Sono due realtà strettamente connesse l’una con l’altra: i centri commerciali e i loro investitori si sono confrontati in un importante convegno, un vero e proprio dialogo tra le parti, lo scorso 17 ottobre nella scenografica cornice di Palazzo Visconti, storica ed elegante location milanese. Organizzatore della giornata il Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali, che ha voluto questo momento di incontro per riflettere, in maniera ampia ed esaustiva, sullo scenario del mercato del retail real estate, tracciando anche tendenze e prospettive future. Numerose le testimonianze di alcuni fra i principali attori delle due parti, uniti in un percorso comune che deve ovviamente tenere ben presenti i mutamenti socioeconomici, ambientali e le nuove necessità ed esigenze del retail. Di certo c’è che le due parti in causa sembra facciano a volte fatica a parlare un efficace linguaggio comune; un dialogo a volte difficoltoso, forse dovuto al desiderio da parte degli investitori di ridurre i rischi (l’e-commerce può frenare le strategie di investimento, così come i timori economici propri del nostro paese destano perplessità a causa dell’instabilità anche politica, che rischia di rendere vani i piani a lungo termine), che ha determinato una partenza, nell’anno in corso, in sordina, caratterizzata da una certa lentezza anche se i numeri, ad ora, delineano invece una fine d’anno in ripresa. Ripresa confermata da numeri caratterizzati dal segno più; c’è quindi da chiedersi quale sarebbe stato il percorso comune (si tenga presente che l’Italia è comunque considerata particolarmente “appetitosa”, soprattutto per investitori provenienti dal Nord America, Asia e Medio Oriente) qualora il dialogo tra le parti fosse stato più costruttivo e con linguaggio e obiettivi sinergici. Per quanto attiene il centro commerciale risulta evidente, da recenti studi e ricerche, la sua vocazione come polo aggregante oltre, ovviamente, alla possibilità di effettuare acquisti e partecipare attivamente ad eventi; in sintesi sembrano evidenziarsi sempre più finalità relazionali e socializzanti. Emerge anche sempre più la necessità di razionalizzazione dei nuovi progetti, che dovranno pensare alla loro collocazione urbana o extraurbana, alle notevoli differenze tra nord, centro e sud Italia, alle dimensioni delle città cui si riferiscono e a ceto sociale, culturale ed economico dei loro frequentatori. Nuovi progetti che dovranno anche tenere in grande considerazione i mutati (e tutt’ora mutanti) stili di consumo e l’architettura e distribuzione degli spazi interni: il nuovo polo commerciale non deve infatti guardare all’oggi, ma deve sapere prevedere, anticipandolo e se possibile creandolo, il domani.
di Andrea Matteucci 


Il mall del futuro (peraltro già ampiamente presente) deve quindi essere sempre più “green” e deve ancor di più diventare “agorà”, anche attraverso un maggiore coinvolgimento di chi lo frequenta: eventi, attività no profit, iniziative e partnership con enti di assistenza, aiuto e sensibilizzazione, offerte diversificate di servizi… per tutte le età e per qualsiasi target. In sintesi, il mall deve essere un modello di sostenibilità sociale a tutto tondo. Ma può e deve anche (e già lo sta facendo) riavvicinarsi alle metropoli, sia per motivi strettamente legati alla sua facile raggiungibilità sia per poter, ancor di più, interagire con le pubbliche amministrazioni, con progetti e iniziative comuni e virtuose, con evidente beneficio a medio e lungo termine per entrambi gli attori, se ben pensati. I centri commerciali sono cambiati, cambiano e cambieranno, a partire dalla loro anima, sempre più “dialogante” con territorio, necessità contingenti e utenti finali; un cambiamento che deve, perché no, coinvolgere anche il nome, che rappresenta un’identità ben precisa. Un nome sempre più legato all’evoluzione del ruolo dei mall, ben diverso da quello pensato in origine.
















