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Tredicesima: dei 44,3 miliardi di euro la metà va agli acquisti, ma cresce il risparmio

La tredicesima? Chi ce l’ha, la metterà (almeno in parte) sotto il materasso. Tra questa e la prossima settimana circa 34 milioni di persone nel nostro Paese riceveranno la sospirata tredicesima mensilità, per un valore complessivo di 44,2 miliardi, l’1,2% in più rispetto allo scorso anno. Buone notizie per i retailer che pensano a un’iniezione di denaro tradizonalmente destinata agli acquisti natalizi? Sì e no. “Solo” la metà del totale (22,4 miliardi, lo 0,2% in più rispetto allo scorso anno) sarà infatti quest’amno destinata agli acquisti, mentre cresce la quota che sarà destinata al risparmio (+5,8% sul 2017, circa 600 milioni in più) per un totale di circa 11 miliardi di euro. È quanto emerge dalle elaborazioni dell’Ufficio Economico Confesercenti sui dati di un sondaggio condotto con SWG.

Oltre 10,8 miliardi di euro, invece, saranno utilizzati per saldare conti in sospeso e mutuo: una cifra elevata (il 22% del totale), ma in diminuzione dell’1,1% rispetto al 2017. Tra le spese, faranno la parte del leone quelle per la casa e la famiglia: questa voce assorbirà il 32% del totale delle tredicesime, per un totale di 14,7 miliardi, circa 219 milioni di euro in più rispetto al 2017. Diminuisce, invece, la quota della mensilità destinata ai doni: quest’anno saranno circa 7,7 miliardi euro, con una flessione del -2,2% (-171 milioni).


I regali più gettonati sono libri (segnalati dal 41% degli intervistati), capi d’abbigliamento (38%), regali gastronomici (33%), vini (20%), accessori moda, giochi o videogiochi e prodotti tecnologici, tutti e tre al 19%. Più distanti nella classifica dei doni più acquistati l’arredamento/cose per la casa (indicati dal 14%), gli elettrodomestici (11%), seguiti da calzature (8%) e viaggi (4%).

Molto diversa, invece, la classifica dei regali che gli italiani vorrebbero trovare sotto il proprio albero. In cima alle preferenze, a grande distanza, ci sono i buoni acquisto, da spendere come e quando si vuole nei negozi di propria scelta e desiderati dal 20% degli intervistati. Seguono i libri (16%), i prodotti tecnologici e i regali enogastronomici (entrambi al 15%), poi capi d’abbigliamento (13%), profumi o cosmetici (8%), smartbox o simili (5%), arredamento/cose per la casa (4%) e infine gioielli e giochi (entrambi al 2% delle preferenze).

La birra crea valore per l’Italia. I dati dell’Osservatorio Birra Moretti

In due anni, dal 2015 al 2017, il contributo della filiera della birra italiana alla crescita della ricchezza e al benessere del nostro Paese – il cosiddetto valore condiviso – è cresciuto di 1 miliardo di euro (+12,9%), passando da 7.834 miliardi a 8.863 miliardi di euro, equivalente allo 0,51% del PIL italiano.

Se la birra è un fenomeno ormai nazionale, la ricerca mostra che il “motore” della sua produzione è in Lombardia, regione che da sola è in grado di assicurare il 25,5% (pari a 2.269 milioni di euro) del totale del valore condiviso della birra in Italia.

I dati sono stati diffusi dall’Osservatorio Birra con la presentazione del 2° Rapporto La creazione di valore condiviso del settore della birra in Italia” realizzato da Althesys per conto della Fondazione Birra Moretti, Fondazione di partecipazione costituita nel 2015 da HEINEKEN Italia e Partesa al fine di contribuire alla crescita della cultura della birra in Italia.

Per calcolare il valore condiviso, lo studio ha analizzato tutte le fasi della filiera della birra (approvvigionamento materie prime, produzione, logistica, distribuzione e vendita), considerando gli effetti diretti (valore aggiunto, contribuzione fiscale, occupazione, ecc) delle attività dell’industria birraria italiana, quelli indiretti e indotti, le ricadute degli investimenti pubblici.

 LOMBARDIA, MOTORE DELLA PRODUZIONE DI BIRRA IN ITALIA

Quasi tutti gli indicatori (produzione, valore condiviso, occupazione, salari, contribuzione fiscale, etc) incoronano la Lombardia cuore pulsante di questo comparto. In questo contesto, la Lombardia acquista una speciale rilevanza perché da sola rappresenta circa un quarto della birra in Italia in termini di valore condiviso, di occupati e contribuzione fiscale). I 2.269 milioni di euro di valore condiviso generato dalla birra in Lombardia rappresentano lo 0,62% del PIL regionale e il 25,5% del totale del valore condiviso della birra in Italia.

Questa regione può contare infatti sulla presenza di importanti aziende internazionali e sul maggior numero di birrifici artigianali del paese (137[1], rispetto agli 80 del Piemonte e, ai 74 del Veneto e ai 63 della Toscana), che nel 2017 hanno prodotto complessivamente quasi 4 milioni di ettolitri di birra.

Analizzando gli oltre 2,2 miliardi di euro di valore condiviso della filiera lombarda della birra, 267,3 milioni fanno capo a ricadute dirette, 131,1 milioni di euro a ricadute indirette e 682,6 milioni a ricadute indotte.

La filiera della birra garantisce oltre 1 miliardo (1.062 milioni di euro) di contribuzione fiscale, pari al 5% del gettito tributario regionale.

In Lombardia la birra porta circa 662 milioni di euro di salari a beneficio di quasi 25 mila (24.463) dipendenti lungo tutta la filiera. Oltre 23 posti di lavoro complessivi per ogni addetto alla produzione birraria. Con questi numeri la Lombardia occupa il 26,6% del totale addetti nazionali (92.066).  

