, in rilievo, enormi labbra colorate in base al gusto delle caramelle.kizandy_guglielmo_2
Il colpo di fulmine tra Caffè Guglielmo e le Kizandy è avvenuto a maggio 2016 al Sial di Shanghai.
«Quando ho assaporato per la prima volta le Kizandy me ne sono innamorato – spiega Daniele Rossi, che insieme allo zio Roberto Volpi e al cugino Matteo Tubertini guida Caffè Guglielmo. –. Il primo pensiero è stato quello di portarle subito in Italia. Prima ho invitato l’ideatore Brian Schroeder nella mia azienda a Copanello, in provincia di Catanzaro, e poche settimane dopo sono andato personalmente a Taipei per vedere i 10 punti vendita Kizandy e firmare il contratto. Era un progetto, oggi è realtà».

Personale, ma non troppo: il 28% degli italiani accetta di condividere dati con i brand

Personale, ma non troppo: sempre più consumatori oggi sono disposti a derogare alla propria privacy, condividendo i propri dati personali con brand e retailer.

A patto, però, di ricevere qualcosa in cambio: servizi, promozioni o un’esperienza di acquisto più rapida e personalizzata.
Secondo un’indagine internazionale di GfK – che ha coinvolto oltre 22.000 persone di 17 paesi – circa un quarto degli intervistati (27%) si è dichiarato d’accordo con la possibilità di condividere i propri dati personali in cambio di servizi e vantaggi. Mentre il 19% delle persone ha dichiarato di essere totalmente in disaccordo con questa idea.gfk_condivisione-dati-personali_tot_infografica

In Italia
Le risposte degli italiani si collocano leggermente al di sopra della media internazionale: il 28% degli intervistati ha infatti dichiarato di essere disposto a comunicare i propri dati in cambio di benefici di qualche sorta.

Se in merito la differenza tra i due sessi è pressochè nulla, la situazione cambia invece in rapporto all’età degli intervistati: emerge infatt chiaramente come i più favorevoli alla condivisione dei dati siano i trentenni (32%), seguiti dalle fasce d’età 20-29 anni (31%) e 40-49 anni (30%). Molto refrattari  sono gli over 60 con il 24%, ma (sorprendentemente) i più ostili sono i più giovani compresi nella fascia d’età 15-19 anni: ben il 31% degli intervistati, infatti, si dichiara fortemente in disaccordo.

L’indagine a livello internazionale

La Cina conta la percentuale più alta di persone disposte a condividere i propri dati personali in cambio di benefici: ben il 38% degli intervistati ha dichiarato di essere sicuramente disposta a farlo. Altri paesi dove la percentuale di persone favorevoli è più alta della media sono il Messico (30%), la Russia (29%) e appunto l’Italia (28%).

I cinque paesi con le percentuali più alte di persone fermamente contrarie alla possibilità di condividere i propri dati sono Germania (40%), Francia (37%), Brasile (34%), Canada (31%) e Paesi Bassi (30%).

L’età dell’intervistato sembra influenzare la facilità con cui si accetta di condividere i dati personali. Ventenni e trentenni sono in assoluto i più propensi a comunicare i propri dati: nella fascia 30-39 anni i favorevoli sono il 34%, mentre nella fascia 20-29 anni sono il 33%. A differenza di quanto succede in Italia, a livello internazionale gli adolescenti (15-19 anni) sono abbastanza favorevoli (28%) rispetto a questa opportunità.gfk_condivisione-dati-personali_paesi_infografica

Anche a livello internazionale non emergono  grandi differenze tra uomini e donne su questo tema: entrambi i generi si attestano al 27% di persone favorevoli. Tra le donne è però più alta la percentuale di chi si dichiara fortemente in disaccordo con la possibilità di condividere i propri dati in cambio di un vantaggio (21%, contro il 18% degli uomini).

