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Un sistema agroalimentare basato su trasparenza e collaborazione per Fare Meglio Italiano

Quello che è andato in scena venerdì a Expo, con il convegno Fare Meglio Italiano per la regia di GS1 Italy, è con ogni probabilità l’inizio di un diverso approccio nelle relazioni tra industria, distribuzione e mondo agricolo, tutte e tre parti essenziali di un sistema vitale e competitivo, quello dell’agroalimentae italiano che, meglio di altri, ha superato gli anni della crisi.

Non senza difficoltà, indubbiamente. Ma proprio per questo il sistema ha in sé le capacità di segnare un cambiamento nelle relazioni, partendo – ha detto il presidente di Gs1 Italy Marco Pedroni – dalla capacità e dalla volontà di riconoscersi reciprocamente, di riconoscere con un approccio pre-competitivo di essere parte di un progetto comune per far diventare più forte il sistema agroalimentare italiano.

«Riconoscere le specificità dell’agricoltura italiana è importante per tutti gli attori, così come bisogna riconoscere all’industria che è stata fondamentale per dare valore all’agroalimentare italiano. La distribuzione, poi, deve essere considerata fondamentale per l’economia del Paese, come avviene dovunque nel mondo», ha precisato Pedroni.

A dare fondamento scientifico a queste premesse ci hanno pensato Giorgio Di Tullio, filosofo dell’innovazione ed Enzo Rullani, presidente Tedis Center Venice International University.

Per Di Tullio, il concetto di filiera verticale basata sul prodotto deve lasciare il passo a un ecosistema basato sulla condivisione delle conoscenze, sulla trasparenza, sulla tracciabilità e sulla sicurezza. «Il prodotto oggi è il processo ed è un atto di condivisione. È urgente ricercare e fissare i requisiti pre-competitivi del sistema, come primo passaggio di una strategia di revisione dello scenario complessivo, Senza definire il contesto pre-competitivo, si continuerà a interpretare il modello come continua contrattazione tra parti: non l’integrazione governa il sistema, ma la contrapposizione». E ha aggiunto: «Ragionare in prospettiva sistemica e secondo una logica di rete, significa comprendere la propria identità come parte di un ecosistema multidimensionale, dotato di strutture concettuali e di parole chiave, di comportamenti del tutto diversi da quelli conosciuti e attivati».

Sulla stessa onda anche Rullani, per il quale il modello di filiera lineare, ereditato dal Novecento e ispirato alla logica fordista della massima integrazione, ha fatto il suo tempo. Servono relazioni collaborative tra imprese che pur restando autonome, investono sulla relazione. Quali sono queste filiere diverse da quelle passate? «Per stare nelle filiere globali – ha affermato Rullani – bisogna imparare a lavorare in rete. Ma le reti stanno in piedi se rendono e generano valore. Occorre quindi superare i difetti di fondo: le reti spesso nascono per innovare ma nel tempo diventano conservatrici. Per questo sono necessarie idee-motrici, una concezione del vivere e del lavorare con un respiro molto più ampio, come la sostenibilità, l’ancoraggio al territorio (italianità) come differenza distintiva, non solo in termini di origine, ma di qualità e di promesse fatte al cliente. Il sistema agroalimentare italiano può essere la guida di questa trasformazione, valorizzando l’italianità attraverso la tracciabilità dei processi produttivi e presidiando i significati connessi al produrre e al vivere (estetica, sostenibilità, etica)».

I pilastri (i valori) sui quale far poggiare il processo di valorizzazione della filiera agroalimentare italiana sono, per Pedroni, quattro: la condivisione e la collaborazione delle diverse componenti, con il riconoscimento della molteplicità di produzioni, tradizioni e culture legate al cibo; la trasparenza, visibilità e sicurezza nei confronti dei consumatori; l’attenzione estrema alla tutela della legalità; le soluzioni per formare e valorizzare i giovani per la sostenibilità futura del settore stesso.

