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Saldi estivi: + 4% nel primo week end. Federdistribuzione: liberalizzare le promozioni

Partono bene i saldi estivi. Nel primo week-end le vendite – rileva Federdistribuzione – hanno registrato un +4% rispetto allo scorso anno, con risultati migliori il sabato rispetto alla domenica, nonostante il caldo torrido che ha spinto molti italiani a rimanere in casa rimandando di fatto gli acquisti. Gli sconti sono stati significativi e in linea con quelli degli scorsi anni, con variazioni dal 30% al 70% in base ai capi e alle strategie di ogni singola insegna.

«Nei punti vendita della Distribuzione Moderna Organizzata – commenta il presidente di Federdistribuzione Giovanni Cobolli Gigli – è stato possibile trovare un grande assortimento e una forte scontistica, fatti che hanno stimolato gli acquisti anche in un momento nel quale ancora prevale un atteggiamento di grande prudenza da parte delle famiglie».

Per il retail, penalizzato dalla crisi dei consumi la stagione dei saldi è un indicatore di fiducia e un’iniziezione di energia che dà indicazioni anche per i periodi successivi.

«Questi risultati – aggiunge Cobolli Gigli – dimostrano anche che, se opportunamente stimolato con iniziative commerciali, il consumatore reagisce e torna a spendere. Per questa ragione riteniamo importante la piena liberalizzazione delle promozioni nei prodotti non alimentari, un provvedimento che darebbe maggiore libertà di gestione dei propri stock e assortimenti alle imprese e più occasioni di acquisto conveniente ai cittadini».

Gfk: nella società sorprendente la marca diventa icona e stringe un nuovo patto con le persone

Nel suo seminario annuale Gfk traccia la strada per i marketer e i comunicatori delle imprese e focalizza l’attenzione sulle dinamiche della grande trasformazione in atto.

Il marketing non può più utilizzare gli strumenti fin qui abitudinari, perché il consumatore appartiene ormai al secolo scorso e oggi ci si trova di fronte a individui, a persone. E la marca deve trasformarsi iin un’icona, perché viviamo un una società sorprendente, perché il mondo digitale sta creando sempre nuove opportunità di relazione e connessione tra le persone, non necessariamente soltanto fra i giovani ma tra le persone mature e anche anziane.

Gfk ha quindi focalizzato l’attenzione sulle dinamiche del cambiamento in corso sempre più veloce dove il digitale sta aumentando il dominio della realtà. È una nuova modalità di mettersi in relazione e di soddisfare nuovi bisogni di “realtà aumentata”, come dimostrano esempi quali alcuni padiglioni di Expo e il Mercato Metropolitano di Milano.

Questa nuova modalità, fatta di immagini e sensazioni che arrivano fino all’esperienza, chiede alle Marche un nuovo patto di presenza e di comunicazione.

«Oggi il consumatore è una persona che chiede alle marche o alle imprese di offrire sempre più sapere distintivo permettendogli di allargare il suo universo cognitivo», afferma Giuseppe Minoia di Gfk.

Non esistono quindi più target immutabili nel tempo. Esistono solo persone che massimizzano opportunità che le aziende offrono. Si tratta di target nuovi che possono non coincidere con le convinzioni, gli stereotipi e le attese

E alla marca si chiede un nuovo patto di fiducia, con la speranza davvero che la realtà aumenti grazie agli arricchimenti di marca, senza peraltro tradire e fare del male all’organismo vivente che chiamiamo Gaia.

Tutto questo porta anche a considerare la marca in una nuova logica identitaria: non più marca ma icona come segno evocativo di esperienze desiderabili.

Le previsioni IRI 2015-2016 sulle vendite nel retail del largo consumo: la stagnazione è finita

Note positive dall’analisi elaborata da Iri sulle vendite del largo consumo nel primo semestre.

La prima parte del 2015 ha superato le aspettative di ripresa per i prodotti confezionati di largo consumo (LCC) espresse a fine del 2014, complice anche un rimbalzo su una controcifra particolarmente negativa nello stesso periodo dell’anno precedente. Il preconsuntivo del primo semestre sancisce perciò la fine della fase critica che ha caratterizzato le vendite del comparto nel biennio 2013-2014.