PRATOLONGO: LA BIRRA CREA VALORE PER L’ITALIA

Secondo Alfredo Pratolongo, Presidente di Fondazione Birra Moretti, “Da anni registriamo l’entusiasmo degli italiani verso il mondo della birra, i suoi stili, le nuove specialità, i suoi abbinamenti. Questo Rapporto aggiunge che quando cresce la conoscenza e della birra cresce anche il mercato e il valore condiviso generato in tutto il mondo “dietro” il bicchiere di birra. Siamo di fronte a una crescita ormai strutturale per un settore sempre più rilevante per la ricchezza del Paese. Se in Italia scomparisse, per un anno, tutto ciò che contribuisce alla produzione, distribuzione e consumo di birra, si creerebbe un “vuoto” in termini di ricchezza generata, per gli agricoltori che coltivano l’orzo, per chi produce il pack e le bottiglie, per chi lavora negli impianti produttivi, per chi la trasporta, immagazzina e vende, dai bar, ai ristoranti ai supermercati. La birra crea valore perché crea figure professionali specializzate, perché genera valore per l’impresa familiare, è un prodotto legato alle marche che si caricano di reputazione e immagine, perché gli investimenti garantiscono qualità del prodotto nel tempo, perché si produce con passione ma anche con ricerca, innovazione e investimenti”.

 

QUANTO VALE LA BIRRA IN ITALIA

Nel paragone con altri comparti del Made in Italy, la ricchezza generata dalla birra è di poco superiore al fatturato dei salumi (8 miliardi di euro), equivalenti a quello del sistema moda maschile italiano (9,3 miliardi di euro) e di poco inferiori al business della cosmetica in Italia (circa 10 miliardi di euro).

Raffrontato al settore delle bevande in generale (dati Istat), il valore condiviso della birra rappresenta circa la metà (47%) del valore della produzione di bevande nazionale (che ammonta a 18,9 miliardi), è pressoché pari alla produzione vinicola (stimata in 9,5 miliardi nel 2017) e rappresenta il 186% del valore produttivo di soft drink e acque minerali (stimato in 4,8 miliardi).

                                                                                

4,2 MILIARDI DI EURO DI CONTRIBUTO FISCALE

Nel confronto con la prima edizione del rapporto, scopriamo che negli ultimi 2 anni la contribuzione fiscale della filiera della birra in Italia è aumentata ad un ritmo ancora più alto del marcato: +17,7%, passando da 3,6 a 4,2 miliardi di euro (+17,7%).

La filiera della birra è dunque come una grande azienda che distribuisce salari lordi di quasi 2,5 miliardi di euro (2.471 milioni di euro) e paga allo Stato contributi fiscali pari a 4,2 miliardi di euro. Quasi l’1% (0,92%) delle entrate fiscali complessive del nostro Paese.

NUOVI POSTI DI LAVORO COLLEGATI ALLA BIRRA

Dal 2015 al 2017 la filiera della birra è stata in grado di offrire ben 6000 posti di lavoro in più (il numero di dipendenti nel 2015 era infatti di 87.668). in particolare nel 2017 per ogni addetto alla produzione della birra, il settore è riuscito ad assicurare ben 22 occupati complessivi a livello di filiera. In termini di occupazione la birra assicura lavoro a 92.066 dipendenti distribuiti proporzionalmente lungo l’intera filiera.

BIRRA ANTICRISI NELL’HORECA

La birra, dunque, non fa bene e non porta ricchezza solo a chi la produce. Anzi, di questa crescita nel 2017 hanno beneficiato soprattutto le fasi a valle e a monte della filiera.

Il valore condiviso relativo alle forniture di materie prime è salito dai 273,3 milioni del 2015, ai 391,3 milioni di euro (+45%). Numeri importanti anche per la fase di distribuzione e vendita, che passa da 6.041 a 6.856 milioni di euro (+13,5%).

In questo contesto va sottolineata la performance dell’Horeca che cresce da 4.859 a 5.661 milioni di euro. Il mondo che ruota attorno ai consumi fuori casa di birra è arrivato a rappresentare il 64% (2 anni fa era il 58,5%) del totale del valore condiviso della filiera birra. I valori dell’off-trade, relativi ai consumi casalinghi, si mantengono stabili (1.907,7 milioni nel 2015 e 1.194,5 milioni nel 2017).

[1] Di cui 105 microbirrifici e 32 brewpub. Fonte: Annual Report 2017 AssoBirra da Unioncamere – Infocamere

La spesa online aumenta del 13% in tutto il mondo: i dati Kantar Worldpanel

Cresce l’e-commerce anche della spesa alimentare, in tutto il mondo: la conferma viene dagli ultimi dati di Kantar Worldpanel, che registrano un +13% di vendite online di generi alimentari a livello globale nei 12 mesi terminati a giugno 2018 e ora rappresentano il 6,3% di tutte le vendite di beni di largo consumo (FMCG) in tutto il mondo. In totale, le vendite di FMCG (online e offline) aumentano dell’1,6%  sebbene sia la crescita dell’e-commerce più lenta in cinque anni.

I maggiori contributi alla crescita del commercio elettronico di beni di largo consumo vengono dalla Cina continentale e dagli Stati Uniti, entrambi cresciuti del 30%, in linea con il tasso di crescita medio delle vendite globali di beni di largo consumo online nell’ultima metà del decennio. In termini di quota online delle vendite totali, le economie asiatiche sono all’avanguardia. La Corea del Sud è in testa alla classifica con una quota di mercato del 19,9%, seguita dalla Cina continentale (9,5%), dove l’accesso alle aree rurali è cruciale nell’espansione della penetrazione del commercio elettronico. Seguono Taiwan (8,0%), Giappone (7,6%), Regno Unito (7,2%) e Francia (5,6%).
 “>Seguono Taiwan (8,0%), Giappone (7,6%), Regno Unito (7,2%) e Francia (5,6%).