«Occorre lavorare su due punti – ha poi riassunto il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo -, vale a dire prendere atto che ciò che differenzia l’agricoltura italiana (in termini di struttura e di imprese) è figlio della nostra storia e della nostra cultura. Ed è un patrimonio da valorizzare. In secondo luogo spingere su un percorso di trasparenza perché il consumatore possa scegliere. Dobbiamo puntare sulla massima dimensione di italianità dal campo alla tavola. E soprattutto dobbiamo creare modelli nuovi, evitando che una volta terminata la fase di individuazione degli obiettivi comuni, quando si va nella fase operativa ci si torni a chiamare fornitori e clienti».

Da parte delle istituzioni, il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina non ha fato mancare il sostegno del Governo a costruire le condizioni per accompagnare la trasformazione. «Lo sforzo che deve essere fatto da tutti – ha spiegato Martina – riguarda la costruzione di un sistema agroalimentare che affronti e risolva il nodo delle difficoltà di rapporti nella filiera e in particolare ripensi a come viene scaricata la catena del valore. Abbiamo agricolture forti con imprese agricole deboli. E per noi il tema dominante è come consentiamo alle persone di stare nell’impresa agricola».

«Le leve su cui agire – ha poi concluso Pedroni – sono la fiducia, la trasparenza, le esperienze di altri sistemi. Accordi di ampio respiro, riduzione delle intermediazioni che creano inefficienza, apertura e dialogo verso i cittadini-consumatori per una trasparenza informativa sui prodotti e sui processi. Queste le sfide che hanno davanti le imprese e le loro persone. Siamo anche convinti che le azioni pre-competitive (dove è importante il ruolo concreto giocato dalle nostre associazioni) siano determinanti per valorizzare l’agroalimentare italiano».

Tra made in Italy o Italian made la risposta giusta è informazione trasparente

Eleonora Graffione (presidente Coralis) presenta Etichètto

Con i riflettori puntati sul cibo e sull’alimentazone (Expo non sta passando inutilmente) il dibattito sul made in italy si fa ogni giorno più stringente. Da un lato l’obiettivo del ministero delle Politiche agricole di portare l’export alimentare a 50 miliardi di euro nel giro di pochi anni, dall’altro la consapevolezza che comincia a farsi strada nei protagonisti della filiera che, per raggiungerlo, occorre unire gli sforzi e agire in maniera coordinata. In mezzo i cittadini consumatori che vogliono sempre più spesso sapere che cosa mangiano, dove e come è allevato l’animale, dove e come è coltivato quell’ortaggio o quel frutto.

Gli esempi di questo concentrarsi di interesse sopra e attorno al cibo si moltiplicano. Si è appena conclusa la battaglia sul ritorno dell’indicazione dello stabilimento di produzione in etichetta, che già se ne profila un’altra per affiancargli la dichiarazione d’origine del prodotto. E il ministro Maurizio Martina lancia una nuova sfida all’Europa: «Ribadito alla Commissione UE il no ai formaggi senza latte fresco. Avanti per la tutela dei consumatori e dei nostri produttori», ha twittato. E venerdì 2 ottobre a Expo il convegno di GS1 Italy | Indicod-Ecr con il titolo Fare meglio italiano vuole sviluppare l’idea di un ecosistema agroalimentare italiano che, come ha spiegato recentemente il presidente dell’associazione Marco Pedroni, «deve fare un passo avanti, superando gli schemi che vedono contrapporre gli interessi di coltivatori, industria di trasformazione, distribuzione. Occorre affrontare e sviluppare insieme i temi precompetitivi nelle relazioni tra imprese».

In questo filone si inserisce anche l’incontro che si è svolto qualche giorno fa al padiglione CibusèItalia-Federalimentare, che ha cercato di trovare una via d’uscita alla contrapposizione tra Made in Italy o Italian Made. Se cioè I prodotti alimentari “Made in Italy” debbano essere prodotti interamente in Italia, dal campo allo scaffale, oppresse sia possibile definire prodotto italiano anche quello che utilizza materie prime estere?