Parmigiano Reggiano di nuovo in sella: crescono le quotazioni e i consumi

Il Parmigiano Reggiano si è ripreso, grazie a un balzo significativo delle quotazioni, specialmente nell’ultima parte dell’anno.

Dopo un 2015 da cancellare (le quotazioni medie si erano fermate a 7,65 euro/kg, con un solo precedente peggiore nel 2008, fermo a 7,40 euro/kg), il 2016 ha visto infatti un nuovo sprint: poco più di 8 euro/kg nel mese di giugno fino ad arrivare ai 9,66 euro/kg di dicembre. Una crescita non da poco che ha permesso di chiudere l’anno con una quotazione media pari a 8,63 euro/kg, pari cioè a un + 12% rispetto al 2015.

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Alessandro Bezzi, presidente del Consorzio

“Una decisa inversione di tendenza – sottolinea il presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Alessandro Bezzi – che continuiamo a registrare anche in queste prime settimane del 2017, con quotazioni vicine ai 10 euro/kg”.

“Siamo lontani – prosegue Bezzi – dalle quotazioni medie del 2011 e 2012 (rispettivamente 10,76 e 9,12 euro/kg), ma gli attuali valori, uniti alla buona tenuta dei consumi interni, ad un flusso di esportazioni che continua a crescere in modo rilevante e ai nuovi investimenti previsti dal piano quadriennale del Consorzio, creano condizioni complessive in grado di offrire migliori prospettive a quei 3.000 allevatori e 339 caseifici artigianali che compongono il nostro sistema e che nel 2014 e 2015 hanno pagato il prezzo di una pesante crisi”.

Un’altra buona notizia è quella relativa ai consumi che si attestano a +0,3% sul mercato internno per schizzare a +5,8% all’estero che oggi rappresenta il

CONSORZIO PARMIGIANO REGGIANO ASSEMBLEA PUBBLICITA'
Riccardo Deserti, direttore del Consorzio

37% del mercato totale.

I canali distributivi che più hanno beneficiato di questa ripresa sono il dettaglio tradizionale e le vendite dirette (anche online) dei caseifici, ma anche all’interno della GDO, con vendite sostanzialmente stabili in presenza di una flessione degli altri formaggi duri Dop e di una crescita dei prodotti similari non Dop del 2%”.

 

A proposito di export

Usa e Francia i migliori importatori. Considerando quanto incida l’Italian sounding a stelle strisce è ovvio che questo rinnovato interesse per il prodotto DOP non possa che esser letto con ottimismo.

“Se si considera il fatto che proprio negli Stati Uniti e in Canada registriamo il concentrarsi di imponenti fenomeni di imitazione e di “italian sounding” che disorientano e danneggiano consumatori e produttori – sottolineano i proposito il presidente Bezzi e il direttore Riccardo Deserti – è evidente che questa crescita è particolarmente importante e rende evidente l’efficacia delle azioni intraprese in questi anni con le catene distributive nordamericane e gli esportatori, ma anche delle azioni di informazione e di denuncia rispetto a pratiche che in quei Paesi sono comunque ritenute legittime e non contrastate per legge, come invece accade nell’Unione Europea”.

Produzione e comunicazione

L’aumento produttivo, che nel 2016 è del +5,1%, sarà sostenuto da un massiccio investimento in comunicazione.

“Nel prossimo quadriennio – spiega infatti il presidente del Consorzio – investiremo 15 milioni in più sulla comunicazione in Italia e all’estero e sulla vigilanza (in particolare sul prodotto grattugiato, cui sono destinate nuove risorse per 1,25 milioni), e a questa cifra si aggiungeranno i flussi derivanti dalla contribuzione differenziata legata ai piani produttivi (una contribuzione aggiuntiva, in sostanza, a carico di quanti non rispettano i livelli produttivi assegnati), che per il 2016 ammonteranno a circa 5 milioni”.