FMCG crescita a valore

Country

Total FMCG value growth (online and offline)

Online FMCG value growth

Globale

1.6%

13.0%

Cina

4.5%

30.0%

US

0.5%

30.0%

Taiwan

3.7%

23.4%

Corea del Sud

4.5%

20.0%

Spagna

3.3%

11.7%

Francia

1.3%

6.5%

UK

3.4%

4.6%

Giappone

-0.1%

1.2%

Fonte: Kantar Worldpanel, 12 medi terminanti a giugno 2018

 

Online FMCG velore vendite, % sulle vendite totali FMCG

E-Commerce quota a valore (%)

12 m/ a giugno 2017

12 m/a giugno 2018

Globale

5.8%

6.3%

Corea del Sud

16.6%

19.9%

Cina

7.3%

9.5%

Taiwan

6.5%

8.0%

Giappone

7.6%

7.6%

UK

7.1%

7.2%

Francia

5.2%

5.6%

Spagna

2.1%

2.3%

US

1.7%

2.2%

Portogallo

1.5%

1.7%

Malesia

1.0%

1.5%

Thailandia

0.8%

1.2%

Vietnam

0.3%

1.2%

Argentina

0.7%

1.1%

Brasile

0.1%

0.1%

Fonte: Kantar Worldpanel, 12 medi terminanti a giugno 2018

 

I pure players battono i retailer tradizionali
I giocatori online puri come Amazon, Alibaba e JD.com attirano nuovi acquirenti, mentre i rivenditori tradizionali vedono un calo dei clienti online. In Asia, i pure players hanno compiuto passi significativi nel consolidare la crescita del loro mercato nell’ultimo anno: nella sola Corea del Sud, i giocatori puri rappresentano ora l’84,5% del mercato FMCG online e attirano tre su quattro acquirenti di generi alimentari online.
Giocatori puri rispetto ai rivenditori tradizionali (offerta di mattoni e malta e e-commerce), percentuale di condivisione del valore online
 Quota di valore (%)

Pure players vs retailer tradizionali
% quota a valore dell’online

Value share (%)

Pure players

Retailer tradizionali

Global

58.3%

41.7%

Corea del Sud

84.5%

15.5%

Cina

98.9%

1.1%

Taiwan

67.5%

32.5%

UK

16.0%

84.0%

Spagna

21.0%

79.0%

Argentina

4.4%

95.6%

Source: Kantar Worldpanel, 12 months ending June 2018

 
Comportamenti d’acquisto: mobile, non sempre, arrivano gli abbonamenti
Quasi nove  acquirenti cinesi su 10 preferiscono utilizzare il proprio smartphone per fare acquisti online di FMCG. Per contro, solo il 29% degli acquirenti britannici preferisce il mobile: quasi la metà dei consumatori nel Regno Unito utilizza un laptop, così come francesi e spagnoli.
Eric Batty, direttore globale dello sviluppo del business e-commerce di Kantar Worldpanel, commenta: “Il fatto che il 90% dei consumatori cinesi utilizzino i loro smartphone per acquistare generi alimentari online è sconcertante e mostra cosa si può ottenere. I rivenditori e i marchi europei hanno molto da imparare – hanno un’enorme opportunità di aumentare le vendite tra un pubblico più dinamico ed esperto che preferisce fare acquisti in questo modo. Tuttavia, è fondamentale che adottino un approccio Paese per Paese per riconoscere i diversi dispositivi, siti Web e app che gli acquirenti scelgono di utilizzare in diversi mercati geografici “.

La consegna a domicilio di generi alimentari online è stata adottata da quasi tutti gli acquirenti online britannici e cinesi, ma c’è una crescita in Francia e in Spagna. Nel frattempo, i consumatori britannici si stanno progressivamente spostando verso un nuovo modello: gli abbonamenti, utilizzati dal 16,1% degli acquirenti online del Paese, rappresentano un’opportunità per il resto dell’Europa e nella Cina continentale.

“Solo un quarto della popolazione mondiale attualmente acquista i propri prodotti alimentari online, quindi sarà fondamentale attrarre nuovi acquirenti offrendo un’esperienza di shopping semplice e comoda, sia online che offline” afferma Stéphane Roger, global shopper e retail director presso Kantar Worldpanel.
rappresenterà . Mentre la terraferma
“Prevediamo che entro il 2025 oltre il 10% delle vendite globali di FMCG avverranno online. Cina e Stati Uniti continueranno a fare strada e i mercati asiatici rimarranno all’avanguardia nell’adozione online, ma c’è ancora molto da giocare in tutto il mondo, specialmente esplorando le opportunità di investire in mercati emergenti come India, Indonesia, Brasile, Messico e Africa”.

Quanto sono disposti a spendere gli italiani per i prodotti sostenibili? Il 10% in più

Spesa sostenibile sì, certamente, basta non spendere troppo. E quanto sia questo “troppo” lo quantifica il più recente Osservatorio mensile realizzato da Findomestic in collaborazione con Doxa: non devono costare oltre il 10% in più. È il pnsiero di quasi sette italiani su dieci. Soltanto l’1% degli intervistati è disposto a spendere oltre il 20% in più.