Tema, come si è visto particolarmente spinoso, perché tra chi sostiene il primo e chi invece vede nel mercato completamente aperto una opportunità di crescita del saper fare italiano, le distanze sembrano incolmabili. Peraltro accettando la prima ipotesi, buona parte dell’industria agroalimentare italiana sarebbe fuori gioco, mentre nel secondo caso si premierebbe solo ed esclusivamente l’origine della materia prima.

Roberto Montalvo (Coldiretti) a sinistra e Roberto Brazzale (Gruppo Brazzale)
Roberto Montalvo (Coldiretti) a sinistra e Roberto Brazzale (Gruppo Brazzale)

Nela fattispecie il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo afferma: «Secondo quanto emerso dalla consultazione svolta dal Ministero delle Politiche agricole il 96,5% dei consumatori  ritiene necessario che l’origine dei prodotti agricoli debba essere scritta in modo chiaro e leggibile nell’etichetta. In un difficile momento di crisi bisogna portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e della verità per combattere la concorrenza sleale e rispondere alle reali esigenze dei consumatori. E quando si parla di importazione necessaria di materie prime alimentari bisogna ricordare anche che esistono aree agricole non più coltivate perché non c’era più convenienza, e che invece vanno rivitalizzate».

Proprio questo è il punto di partenza del ragionamento di Roberto Brazzale, presidente del Gruppo Brazzale (azienda lattiero-casearia che produce oltre al formaggio Gran Moravia – in Repubblica Ceca -, burro, quattro prodotti DOP e sei diversi marchi): «Per riuscire a soddisfare la domanda complessiva di alimenti, composta dalla somma dei consumi interni più la quota destinata all’export, l’Italia deve necessariamente importare materie prime da trasformare, cioè prodotti finiti già trasformati all’estero. Diverse filiere alimentari non sono e non potranno essere autosufficienti, tanto è vero che tante produzioni italiane sono autobloccate, per sostenere i prezzi. La questione fondamentale, perciò, diventa: vogliamo che questo cibo sia prodotto all’estero e poi venduto in Italia, oppure vogliamo sempre più intercettare questo flusso, diventando sempre più protagonisti nell’imponente fabbisogno di produzione e trasformazione di alimenti per soddisfare la domanda interna e quella di export, potenzialmente illimitata?».

Sempre sul fronte industriale la testiminianza di Pasquale Petti, amministratore delegato dell’omonimo gruppo conserviero va proprio nella direzione di una saldatura con il mondo agricolo: «Per il nostro progetto di marca utilizziamo solo pomodoro toscano lavorato a bassa temperatura; per questo abbiamo deciso di far entrare al nostro interno, con quote societarie, la parte agricola del processo produttivo, ovvero l’Asport (Associazione produttori ortofrutticoli toscani), per garantire ai consumatori finali oltre a qualità ed innovazione dei processi di trasformazione, anche la tracciabilità e la provenienza della materia prima».

Ragioni che non fanno una piega, quelle dei coltivatori e quelle dell’industria alimentare: entrambi vogliono salvaguardare il proprio business. Ma la questione dirimente sta invece nel consumatore, nel cittadino che vuole trasparenza, informazione chiara. Poi potrà scegliere se acquistare un prodotto che arriva da materia prima estera (lo fa già con l’olio extravergine) o se invece acquistare solo prodotto italiano. Ma almeno che ne sia informato, senza sotterfugi e ipocrisie. L’esempio portato da Eleonora Graffione, presidente di Coralis va in questa direzione. Etichètto è infatti il progetto annunciato alcuni mesi fa e che ora è entrato nel vivo della sua attuazione per 150 prodotti di una clear label che identifica i prodotti italiani (a partire dal campo o dall’allevamento) in seguito a un protocollo messo a punto da Coralis e sottoscritto dai vari produttori. «Etichètto fa della trasparenza e della garanzia etica i propri principali valori, esaltando, quando reali, le migliori caratteristiche dei produttori. È alleanza con tutte le parti: coltivatori, produttori, clienti», ha affermato Graffione.