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Il miglioramento della fiducia delle famiglie – scrive Iri in una nota -ha consentito di riportare gli acquisti sui livelli del 2012. Il dato confortante, secondo gli analisti di Iri è che questi risultati sono ottenuti senza un’ulteriore accelerazione della pressione promozionale di prezzo, un fatto nuovo dopo molti anni di crescita costante del ricorso a questa leva, così come si registra il traino dei prodotti di marca e  si conferma il rallentamento delle vendite dei prodotti a marchio del distributore

Questi elementi hanno contribuito alla ripresa del valore del carrello della spesa che si traduce in un moderato aumento dell’indice medio dei prezzi, nonostante l’inflazione a parità di paniere resti praticamente nulla.

Le previsioni di IRI indicano una chiusura del 2015 positiva (+1,4% a volume e +1,7% a valore) anche se probabilmente nella seconda parte dell’anno ci sarà un affievolimento della spinta dei primi mesi. Ciò a causa delle turbolenze finanziarie innescate dalla crisi greca e dalle crescenti incertezze sul fronte geopolitico che potrebbero influenzare negativamente il sistema di aspettative dei consumatori italiani. Inoltre la ripresa dell’occupazione (ritenuto il principale fattore per sostenere la ripresa) è ancora incerta (i dati ufficiali che si sono succeduti negli ultimi mesi sono spesso contraddittori) e più che altro «annunciata».

Per il 2016 Information Resources prevede un consolidamento dei volumi attorno al punto percentuale di crescita a fronte di un maggiore spunto dei prezzi. Questo scenario fa riferimento all’ipotesi che l’azione di espansione monetaria portata avanti dalle autorità finanziarie europee abbia successo e ridia vigore al sistema dei prezzi dei paesi membri.

Questo scenario – conclude la nota di Iri -non contempla la possibilità che il governo possa ricorrere alla «clausola di salvaguardia» nel caso che non vengano raggiunti gli obiettivi di bilancio concordati in sede di comunitaria. In questo caso il rialzo dell’IVA avrà un effetto sull’inflazione del comparto e bloccherà la crescita dei volumi. Purtroppo questa possibilità rischia di divenire più concreta se gli spread BTP/Bund torneranno a salire sensibilmente come conseguenza della crisi greca.

Doxa-Assobirra, la fotografia del week end degli italiani in 10 risposte

Realizzata su un campione di 967 persone rappresentative della popolazione italiana adulta (18+anni), l’indagine Doxa-Assobirra scatta una fotografia di come gli italiani preferiscono trascorrere il week.-end. Ovviamente la birra la fa da padrona: nella cena del sabato sera (pizza e birra, un must), ma anche con l’aperitivo del venerdì sera.

“Questa ricerca conferma che la birra è adatta in ogni occasione e momento dell’anno, ma naturalmente per la sua naturale leggerezza è la stagione estiva quella in cui si registrano i livelli di consumo più elevati, con il 47% del totale annuo sorseggiati tra maggio e agosto – afferma Filippo Terzaghi, direttore di AssoBirra, l’associazione dei produttori di birra e malto che riunisce grandi aziende, marchi storici, microbirrifici e malterie.

Famiglia e amici sono le relazioni che si tende a coltivare di più nel week end, quando ci si dedica di più a cucinare e quando il barbecue domenicale sembra averecolpito al cuore gli italiani. La spesa? naturalmente il sabato, anche se non piace farla. Sul tema della shopping experience c’è ancora molto da lavorare…

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L’Osservatorio non Food GS1 individua i nuovi paradigmi dell’omnicanaliità

Sono stati presentati i risultati della tredicesima edizione dell’Osservatorio Non Food di GS1 Italy | Indicod-Ecr, lo studio realizzato in collaborazione con TradeLab giunto alla tredixesima edizione.

«L’edizione 2015 si è concentrata sui numeri ma anche sulle tendenze che sono emerse e si sono consolidate negli ultimi anni e che vedono il consumatore sempre più protagonista: diventa fondamentale cogliere le opportunità offerte da un nuovo paradigma di relazione con il consumatore dove fisico e digitale possono convivere idealmente in armonia nella stessa esperienza di acquisto» commenta Marco Cuppini, Research and Communication Director di GS1 Italy | Indicod-Ecr.