“Sebbene il tema della sostenibilità sia sempre più al centro dell’attenzione dei consumatori – commenta Claudio Bardazzi, responsabile dell’Osservatorio Findomestic – il prezzo rimane il principale driver di spesa per il 64% degli intervistati e ben un cittadino su quattro dichiara di non potersi permettere spese aggiuntive per prodotti ‘verdi’ ed etici”.

La sostenibilità si gioca prima di tutto a tavola. Chi si dichiara interessato al tema della sostenibilità è disposto a pagare di più soprattutto per beni alimentari (29%), interventi di riqualificazione dell’abitazione (13%), elettrodomestici e automobili (9%).

Sull’amore del Pianeta vince però un sano, italico scetticismo. Il 51% degli intervistati da Findomestic associa la sostenibilità a un impegno concreto delle aziende per ridurre il loro impatto sull’ambiente, un altro quarto (25%) pensa che la sostenibilità sia a tutti gli effetti uno stile di vita sempre più diffuso. Il 24% degli intervistati rimane invece scettico: per il 9% la sostenibilità è un ideale portato avanti dagli ambientalisti, per il 9% si tratta di uno slogan utilizzato dalle aziende per vendere di più, per il 4% si configura come un costo per le imprese e per un altro 3% è una moda passeggera. 

Gli italiani si spaccano in due quanto si tratta di comportamenti sosteniblli. Secondo l’Osservatorio Findomestic il 43% degli italiani adotta comportamenti sostenibili per contribuire alla tutela dell’ambiente, mentre il 37% lo fa perché ha a cuore il benessere delle generazioni future. La sostenibilità è fatta anche di piccoli gesti alla portata di tutti: il 58% degli intervistati dichiara di prestare attenzione alla raccolta differenziata, il 42% di ridurre al minimo i consumi, il 23% di limitare riscaldamento e condizionamento ove possibile e un altro 22% cerca di ricorrere alla riparazione degli oggetti piuttosto che alla loro sostituzione. Il 17% degli intervistati preferisce gli “spostamenti sostenibili”, scegliendo di muoversi a piedi o in bicicletta o con i mezzi pubblici (10%), oppure utilizzando servizi di car, moto e bike sharing (4%).

 

Cosa deve fare un’azienda sostenibile?

Le aziende sostenibili sono, secondo il campione intervistato da Findomestic, quelle che si sforzano di ridurre le emissioni e l’impatto ambientale (62% con punte del 66% tra le donne). Ci sono altri fattori che secondo gli italiani caratterizzano un’azienda sostenibile: l’adozione di un codice etico di comportamento (28%), dare priorità a ricerca, sviluppo e innovazione (26%), tutelare le condizioni lavorative dei propri dipendenti (25%), mantenere la produzione sul suolo nazionale (23%).

Meno prioritari appaiono il miglioramento della qualità dei prodotti/servizi a beneficio dei consumatori (16%), lo sviluppo del territorio in cui opera (15%), la generazione di occupazione (13%), informazioni chiare e trasparenti sui prodotti (12%) e sull’operato finanziario (10%).

 

Tra il nutriente e l’edonistico si muove la spesa degli italiani

Si muove a zig zag in direzioni che a prima vista potrebbero apparire contrastanti la spesa degli italiani: più proteine, fibre e grassi (e quindi più calorie) ma meno zuccheri, tra salute, italianità ed edonismo. Lo rivela la quarta edizione dell’Osservatorio Immagino Nielsen GS1 Italy, lo studio realizzato da Nielsen e da GS1 Italy che, ogni sei mesi, incrocia oltre 100 indicazioni presenti sulle confezioni dei prodotti di largo consumo con le rilevazioni scanner di Nielsen su venduto, consumo e fruizione dei media.

“Nella scelta di cosa comprare nel mondo alimentare entrano in gioco tanti “ingredienti” che concorrono alle scelte: il cuore e la mente, i sensi e il portafoglio. E ognuno combina il proprio mix come preferisce e come può – commenta Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy -. La comunicazione dei beni di largo consumo influenza questo complesso processo di scelta in diversi modi: attraverso le informazioni di prodotto veicolate dalle etichette, con elementi che colpiscono la sfera delle emozioni, dell’irrazionale, della gratificazione e dell’esperienza multisensoriale e con il posizionamento di prezzo, diretto alla sfera più razionale. In questo processo in continuo movimento l’Osservatorio Immagino cattura l’operato dell’offerta e le scelte della domanda, misurandone il risultato finale e restituendo un quadro aggiornato dei consumi degli italiani».

La nuova edizione dell’Osservatorio Immagino ha analizzato le informazioni riportate sulle etichette di ben 94.179 prodotti digitalizzati dal servizio Immagino di GS1 Italy (10 mila in più rispetto all’edizione precedente). Di questi, 54 mila sono prodotti alimentari che riportano la tabella nutrizionale: è su questo sub-campione che è stato elaborato il metaprodotto Immagino, l’unico indicatore statistico che riesce a misurare la qualità nutrizionale della spesa degli italiani e a seguirne l’evoluzione nel corso del tempo.

Dall’analisi è emerso che, tra giugno 2017 e giugno 2018, il carrello della spesa degli italiani è diventato più nutriente: l’apporto calorico medio è salito del +0,2%, arrivando a 182,8 calorie per 100 g/ml. Il nuovo mix di acquisti alimentari degli italiani, con l’aumento degli acquisti di alcuni prodotti a maggior tenore di grassi e con un più alto apporto calorico, ha avuto come effetto l’aumento dell’incidenza sul metaprodotto Immagino di alcune componenti percepite come positive (come fibre e proteine) e di quelle energetiche (come i lipidi) ma anche il calo di quelle considerate più critiche (come carboidrati e zuccheri).