Italian sounding: la vigilanza

“La vigilanza sulle imprese che sono legate in vario modo al Parmigiano Reggiano – sottolinea il direttore Riccardo Deserti – ha comportato non solo una selezione di qualità su tutte le forme prodotte, ma 2.325 azioni di vigilanza che hanno incluso 1.980 punti vendita, cui si sono aggiunte 650 imprese della ristorazione italiana e altrettante realtà della distribuzione in 20 Paesi esteri, con oltre 2.500 analisi sul prodotto”.

“Nei primi dieci mesi del 2016, e nella sola Unione Europea – prosegue Deserti – il Consorzio ha messo in atto più di quaranta azioni di contrasto in sede stragiudiziale, amministrativa e di denunce che hanno portato a interventi d’ufficio da parte delle autorità competenti in otto Paesi europei.

Cinque interventi di diffida sono poi stati messi in atto negli Stati Uniti a carico di altrettante società che proponevano salse, formaggi (alcuni contenenti anche cellulose), piatti pronti o confezioni di grattugiato ingannevolmente ispirate al Parmigiano Reggiano, tre in Vietnam, con opposizione del Consorzio al deposito dei marchi “Reggianto”, “Parmesan” (denominazione in uso esclusivo al Consorzio) e addirittura “Parmigiano Reggiano”, precedute dal nome del produttore. Sui canali web sono stati effettuati 390 interventi di rimozione di offerte e siti ingannevoli, mentre altre opposizioni a registrazioni di marchi evocativi sono poi state messe in atto in Giappone, Argentina (tutti con 2 tentativi di falsi richiami al Parmigiano Reggiano), Bolivia, Cina , Colombia (tentativo di deposito del marchio “Parmessano”) e Ucraina (diffida rispetto al deposito del marchio “Parmedzyano”).

“Questo significa – conclude Deserti – che il sistema di vigilanza funziona, ma che è contemporaneamente necessario continuare ad investire per bloccare questi fenomeni, non solo per contrastare azioni sleali, ma per creare nuovi spazi all’affermazione commerciale del Parmigiano Reggiano e, conseguentemente ampliare le opportunità di reddito per i produttori”.

 

Week&Food di TUTTOFOOD: un ricco palinsesto animerà Milano

Week&Food, la nuova settimana del food & beverage di qualità, è ormai sul nastro di partenza, pronta ad animare – sotto il cappello Milano Food City – la città meneghina dal 4 all’11 maggio. Promossa da TUTTOFOOD in collaborazione con Regione Lombardia, Comune di Milano e Confcommercio Milano WeeK&Food sarà un vero e proprio fuori salone della manifestazione in calendario a fieramilano dall’8 all’11 maggio; un evento in grado di portare per la prima volta i professionisti fuori dai cancelli del quartiere fieristico.

Il progetto, che si pone come naturale prosecuzione dei temi affrontati durante Expo Milano, è stato illustrato in una conferenza stampa congiunta, dai numerosi attori coinvolti: il Sindaco di Milano Giuseppe Sala, con gli Assessori Cristina Tajani (Attività produttive e Commercio), Roberta Guaineri (Turismo e Qualità della vita), Mauro Parolini, Assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia e Roberto Rettani, Presidente di Fiera Milano, Alberto Meomartini, Vice Presidente Camera Commercio di Milano Giorgio Rapari, consigliere di Confcommercio Milano incaricato allo sviluppo associativo.

“Uno dei punti di forza di questo nuovo format – ha sottolineato l’assessore Tajani- proprio quella della convergenza d’intenti fra i vari attori”.

Fiducioso della forza aggregante e coinvolgente del’evento si è detto Sala che ha commentato: “È stato messo in campo un palinsesto vario e di qualità che, tra degustazioni e show cooking, aprirà anche a indispensabili momenti di riflessione sulla necessità di promuovere comportamenti alimentari corretti e di scoperta della storia e della cultura del cibo”.