I consumi delle famiglie: segnali confortanti

La fase di contrazione dell’economia italiana è proseguita anche nel 2014, anche se con intensità inferiore.

Il Prodotto interno lordo (Pil) nazionale si è ridotto dello 0,4% in termini reali, diminuendo in modo significativo la caduta rilevata nel 2013, grazie soprattutto ai segnali di rafforzamento del ciclo economico che si sono manifestati nella seconda metà dell’anno.

Dopo la pesante contrazione mostrata durante la crisi del debito sovrano, i consumi complessivi delle famiglie nel 2014 sono nuovamente aumentati (+0,5%).

I consumi non alimentari Istat registrano un incoraggiante +0,6% e arrivano a pesare sui consumi complessivi un 14,8% nel 2014 ( 16,5% solo nel 2010).

I mercati: alcuni comparti riprendono a crescere

Il settore Non Food monitorato dall’Osservatorio(*) ha raggiunto nel 2014 un valore complessivo che supera i 98 miliardi euro, segnando una flessione del -1,2% (dato aggiornato a luglio 2015 che modifica leggermente la stima di giugno 2015 pari a -1,4%), con una netta contrazione della caduta, che nel 2013 era stata del -3,6%.

Alcuni comparti Non Food hanno registrato, dopo oltre due anni consecutivi di caduta, una ripresa nelle vendite: Mobili e Arredamento (+1,6%), Giocattoli (+0,9%) e Prodotti da automedicazione (+3,5%). Per la maggior parte dei restanti comparti si legge, se non ancora un segnale positivo, una frenata nella caduta dei consumi.

I canali: un po’meno ipermercati e specializzati

La flessione delle vendite Non Food nel 2014 ha avuto un impatto diverso sui canali:

  • Lo sviluppo di ipermercati e supermercati continua a trovare forti difficoltà; meno 1 per gli Ipermercati e aumenta solo la rete relativa ai discount. In generale le GSA vedono contrarsi ulteriormente la loro quota di mercato in comparti storicamente difficili come Bricolage ed Elettronica di consumo mentre recuperano un po’ di spazio nei comparti Casalinghi, Cartoleria e Tessile.
  • La rete moderna specializzata, continua a contrarsi, ma in modo meno sostenuto: nel complesso l’Istat rileva un -1,6% di esercizi nel commercio specializzato al dettaglio non food che per l’Osservatorio si traduce in un -2,2% per i comparti coperti dall’Osservatorio, dove risultano particolarmente penalizzati i punti vendita del settore Tessile e viceversa cresce la presenza sul territorio di punti vendita del comparto Casalinghi, Elettronica di consumo e Articoli sportivi

Nuovi trend, nuove risposte

L’edizione 2015 dell’Osservatorio Non Food di GS1 Italy | Indicod-Ecr ha rilevato anche una serie di tendenze che si sono consolidate nel tempo e che vedono il consumatore sempre più protagonista. Le logiche di fondo del nuovo retailer: “razionalizzazione”, “vicinanza”, “valore”, “esperienza” generano un’offerta che dal tradizionale “procurement” ridisegna una nuova esperienza di shopping in nuovi luoghi di incontro; che siano poi digitali o fisici, non è rilevante per il consumatore di oggi.

Il Cash Mob Etico a Milano, Genova e Lipari

Il 27 giugno è la prima Giornata nazionale del Cash Mob Etico.

Milano si mobilita per tutta la giornata, dalle 11 alle 19, coinvolgendo due quartieri molto attivi: Zona5-Vigentina e Quarto Oggiaro e coinvolgendo una decina di aziende, tra le quali  Altromercato, il Panificio Doppio Zero, che acquista le farine dal gruppo Filiera del Grano del Parco Agricolo Sud di Milano, Ipercoop, con la vendita dei prodotti sostenibili a marchio Fairtrade, Libera Terra, Vivi Verde Coop, Terre di Pace e Banca Etica.