A livello più generale, le scelte alimentari degli italiani continuano a essere guidate da un tandem di valori: il salutismo e l’edonismo. Uno scenario fotografato con efficacia dall’Osservatorio Immagino che, nell’anno terminato a giugno 2018, tra le otto grandi tendenze più rilevanti sul carrello della spesa, rileva trend positivi soprattutto nelle vendite di alimenti legati al lifestyle (ossia biologici, veg, halal e kosher, +8,9%) e di prodotti rich-in (in particolare integrali o con fibre, +5,2%). Ancora positiva, ma più lenta che nei mesi scorsi, la crescita delle vendite di prodotti per intolleranti al glutine o al lattosio (+3,2% contro il +4,4% dei 12 mesi precedenti) e “free from” (+1,0% rispetto al +2,3% dell’anno mobile precedente).

Su tutti i trend aleggia però incontrastata la ricerca dell’italianità dichiarata in etichetta, che accomuna il 25,1% dei prodotti e raggiunge il 22,5% di quota sul giro d’affari complessivo del mass market, in crescita del 3,5% rispetto all’anno finito a giugno 2017. Complessivamente sono oltre 6,4 miliardi di euro le vendite generate dai prodotti che riportano in etichetta claim come “100% italiano”, “made in Italy” e “solo ingredienti italiani”, pittogrammi (come la bandiera nazionale) e indicazioni geografiche riconosciute in ambito Ue (come Dop, Igp, Doc e Docg).

Pizza amata pizza, è la “schiscetta” preferita di un italiano su due

Sarà la scoperta dell’acqua calda che gli italiani amano la pizza, ma forse sorprenderà sapere che più di uno su due la mangia regolarmente a pranzo. Il “grande classico” della cucina del Belpaese infatti per un italiano su due (il 52%) a pranzo, batte pasta (43%) insalate (13%) e panini (39%). E c’è chi la mangerebbe ogni giorno (4%), perché “dà una certa soddisfazione a livello emotivo” (39%) e perché, essendo versatile, può essere mangiata ovunque (13%). Per il 14%, poi, favorisce la condivisione, è un rituale effettuato con gli amici (29%) o con il proprio partner (18%). Che sia la margherita, scelta dai più tradizionalisti (27%), oppure una ad impasto speciale (24%), come per esempio con farina integrale, di kamut o senza glutine, la pizza è ritenuta una fra le pietanze più attraenti.

I dati emergono da uno studio promosso dall’Osservatorio Buitoni Culinary Lab, attraverso metodologia WOA (Web Opinion Analysis) effettuato su circa 2500 italiani di età compresa tra i 20 e i 55 anni, attraverso un monitoraggio dei principali social network, blog, forum e community web per conoscere perché la pizza è una delle pietanze più consumate a pranzo.

 

Il pranzo degli italiani, tra pizza e panino

Ma cosa mangiano gli italiani a pranzo? Di sicuro vince il carboidrato. Oltre alla pizza, favorita da  poco più della metà degli italiani, al centro della tavola e delle pause pranzo lavorative c’è un altro “classicone”, la pasta, preferito dal 43% preferisce mangiare un piatto di pasta. Chi ha poco tempo a disposizione, invece, punta tutto su un panino imbottito o un trancio di focaccia (39%), contro il 29% di chi mangia una piadina. Una minoranza pranza con un secondo di carne a base di pollo o tacchino (21%), un’insalatona (13%) o un cous cous alle verdure o di pesce (7%).

 

La pizza piace perché emoziona

Il legame tra italiani e pizza va oltre il gusto e pare si svolga molto a livello emotivo, tra ricordi d’infanzia e immaginario comune. Il 39% si confessa “soddisfatto a livello emotivo” quando la ha davanti e il 24% si sente appagato dopo averla mangiata. Essendo poi un piatto versatile, può essere mangiato ovunque (13%) e preparato velocemente (11%). Appena un italiano su 10 (7%) sostiene di mangiare la pizza per variegare il proprio menù, apprezzandola anche per il fatto che possa essere consumata fredda (5%). Non solo. Per poco più di 4 italiani su 10 (42%) la pizza è un “mix di emozioni, che provo sia in bocca che a livello emotivo”, mentre il 31% punta sul fatto che sia una fra le pietanze della tradizione italiana più conosciuta al mondo. Il 24% sostiene invece che sia il classico compromesso che mette d’accordo tutti: fra chi vuole andare fuori per mangiare etnico, a trionfare è la proposta della pizza. Il 19% degli italiani, infine, non riesce a fare a meno di pensare a un gruppo di persone riunite e, quindi, alla condivisione (14%) e all’allegria, buon umore e spensieratezza che si provano (5%).

 

“Almeno una volta alla settimana” per uno su due

Con che frequenza gli italiani mangiano la pizza? “Almeno una volta alla settimana” è la risposta di un italiano su due (52%), mentre il 34% confessa di cedere alla tentazione quando viene loro voglia. Solo un italiano su 10 (10%), se capita, la domenica a pranzo quando è riunita tutta la famiglia. Il 4%, infine, ammette che la mangerebbe tutti i giorni. I “compagni di mangiata” preferiti per il 32% sono conoscenti o colleghi di lavoro, mentre il 29% degli italiani preferisce mangiarla insieme agli amici il sabato sera, prima di andare a divertirsi, perché “è quasi un obbligo”. Quasi 2 italiani su 10 (18%) preferiscono condividere il rituale della pizza con il proprio partner. Il restante 21% si divide fra chi preferisce ritagliarsi uno spazio tutto per sé (5%) e chi è più tradizionalista e la mangi con la propria famiglia (16%).