Sulla questione, quindi, si procede a ranghi separati, anche se in linea di principio vi è un sentire comune, che però non ha trovato ancora una sintesi condivisa. Stanno maturando i tempi perché l’agroalimentare si faccia sistema (come recita il sottotitolo del convegno di GS1 Italy), superando steccati e contrapposizioni di parte e pensi principalmente ai cittadini consumatori?

Al via il nuovo concorso Ricette di famiglia Végé

Sempre più indirizzata alla comunicazione e al coinvolgimento in rete, Végé lancia il concorso ricette di famiglia, legato ai prodotti a marchio Delizie VéGé che fino al prossimo dicembre distribuirà un montepremi del valore di oltre 17.000 €.

Per concorrere è sufficiente registrarsi sul sito web Ricette di famiglia, scegliere la ricetta da proporre che preveda l’impiego in preparazione di un prodotto a marchio Delizie VéGé e caricare sul sito la foto del piatto con accanto la confezione del prodotto utilizzato. Il concorso prevvede tre fasi dedicate ai primi piatti, ai secondi e ai dolci, prima della finale dove si scontreranno i vincitori di ciascuna di esse, che saranno giudicati dal popolo della rete e da una giuria di esperti. Al vincitore assoluto andranno 1.000 euro in buoni spesa, mntre premi vari sono previsti per i vincitori delle singole fasi, e dei più votati dalla rete e dalla giuria. Il coinvolgimento della rete di amicizie sui social è essenziale per ottenere il maggior numero di voti.

«Abbiamo pensato che il modo più appropriato di far apprezzare l’alta qualità, la sicurezza e la completezza dell’assortimento a marchio Delizie VéGé fosse un contest gastronomico aperto a tutti, semplice ma anche innovativo e divertente, che chiamasse in causa un patrimonio di memoria e di gusto particolarmente caro alle famiglie italiane: i sapori della cucina casalinga», ha affermato Giorgio Santambrogio, Amministratore Delegato di Gruppo VéGé.

Migliora il clima di fiducia tra i cittadini e tra le imprese. Indice Istat ai massimi da due anni

Un altro passo avanti verso la ripresa. Così potrebbe essere letta la rilevazione sul clima di fiducia dei cittadini e delle imprese divulgato oggi dall’Istat.

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L’indice Istat del clima di fiducia dei consumatori aumenta a settembre 2015 a 112,7 da 109,3 del mese precedente. Anche l’indice composito del clima di fiducia delle imprese italiane (Iesi, Istat economic sentiment indicator) sale passando a 106,2 da 103,9 di agosto. Entrambi gli indici permangono ai livelli massimi osservati negli ultimi due anni.

È una fiducia diffusa, quella tra i consumatori, tanto che tutte le componenti sono in ascesa, con un incremento più consistente per quella economica (a 143,2 da 133,1) ma anche per quella personale (a 103,6 da 101,4), quella corrente (a 108,0 da 104,0) e quella futura (a 122,0 da 117,7).

I cosumatori giudicano meglio l’attuale situazone economica del Paese (a -47 da -61) e anche le attese al riguardo salgono nelle stime (a 14 da 6) e contemporaneamente vedono un rallentamento nella crescita dei prezzi sia nei 12 mesi passati sia nei prossimi 12 mesi (a -19 da -14 e a -18 da -14 i saldi). Diminuiscono significativamente le attese di disoccupazione (a 7 da 25).

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Riguardo le imprese, crescono tutti i climi di fiducia: quello del settore manifatturiero (a 104,2 da 102,7), quello delle costruzioni (a 123,3 da 119,5), quello dei servizi di mercato (a 112,2 da 110,0) e quello del commercio al dettaglio (a 108,8 da 107,8).