“Grazie alla scintilla creata da TUTTOFOOD – ha concluso Roberto RettaniPresidente di Fiera Milano – attori istituzionali e della filiera danno vita a un sistema food capace di dare a Milano il primato della ‘terza F’ del Made in Italy, accanto a Fashion e Furniture di cui è già capitale mondiale riconosciuta.”

weekfoodI momenti clou

Preludio alla prima edizione di Milano Food City sarà un grande evento organizzato dall’Amministrazione per mercoledì 3 maggio.  Una serata gratuita, aperta a tutta la città all’insegna della convivialità in uno spazio prestigioso di Milano che per l’occasione si trasformerà in un percorso sensoriale che attraverso performance, musicali e artistiche, videoinstallazioni e reading racconterà le buone pratiche dell’alimentazione, la cultura del cibo e i temi espressi dalla Carta di Milano. Spazio anche per un flash mob diffuso che coinvolgerà tutti i cortili della città: sabato 6 maggio i cittadini saranno invitati ad aprire i propri portoni organizzando una cena condivisa  nel proprio cortile di casa con vicini di pianerottolo, di stabile, di via o di quartiere dando vita a una suggestiva cena collettiva nel segno dell’inclusione e dello scambio intergenerazionale e culturale.

E non finisce qui: tra i numerosi eventi spiccano, infatti, anche Taste of Milano e Italian Gourmet dove, rispettivamente al The Mall di Porta Nuova e al Superstudio Più, chef, maestri pasticceri, gelatieri e panettieri daranno vita a masterclass  e show-cooking, degustazioni e talk-show, con specialità anche da asporto accompagnate da ricchi momenti formativi. Grazie alla partnership con JRE – Jeunes Réstaurateurs d’Europe, 12 chef emergenti provenienti da 12 Paesi saranno protagonisti di avvincenti show cooking, mentre 7 hotel ospiteranno a turno, ogni giorno, esclusivi aperitivi “a 5 stelle”.

Tra le iniziative diffuse, infine, spiccano varie postazioni di street food, evoluzione cool dell’italianissimo “baracchino”, e le vie in festa in collaborazione con FoodFriends, il progetto pensato da Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza.

Sessismo nel mondo dell’enologia: l’indagine de Le Donne del Vino

Sessismo superiore alle aspettative: questa è una delle prerogative che caratterizzano il mondo del vino italiano al femminile.

E non è tutto. Il “sesso debole” in questo settore, infatti, risulta ancora piuttosto penalizzato per molti altri aspetti: pur avendo infatti un livello d’istruzione medio alto (laurea o diploma) riceve ancora stipendi mediamente più bassi dei propri omologhi uomini e – per esigenze meramente professionali- “indulge” alla maternità quasi sempre dopo i 30 anni.

Ecco alcune delle evidenze emerse un’indagine-sondaggio promossa dall’Associazione nazionale Le Donne del Vino e che in parte andrà a confluire nell’indagine mondiale di Wine Business International, la prestigiosa agenzia britannica di analisi sul vino.

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La presentazione dell’indagine a Roma, nella sala conferenze dell’Associazione Stampa estera.


Commentando l’esito della ricerca, la presidente Donatella Cinelli Colombini, rileva: “Sul ruolo delle donne nel mondo del vino le cose vanno meglio, ma non bene e c’è ancora tanto da fare per raggiungere una reale parità di genere”.

La ricerca dell’Associazione La Donne del vino si basa su un questionario inviato nei mesi scorsi a produttrici, giornaliste, enotecarie, ristoratrici di tutte le parti d’Italia, cioè il 24% della compagine sociale. Diamo un’occiate alle peculiarità di ciascun settore

PRODUTTRICI

Livello di istruzione decisamente alto: il 43% ha almeno la laurea,  il 15% anche un diploma post universitario. Le Donne del Vino produttrici sono all’88% titolari o contitolari della cantina in cui lavorano, ma devono rimandare la nascita dei figli molto avanti nel tempo per cui la metà di chi ha fra i 40 e i cinquant’anni ha ancora figli minorenni. Non va meglio sul fronte pensione: benché il 19% delle produttrici abbia più di 60 anni, nessuna dichiara di essere in pensione.