Se il 42% la mangia al ristorante, il 36% si è inventato la “schisc-o’ pizza”, cioè una “schiscetta” formata da tranci di pizza, che possono essere mangiati freddi oppure scaldati al microonde. Il 39%, per non perdere troppo tempo, preferisce chiamare la pizzeria e farsela portare direttamente a casa, mentre il 12% sceglie l’asporto e se la mangia facendo una camminata. Soltanto 3 italiani su 10 (31%) la consumano all’interno delle mura domestiche.

 

Prosciutto e funghi la preferita

Tra i gusti a sopresa la prosciutto e funghi è il gusto preferito da un terzo degli italiani (32%), ma tiene duro anche la margherita che, scelta dal 27%, viene considerata “la più buona in assoluto”. Il 24% si differenzia dai più per prediligere una pizza a impasto speciale, come quella con farina integrale, di kamut e senza glutine. Gli altri gusti amati sono le meno ortodosse margherita con aggiunta di wurstel (23%) e “con una montagna di patatine fritte” (21%), mentre un italiano su 10 ordina sempre la quattro stagioni (16%), quella alle verdure (19%) e una bianca, senza pomodoro (11%). La zola e pere (1%) e la quattro formaggi (3%) sono altri gusti scelti da coloro che vogliono provare qualcosa di particolare.

Gli italiani infine discutono sullo spessore: per il 42%, deve essere sottile, sottilissimo; mentre il 12% lo preferisce alto, a patto che l’impasto sia ben lievitato. Tre italiani su 10 (33%), invece, considerano fondamentale il cornicione, che deve essere fatto “a regola d’arte”, come quello tipico napoletano; mentre il 34% adora le pizze con una grande quantità di ingredienti. Ci sono infine i tradizionalisti (21%), che prendono sempre la margherita, coloro a cui piace un “tocco” di olio extravergine d’oliva piccante (6%) e chi (3%), come decorazione, vuole una foglia aromatica di basilico.

Black Friday, 7 su 10 si rivolgeranno ai negozi fisici: l’analisi di Tiendeo

Il Black Friday è ormai diventato parte delle nostre abitudini (basta non chiamarlo venrdì nero che porta male), e Tiendeo sta già facendo i conti in tasca degli italiani. Se l’82% degli italiani è intenzionato a comprare, 7 su 10 lo faranno in un negozio fisico mentre la spesa media prevista è di 304 euro.
Se da un lato i consumatori pianificano la propria strategia di acquisti in funzione dei prodotti di cui hanno realmente bisogno, anticipando ad esempio gli acquisti natalizi, dall’altro approfittano per comprare prodotti in forte sconto che non pensavano di acquistare. Arrivando a spendere nell’ultimo venerdì del mese tradizionalmente riservato alle vendite scontate – che quest’anno cade il 23 novembre – la metà in acquisti di impulso.
Tiendeo.it, la piattaforma di offerte geolocalizzate e cataloghi, ha realizzato uno studio per scoprire quali siano le intenzioni di acquisto e pianificazione e per conoscere l’impatto di questo evento sull’affluenza ai negozi fisici.

Nonostante l’aumento degli acquisti online, i vantaggi offerti dai negozi fisici, come la possibilitàdi vedere e toccare il prodotto, continuano a far propendere la bilancia a favore degli acquisti offline. Solo il 21% degli intervistati di Tiendeo prevede di effettuare esclusivamente acquisti via Internet.

Su questa linea sono i dati relativi allo scorso Black Friday forniti da TiendeoGeotracking, che indicano un aumento del 48% dell’affluenza ai negozi rispetto al venerdì precedente l’evento. Per quanto riguarda gli orari, le fasce preferite sono quella tra le 10 e le 11, che concentra il 20% delle visite, e quella dalle 16 alle 18, scelta dal 30%.

Una delle caratteristiche principali del Black Friday èl’aumento degli acquisti di impulso. I dati di Tiendeo.it segnalano che il 57% degli italiani non pianificheràanticipatamente cosa comprare, ma gli acquisti effettuati dipenderanno dalle promozioni e dalle offerte disponibili sul momento. Infatti, solo il 31% dei consumatori pensa di approfittare del “venerdì dello shopping” di sconti per comprare prodotti di cui ha bisogno da tempo, e solo un 12% pensa di acquistare in anticipo i regali di Natale alla ricerca di prezzi piùbassi, oppure articoli di decorazione e alimentari.
Per quanto riguarda gli utenti pianificatori, 3 su 4 intervistati riconoscono di ricorrere al canale online con l’obiettivo di mantenersi informati sulle migliori offerte disponibili.

 

Moda ed elettronica protagonisti
In linea con i risultati dello studio, il 62% degli italiani intervistati pensa di comprare alcuni articoli di moda o calzature, seguono gli articoli di elettronica (41,1%) e gli elettrodomestici (33,3%).
Gli italiani prevedono per l’occasione una spesa media di 304 euro, dedicando in media 149 euro a moda e scarpe, cifra che aumenta vertiginosamente quando si tratta invece di elettronica (schizzando a 349 euro) o elettrodomestici (389 euro).
A causa del crescente interesse che il Black Friday suscita tra i compratori, i retailer approfittano di questa data per lanciare una grandissima quantitàdi offerte volta ad aumentare le vendite in attesa del periodo natalizio, giàdi per sé altamente consumistico.

Black Friday, ma quanto risparmio? Idealo fa i conti, gli italiani aderiscono

È sempre più diffusa conoscenza e uso del Black Friday, usanza anglosassone che, complice l’e-commerce, è arrivata anche da noi entrando nelle abitudini dei consumatori italiani e diventando un’occasione multicanale di inaugurare le spese natalizie, e non. Lo rivela un’indagine di Idealo, portale internazionale di comparazione prezzi, che rilascia alcuni dati esclusivi sul venerdì più commerciale dell’anno rendendo noto, ad esempio, che nel corso dell’appuntamento 2017 il risparmio medio massimo è stato collegato ai giochi per la PS4 (-14,4%).