Nel commercio al dettaglio in particolare, il clima di fiducia sale a 108,8 da 107,8. Aumenta il saldo dei giudizi sulle vendite correnti (a 16 da 14) e diminuisce quello relativo alle aspettative sulle vendite future (a 28 da 29); in diminuzione sono giudicate le scorte di magazzino (a 10 da 12).

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Il clima di fiducia migliora sia nella grande distribuzione (a 106,1 da 105,8) sia in quella tradizionale (a 114,5 da 112,1). Nella prima, aumenta il saldo dei giudizi sulle vendite correnti (a 18 da 16) e diminuisce quello relativo alle aspettative sulle vendite future (a 32 da 35); nella seconda, resta stabile il saldo dei giudizi sulle vendite correnti (a 6) e aumenta quello relativo alle aspettative (a 20 da 14). Quanto, infine, alle scorte di magazzino, il saldo passa a 13 da 15, nella grande distribuzione e a 3 da 4, in quella tradizionale.

Expo porta stranieri: a luglio agosto spendono +29,3% sul 2014, Cina e Francia top spender

Foto: www.comune.milano.it

Hanno speso 189,6 milioni di euro il 29,3% anno su anno, i turisti stranieri giunti a MIlano per Expo a luglio e agosto scorsi. Grande beneficiario, il settore moda/abbigliamento, con volumi totali pari a 76,2 milioni euro e un incremento del 31% rispetto allo stesso periodo 2014. Sono i dati raccolti da Visa Europe a Milano e in Italia dal 1° luglio al 31 agosto 2015, seconda analisi di Visa Europe sulla spesa effettuata dai visitatori stranieri durante EXPO 2015 dopo quella di maggio-giugno (vd qui).

Cina e Francia al top

Tra i 5 paesi top spender in pole position la Cina con una spesa di 21,4 milioni €, mentre i visitatori provenienti dalla Francia, che hanno speso 20,6 milioni euro, segnano la maggiore crescita in punti percentuali con +117% rispetto a luglio-agosto 2014. Nel periodo in esame, in tutta Italia i volumi di spesa si attestano su 3,1 miliardi con una crescita del 13,7% rispetto al 2014. Seguono gli USA con 17,6 milioni di euro (+52,3% a/a), il Regno Unito con uno speso di 14,5 milioni di euro e un incremento percentuale di +50,3% sul 2014. Chiude la classifica top 5 spender la Russia con volumi di spesa per 15,6 milioni di euro, in calo rispetto allo stesso periodo 2014 (-25,3%) ma con un lieve incremento del 4,7% rispetto al bimestre precedente maggio-giugno 2015. Anche la Svizzera, che segue subito dopo, pur con uno speso su carte Visa nel periodo di 10,6 milioni di euro, registra -11,7% rispetto a luglio-agosto 2014 e un ulteriore calo rispetto a maggio-giugno 2015 con -18,5%.

 

Tutti pazzi per la moda, in risalita alberghi, ristoranti e commercio cittadino

Analizzando la spesa dei visitatori stranieri a Milano nelle categorie di acquisto, il settore moda/abbigliamento si conferma il comparto con i volumi di spesa più elevati, 66,2 milioni di euro, registrando non solo un incremento di +13,7% anno su anno ma anche l’incremento record più elevato in termini percentuali rispetto a maggio e giugno 2015 di +101,8%. Il secondo settore che viene premiato dagli acquisti dei visitatori esteri a Milano è quello alberghiero/ricettivo, con uno speso pari a 47,9 milioni di euro e una crescita di ben 62,4 punti percentuali sia sul 2014. Seguono in ordine di volumi di spesa il settore dei negozi al dettaglio e delle vie centrali milanesi con 24,6 milioni di euro (+41,4% a/a), quello della ristorazione che nel bimestre riporta volumi di speso pari a 16,3 milioni €, in crescita del 64,6% rispetto al 2014 e il settore dei grandi magazzini con 14 milioni di euro di volumi di spesa, in crescita del 40% in comparazione con luglio-agosto 2014.