Ancora più interessanti gli esiti dell’indagine relativa alla sezione che andrà a confluire nell’indagine mondiale di Wine Business International sulla condizione femminile del settore enologico. schermata-2017-01-23-a-15-18-43

Alla domanda “Pensi di ricevere lo stesso stipendio che ricevono gli uomini che svolgono gli stessi compiti?”, il 29,9% ha risposto “no” e il 18% “forse no” benché, come detto prima, a rispondere siano state soprattutto le titolari delle cantine e le stesse abbiano dichiarato di retribuire, nel 96% dei casi, allo stesso modo dipendenti maschi e femmine.

Per gli stessi motivi non sorprende che la domanda sugli atteggiamenti sessisti abbia ottenuto un “no” quasi plebiscitario (85%) benché ci sia anche chi è stata “insultata per non essermi sottomessa al boss” e si ammette che “le donne continuano a faticare il doppio per affermarsi anche nelle aziende familiari dove sono contitolari con uomini”. Più problematica la situazione nelle fiere dove il 21% delle produttrici ha dovuto difendersi dagli attacchi maschili o almeno contrastare un atteggiamento sessista.

ENOTECARIE E SOMMELIER DI ENOTECHE

Ancora peggio sembra andare ad enotecaie e sommelier (in posizione dipendente): nonostante l’elevato livello d’istruzione (per il 75% sono laureate o con diploma post universitario), infatti, lamentano di guadagnare meno dei colleghi maschi (ne è convinto il 63%). Anche in questo caso, infine, si registra un reale disagio a conciliare la carriera e la famiglia: benchè infatti il 50% abbia meno di 39 anni nella stragrande maggioranza dei casi non ha figli. schermata-2017-01-23-a-15-19-31

RISTORATRICI

Meno scolarizzate (33% con laurea o diploma post universitario) e in grande maggioranza ultracinquantenni (72%) le ristoratrici che hanno risposto al sondaggio sono per la stragrande maggioranza titolari dell’esercizio in cui operano e, fra le Donne del Vino, quelle meno colpite dai problemi di genere.schermata-2017-01-23-a-15-19-00

GIORNALISTE ADDETTE ALLE PR E MARKETING, ESPERTE E CONSULENTI

In questa categoria la fascia di età delle intervistate si concentra fra i 40 e i 59 anni (63%) e il livello di istruzione è molto alto con un 66% che possiede una laurea o un diploma post universitario, mentre aumenta il dubbio o la certezza di venire retribuita meno dei colleghi uomini (62%). Il 25% delle intervistate ha subito difficoltà collegate alla maternità arrivate, in un caso, fino al licenziamento. Il 39% ha dovuto difendersi da atteggiamenti sessisti. schermata-2017-01-23-a-15-20-05

CONSUMATRICI

Sul versante del consumo ci sono, invece, più novità positive, anche grazie all’abbandono progressivo del luogo comune che condannava la donna che bevesse vino in pubblico.

Per fortuna i tempi sono cambiati e le wine lovers in rosa sono sempre di più e sempre più consapevoli. Tuttavia (il “ma” non poteva mancare), al ristorante la donna dice la sua nella scelta del vino solo se è in coppia, mentre quando è in gruppo è ancora l’uomo a decidere.

DA SAPERE

Una cosa è certa: donne e uomini hanno un’telligenze di tipo diverso. E su questa poliedricità Gabriele Micozzi, docente di Marketing della Luiss Business School, presenterà una ricerca al prossimo Vinitaly: “Sto analizzando la zona di confort del cervello che differenzia il modo di pensare della donna dall’uomo, la capacità di provocazione della mente, le attività in cui viene coinvolta una donna e quelle in cui viene coinvolto un uomo, le intelligenze diverse: radar per la donna, tunnel per gli uomini, la velocità del pensiero che oggi è molto più sviluppata nelle donne”.

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