Tra le categorie di prodotti maggiormente cercate nel 2017 ci sono smartphone, televisori, asciugatrici, aspirapolvere e tablet. La top five dei dieci prodotti più desiderati in assoluto durante il Black Friday 2017 ha visto al primo posto lo smartphone Huawei P10 Lite, seguito da Apple iPhone 7, dalle scarpe Dr Martens 1460 da donna, da FIFA 18 e dall’iPhone SE.

Le cinque categorie di prodotto più convenienti – che possono darci un’idea di quelli che saranno i settori in cui poter risparmiare di più anche quest’anno – sono state giochi per PS4 (-14,4%), smartwatch (-11,0%), scarpe da corsa (-10,4%), auricolari (-9,4%) e profumi femminili (-8,1%).

 

Attenzione in crescita

Nel 2017 in Italia il Black Friday ha registrato un aumento di interesse del 29,8% che ha generato in solo quattro giorni il 20,4% di acquisti in più.

Ma chi si è maggiormente rivolto al “venerdì nero”? Tra gli utenti più attivi, al primo posto si è posizionata la fascia di e-consumer tra i 35 e i 44 anni (27,9%); sono seguiti i giovani tra i 25 e i 34 (21,9%) e in una posizione leggermente inferiore gli adulti tra i 45-54 anni (21,0%). Gli uomini si sono confermati i più appassionati con il 64,1% delle ricerche (le donne “solo” il 35,9%). Così come anche negli altri periodi dell’anno, il picco delle ricerche è stato registrato tra le 9 e le 10 di sera.

Tra le reguoni, al primo posto troviamo il Trentino  (+59,9%), seguito dal Friuli-Venezia Giulia (+44,5%), dalla Lombardia (+37,6%), dal Piemonte (+36,9%), dalle Marche (+36,9%) e dal Veneto (+36,7%). Le tre regioni italiane meno coinvolte sono state, invece, Valle d’Aosta(+16,4%), Calabria (+13,5%) e Molise (+5,6%).

Infine, secondo un sondaggio condotto in Germania da idealo a fine Settembre 2018, il budget previsto per il Black Friday 2018 è di 300 Euro a persona; il 67% degli utenti online pianificherà in anticipo gli acquisti di venerdì 23 Novembre 2018.

Le previsioni sono poi per un veenrdì sempre più protagonista: cresce infatti il divario con il Cyber Monday, il lunedì seguente tradizionalmente dedicato agli acquisti da desktop, in ufficio, che con l’affermarsi del mobile commerce perde terreno.

Sarà un Natale di acquisti digital (+13%): da smartphone, su Instagram e nella CyberWeek

Anche a Natale, la festa più tradizionale (ma anche, diciamocelo, più consumistica) dell’anno l’influenza del digital sugli acquisti è sempre maggiore: con il 68% delle visite ai portali e-commerce da smartphone, le raccomandazioni d’acquisto basate sull’Intelligenza Artificiale che incideranno fino al 35% del totale delle vendite (+25% rispetto alla stagione invernale 2017), quattro acquisti online su dieci effettuati durante la Cyber Week e il traffico e-commerce da Instagram in aumento del 51% secondo Salesforce, azienda leader mondiale nel CRM. Che ha pubblicato insight e previsioni relativi al comportamento dei consumatori nell’imminente periodo dello shopping natalizio 2018.
I dati provengono dall’analisi combinata del comportamento d’acquisto di 500 milioni di consumatori (in 53 Paesi del mondo) e miliardi di transazioni gestite con la soluzione Commerce Cloud di Salesforce, con i dati del settore retail del report annuale Shopper-First Retailing.

È stato inoltre calcolato che il fatturato proveniente dal commercio elettronico previsto per le festivitànatalizie del 2018 cresceràdel 13% rispetto allo scorso anno, merito soprattutto delle raccomandazioni d’acquisto generate dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale, attualmente responsabili del 35% degli incassi. 

 

Mobile first

A dominare saràlo shopping da mobile: si prevede che per la prima volta gli acquisti da smartphone supereranno quelli da PC e da tablet. Il 46% di tutti gli ordini verrà concluso via smartphone, il 44% da computer e solo il 9% da tablet. Il mobile saràresponsabile per il 68% di tutto il traffico e-commerce della stagione, un nuovo massimo storico (+19% rispetto al 2017). Il traffico proveniente da mobile raggiungeràil picco nel giorno della vigilia di Natale, quando i consumatori ricorreranno ai loro smartphone, andando a rappresentare il 72% delle visite totali ai portali di e-commerce e facendo registrare il 54% degli ordini per l’intera giornata.

 

Aspettando il Black Friday
Negli ultimi anni hanno preso piede anche in Europa i fenomeni statunitensi del Black Friday e del Cyber Monday, relativamente il venerdì e il lunedì successivi al giorno del Ringraziamento che negli Stati Uniti danno il via alla stagione degli acquisti natalizi. Quest’anno la cosiddetta “Cyber Week”, ossia l’intera settimana che precede il “lunedì cibernetico” ormai quasi interamente dedicata agli sconti online, varràil 40% di tutte le entrate e- commerce dell’intera stagione natalizia a livello globale. Il Black Friday si prepara a essere di nuovo la migliore giornata per lo shopping online nel mondo, conquistandosi da solo il 10% di tutte le entrate della stagione festiva, mentre il Cyber Monday rappresenterà l’8% delle vendite. I cinque giorni migliori per lo shopping online (classificati in base alle vendite registrate a livello globale) saranno il Black Friday, il Cyber Monday, il giorno del
Ringraziamento e il sabato e la domenica immediatamente successivi (che negli Stati Uniti sono già stati rinominati Cyber Saturday e Cyber Sunday). In ogni caso, il 50% dello shopping online natalizio del 2018 verràcompletato entro il 2 dicembre, un giorno in anticipo rispetto all’anno scorso.