In tutta Italia +13,7%

Le spese da parte dei consumatori stranieri in tutta Italia nel mese di luglio e agosto 2015 si attestano a 3,1 miliardi di euro totali in crescita del 13,7% rispetto allo stesso periodo 2014. Milano nel bimestre contribuisce sulla spesa totale dei visitatori stranieri in Italia con una quota del 6%.

I risultati rilevati da Visa Europe nel periodo luglio-agosto 2015 sia nella città di Milano sia in tutto il Paese mostrano variazioni percentuali rispetto al 2014 largamente positive e confermano un trend incoraggiante verso l’alto rispetto ai primi due mesi di apertura di EXPO 2015, segnali che possono essere ricondotti a un “effetto Expo”. Nel mese di novembre 2015 Visa Europe rileverà l’ultima wave di spesa dei consumatori stranieri durante EXPO 2015 e traccerà un consuntivo in termini di transato transfrontaliero che fornirà ulteriore supporto ai dati totali della grande manifestazione internazionale tenutasi a Milano.

 

Garanzia 3, l’investimento post vendita per clienti e distributori

Garanzia3, l’estensione del servizio tecnico per i prodotti elettrodomestici proposto da Business Company rinnova il suo sito web, proponendo una grafica colorata e accattivante e con informazioni chiare dedicate ad ogni tipologia di clienti: giovani e meno giovani, internauti provetti o meno. Con Garanzia3 tutti scopriranno i vantaggi dei servizi offerti dalla garanzia del produttore per 3 anni in più, su tutti i prodotti di elettronica di consumo.

garanzia 3 logo

Garanzia3  rappresenta un’importante risorsa per Produttori e Distributori che vogliono arricchire la propria proposta commerciale ed aumentare il proprio margine. Investire in post-vendita , significa fidelizzazione, quindi, accompagnare il Consumatore in ogni fase che segue l’acquisto del prodotto; fidelizzare è il sistema migliore per instaurare una relazione tra insegna e Cliente improntata alla fiducia. Infine,  l’utilizzo di tali servizi genera un consistente margine aggiuntivo.

Il rinnovamento del sito web testimonia anche un ulteriore passo in avanti per Garanzia3; otto anni di attività ed impegno al servizio del consumatore e della distribuzione; otto anni intensi e veloci, ricchi di attività innovative e di traguardi raggiunti, ma ancora con tante sfide aperte per il futuro.

L’azienda ha così deciso di rinnovare il look del suo sito web, lanciando una nuova versione che è on line da questa settimana: www.garanzia.it

Ognuno dei clienti Garanzia3 o dei consumatori interessati ad acquistare un certificato di estensione del servizio tecnico per i propri apparecchi, potrà trovare agevolmente spazi di approfondimento su Cosa è Garanzia3, Come Funziona, Come si Attiva e come mettersi in contatto con la squadra di assistenza clienti. Accedendo nella home page di www.Garanzia3.it in primo piano viene infatti dato spazio alle quattro aree principali e rappresentative le funzioni del sito.

Il restyling del sito, divenuto più funzionale e moderno, ha mantenuto una grafica lineare e pulita, coerente con il percorso evolutivo di Garanzia3 e con i suoi valori. A differenza delle precedenti versioni, però, il nuovo sito Garanzia3 è oggi visionabile al meglio da tutti i principali dispositivi (PC, tablet, smartphone ecc.) ed i suoi contenuti sono più facilmente fruibili e condivisibili – anche sui social network – dagli utenti.

Infine, per una risoluzione rapida a qualsiasi richiesta è sempre possibile inoltrare una richiesta all’ufficio tecnico, via web, così come Garanzia3 offre sempre la possibilità di attivare online in tempo reale l’estensione del servizio tecnico acquistata.

 

Gli italiani utilizzano meno il contante. Carte: pagamenti elettronici a +6,5%

Il 2014 ha riconfermato il trend di costante crescita della diffusione degli strumenti di pagamento alternativi al contante, sia in termini di volumi che di numero di transazioni. Infatti, il numero dei pagamenti effettuati in Italia con strumenti diversi dal contante è cresciuto del +6.5% rispetto al +5.4% registrato l’anno precedente.

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Coerentemente con questa dinamica, si osserva una crescita, anche se meno sostenuta, del volume complessivo delle transazioni effettuate (+3.7%), che raggiungono il numero assoluto più alto degli ultimi cinque anni. Al contempo, si registra una diminuzione dell’importo medio transato annuo, pari a 1.860 Euro, rispetto ai 1.911 Euro del 2013 (-3%), che conferma il trend di riduzione iniziato nel 2011.

Sono queste l principali evidenze dell’Osservatorio sulle Carte di Credito realizzato da Assofin, CRIF e GfK, presentato oggi a Milano.

Nel corso del 2014 le carte di credito in circolazione nel nostro Paese continuano a diminuire (-3.5% rispetto al 2013), principalmente a causa delle politiche di razionalizzazione dell’offerta.

Interessante rilevare che il valore medio delle transazioni è in diminuzione di 3 euro dagli 87 euro del 2013, segno che in Italia l’utilizzo degli strumenti elettronici si sta diffondendo anche per acquisti di medio-basso valore, il che favorisce una maggiore trasparenza nei consumi.

Crescono poi del 5,1% le carte di debito in circolazione, così come quelle prepagate, che mettono a segno un +13,9%, con un valore medio delle transazioni di 46 euro, in ribasso per due anni consecutivi. Anche questo dato può essere spiegato dalla nuova abitudine da parte degli italiani di usare la moneta elettronica anche per l’acquisto di beni di importo più contenuto.

La strategia di Google: aiutare il retailer a cogliere l’attimo (di vendita)

C’era una volta un motore di ricerca, che nel giro di pochi anni sbaragliò la concorrenza (qualcuno si ricorda Netscape?) grazie alla grande efficenza garantita dagli ormai mitici algoritmi.

Oggi Google, forte di un fatturato di 15,5 miliardi di USD derivato solo dalla pubblicità nel primo trimestre 2015 (+11% dallo stesso periodo 2014), guarda al retail. Obiettivo: far trovare al consumatore il punto vendita più vicino, ed economico, in tempo reale, per l’acquisto di qualsiasi cosa. Che sia online o fisico, poco importa. L’importante è che il cliente ottenga ciò che vuole, nel minor tempo possibile (e senza tanti ripensamenti).
In questa direzione vanno i nuovi prodotti del colosso di Mountain View, come ha spiegato Jonathan Alferness, Global VP of Product Management and Shopping di Google al World Retail Congress settimana scorsa a Roma.

Jonathan Alferness
Jonathan Alferness di Google.

«È in atto una rivoluzione nel retail, e non siamo ancora all’apice perché ancora metà della popolazione mondiale deve connettersi. Al centro di tutto c’è il dispositivo mobile. Già in dieci Paesi la ricerca in mobilità ha superato quella da desktop, dunque i retailer hanno infinite opportunità di raggiungere i consumatori sul mobile». L’importante, secondo Alferness, è cogliere il momento, anzi il micromomento giusto. «Ci sono tantissime occasioni nell’arco della giornata nelle quali una persona ha bisogno di un contatto con la marca, mentre in molti altri momenti non vuole essere disturbata. I consumatori stanno interagendo con i retailer per brevissimi momenti di tempo, quando fanno ricerche in mobilità. Il 76% ricerca su smartphone o tablet prima di andare nel punto vendita, e una ricerca su tre genera una visita. Il futuro del retail sta proprio nella capacità di cogliere, di essere visibili in questi micromomenti».
Qualcuno in realtà lo sta già facendo: Darty ha un “bottone di emergenza” schiacciando il quale si viene richiamati entro 60 secondi, Argos riceve già il 25% di ordini via mobile, Amazon sperimenta con i droni, la britannica Jinn a Londra acquista e consegna qualsiasi cosa (dal pranzo al caffè al caricatore per il cellulare) da qualsiasi negozio in un’ora, Target ha aperto a San Francisco un nuovo tipo di store, chiamato Open House, in cui si invita chi entra a sperimentare le nuove tecnologie nel campo della domotica. Ma solo il 2% dei retailer sarebbe pronto a “cogliere l’attimo”.