 

Instagram star dei social anche per gli acquisti

La vera grande novitàdello shopping natalizio di quest’anno saràInstagram, che si attesta come il canale social in piùrapida crescita per il traffico digitale dei siti di e-commerce: registreràun aumento del traffico del 51% rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente, mentre Facebook subiràun calo del 7%. Nel periodo natalizio, il traffico e-commerce generato dai social supereràil 5%, registrando un aumento del 17% rispetto all’anno scorso.
Tra i consumatori, è chi acquista prodotti per la bellezza e il benessere il più propenso a utilizzare Instagram per arrivare su un sito di e-commerce in cui effettuare l’acquisto.

Infine, la spedizione gratuita saràun must per l’intera stagione: il 72% di tutti gli ordini verrà effettuato ricorrendo a questa modalitàdi spedizione, registrando un sensibile aumento rispetto all’anno scorso.

La ricerca di Publicis.Sapient e Salesforce èstata sviluppata tramite un sondaggio tra i consumatori includendo domande presenti nella ricerca elaborata lo scorso anno e nel sondaggio Salesforce Connected Shopper del 2017, oltre a nuove domande elaborate per affrontare il tema delle nuove tecnologie emergente e delle nuove tendenze nel retail. Il sondaggio ha analizzato le risposte online di 6.000 persone, con età superiore ai 18 anni e selezionate in base alla frequenza di acquisto nei negozi e online, in 6 paesi (1.000 partecipanti in ciascun paese): Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Canada e Australia.

 

Fairtrade nel mondo a 8 miliardi di euro (+8%) e 178 milioni di “premio” ai contadini (+19%)

Aumentano le vendite globali di prodotti Fairtrade: nel 2017 hanno raggiunto gli 8,5 miliardi di euro nel mondo, con un incremento del 9% ma, soprattutto, hanno assicurato un Premio di 178 milioni di euro (+19% rispetto all’anno precedente) alle organizzazioni di agricoltori e lavoratori, in aggiunta al reddito ricavato dalla vendita dei prodotti, da investire in progetti di sviluppo scelti da loro. I dati sono pubblicati nel Working together for fair and sustainable trade, il rapporto annuale di Fairtrade International.

Il quale testimonia gli sforzi dell’organizzazione del commmercio equosolidale per supportare agricoltori e lavoratori nel raggiungimento di condizioni di vita sostenibili, in un momento nel quale, ad esempio, i prezzi del caffè mondiale hanno raggiunto i livelli più bassi degli ultimi 12 anni.

Il rapporto 2017-2018 illustra il programma di sostenibilità per condividere i benefici del commercio in modo più equo: intensificare le strategie per ottenere redditi che permettano condizioni di vita dignitose e salari adeguati per agricoltori e lavoratori, rafforzare la posizione delle donne e dei giovani per guidare il cambiamento nelle loro comunità, sostenere le organizzazioni di agricoltori nel mitigare gli effetti del cambiamento climatico e collaborare con partner internazionali per contribuire alla realizzazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

 

Uk primi della classe, cacao +57%

Nel corso del 2017, Fairtrade ha lavorato con oltre 1,6 milioni di agricoltori e lavoratori in 75 Paesi, e sono circa 30.000 i prodotti a marchio FAIRTRADE disponibili in 150 Paesi. Il Regno Unito continua ad essere il più grande mercato per valore delle vendite al dettaglio, seguito da Germania e Stati Uniti, ma la maggior parte degli altri mercati Fairtrade è cresciuta a doppia cifra.

Anche i volumi di vendita dei principali prodotti sono aumentati significativamente nel 2017. In particolare, quelli del cacao del 57%. Le vendite di zucchero hanno registrato una forte crescita, del 30%, recuperando il calo significativo dovuto alla decisione dell’Unione Europea, nel 2015, di abolire i limiti sulla produzione di prodotti in concorrenza con lo zucchero di barbabietola europeo. I coltivatori di caffè hanno beneficiato di un aumento delle vendite del 15% e i produttori di banane hanno venduto l’11% in più rispetto all’anno precedente.

Le vendite dei primi sette prodotti Fairtrade.

“Crediamo che tutti gli agricoltori e i lavoratori meritino di guadagnarsi da vivere per ciò che coltivano – ha detto Darío Soto Abril, Global CEO di Fairtrade International -. Negli ultimi due anni, i cali significativi dei prezzi del caffè e del cacao sul mercato globale, che hanno gravato sugli agricoltori stessi, hanno messo in evidenza che un prezzo equo deve essere uno degli elementi chiave di un problema complessivo dei redditi dei piccoli agricoltori”.

Per le cooperative di agricoltori, Fairtrade proverà a mettere in campo una roadmap per arrivare a redditi che permettano di vivere dignitosamente, con un focus iniziale sul settore del cacao nell’Africa occidentale. Per i lavoratori delle piantagioni, invece, sono ancora in fase di sviluppo modelli applicabili per progredire verso livelli di salario sostenibili, partendo da banane e fiori.

Secondo Soto Abril, è necessario uno sforzo collettivo. “Fairtrade offre approcci per restituire più valore agli agricoltori e ai lavoratori e insieme ai governi, alla società civile, alle imprese, agli agricoltori, ai lavoratori e ai consumatori renderemo il reddito sostenibile una realtà”.

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