Gallery: i tre errori dei retailer secondo Google

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«Noi ci consideriamo dei connettori, degli assistenti allo shopping finali, costruiamo una struttura». Con Google shopping innanzitutto, che risponde alla domanda implicita nella ricerca “dove trovo un frullatore?” con una serie di opzioni, online ma anche fisiche, un’opportunità per i piccoli negozi “smart” oltre che per le catene, considerato che le ricerche geolocalizzate sono aumentate di 34 volte dal 2011. Ma anche tramite YouTube: «pensate alle opportunità di vendita date dai video tutorial di YouTube, per il make-up ad esempio, visti da milioni di persone, se con un click si può comprare un prodotto descritto». Una sorta di “acquisto di impulso digitale” se vogliamo: è questo il “micromomento dello shopping”.

Patrick Dodd (Nielsen): «La personalizzazione è il futuro del retail»

In occasione del World Retail Congress abbiamo intervistato Patrick Dodd, Global President Retailer Vertica di Nielsen. In questo ruolo Dodd ha una visione ampia sulle trasformazioni in atto nel retail a livello globale.

Per Dodd la trasformazione del retail (il tema del WRC) passa dal consumatore e dal potere che è nelle mani di ciascuno shopper, mai così forte, grazie alla connettività. «Lo shopper è al centro della trasformazione ed è la chiave per il successo di ciascun retailer, indipendentemente dal canale».

Nel dibattito sull’omnicanalità, Dodd punta l’attenzione proprio sulla tecnologia e sulla sua semplificazione e si aiuta con l’esempio dei punti vendita di prossimità, che stanno riscuotendo un buon successo dovunque. «Il prossimo passo della prossimità – dice – è lo smartphone che tutti abbiamo in tasca. Credo che le aziende dovrebbero dedicare un po’ più di tempo a pensare come trasformare la retail experience sulle piattaforme mobili in un modo che sia il più semplice possibile per il consumatore».

Secondo Dodd vi sono due temi in cima alle preoccupazioni dei retailer: come gestire l’omnicanalità in maniera profittevole e, contemporaneamente, come rendere profittevoli le promozioni attraverso la fidelizzazione dei clienti.

Ma anche i produttori sono coinvolti nella retail transformation: «L’industria ha una grande opportunità e deve al più presto attivarsi per avere un ruolo multicanale. Avere offerte specifiche per i differenti canali e le diverse modalità nel percorso di acquisto degli individui sarà la chiave vincente per governare la crescita. Ciò significa però avere anche la capacità di cambiare i processi di business con modelli flessibili. I giorni del modello valido per tutti sono finiti. Il futuro è nella personalizzazione».

 

Che cosa avete perso al World Retail Congress 2015? In sette minuti lo racconta Fabrizio Valente (Kiki Lab)

Che cosa c’entrano eBay e Google con il retail? L’omnicanalita è d’obbligo. Ma quanto è redditizia?

Il World Retail Congress ci ha abituati ad affrontare con un pensiero laterale i grandi temi che attengono al mondo del retail con interventi che a una prima lettura possono sembrare poco congruenti per chi si trova tutti i giorni in prima linea a cercare di rendere soddisfatti i suoi clienti, a recuperarne o mantenere la fiducia. Ma in realtà nella tre giorni del congresso, che ha richiamato a Roma un migliaio di delegati da 60 Paesi, sono stati affrontati temi che influenzeranno il retail prima di quanto si immagini. Anzi, li stano già influenzando.

A Fabrizio Valente, fondatore e anima di Kiki Lab, partner di Ebeltoft Group, abbiamo chiesto un commento sui risultati dell’edizione appena conclusa del World Retail Congress.

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