Genova realizzerà un Cash Mob Etico particolare: un tour delle aziende sostenibili produttrici di vino, olio e generi agroalimentari ma non solo che continuerà nelle settimane a seguire.

Lipari organizza invece un Ristomob sulla spiaggia, durante il quale saranno valorizzati i produttori locali e i loro prodotti organizzando un pranzo sostenibile.

Il cash mob è una forma di mobilitazione organizzata dai cittadini a sostegno di esercizi e attività commerciali in forte difficoltà economica, ma che in qualche modo siano significativi per il proprio quartiere. I partecipanti a questa forma di flash mob sono coinvolti nell’acquisto di prodotti presso l’azienda/impresa protagonista, come segnale di un riconoscimento sociale assegnato a quella realtà locale.

NeXt ha “rieditato” il cash mob, realizzando un format che aggiunga l’etica sociale, economica e ambientale a queste mobilitazioni dal basso. Il Cash Mob Etico è diventato in Italia uno strumento molto potente per avvicinare cittadini e imprese ad un nuovo concetto di economia, che veda come protagonista il consum-attore responsabile e informato. Fulcro di questo strumento è il “voto col portafoglio”, il momento dell’acquisto di un bene o servizio dichiarato sostenibile dall’azienda, che viene premiata da chi lo acquista. In Italia, negli ultimi due anni, NeXt ha organizzato insieme ai suoi partner circa 9 Cash Mob e più di 100 Slotmob insieme a più di 140 organizzazioni.

«Fino ad ora – afferma Luca Raffaele, project manager di NeXt – abbiamo lavorato principalmente su Roma, Napoli e Milano e in alcuni dei loro quartieri e comuni più problematici, esercitando il voto con il portafoglio dei cittadini in supermercati, ristoranti e bar, per dare un forte e concreto segnale: che la Nuova Economia dal basso è già reale e può crescere fino a diventare un sistema applicabile su larga scala, nel rispetto degli scambi economici, della società e dell’ambiente che ci circondano».

Numerose le organizzazioni coinvolte nella Giornata nazionale: Acli, Adiconsum, BCC, Cittadinanzattiva, Centro San Fedele, Circolo Acli Lambrate, Convoi Onlus, Economia:)Felicità, Fiba/Cisl, Funmob, Sodalitas, UCID, Vita, Plef.

Assobirra, il settore bloccato dalle accise: calano vendite e investimenti. E l’occupazione non cresce

L’aumento delle accise rischia di mettere in seria difficoltà gli oltre 600 produttori dislocati sulla penisola e di conseguenza tutti gli operatori della filiera. È quanto emerge da una ricerca di Format Research per Assobirra, che ha fotografato l’impatto – importante – che le tasse, in crescita del +30% tra ottobre 2013 e gennaio 2015, stanno avendo sul business di tutti: agricoltori, produttori (aziende di grandi dimensioni e micro birrifici), esercenti di bar e ristoranti, imprese della distribuzione e dei servizi.

Si parte da un punto: quella italiana è una vera e propria “anomalia” rispetto al resto d’Europa visto che, nel nostro Paese (uno di quelli col più basso potere d’acquisto in UE), le tasse sulla birra sono tra le più alte.

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Metà dei produttori di birra intervistati (50,6%) dichiara un fatturato fermo o in diminuzione, a seguito dell’aumento delle accise. E il 42,9% di chi dichiara una riduzione del fatturato ne attribuisce la responsabilità agli aumenti delle accise (il primo scattato il 10 ottobre 2013, il secondo il 1° gennaio 2014 e l’ultimo il 1° gennaio 2015). Il 46,9% delle imprese birrarie non è riuscita ad assorbire gli aumenti di ottobre 2013 e gennaio 2014, mentre il 43,2% dichiara che non riuscirà ad assorbire l’ultimo aumento intervenuto a gennaio 2015.

«Su una birra da 66cl  – commenta il presidente di assorbire Alberto Frausin – gli italiani pagano 46 centesimi di tasse (tra accisa e IVA), gli spagnoli 21,3 e i tedeschi 19,5. In pratica 1 sorso su 2 lo beve il fisco. Il settore viene da 10 anni di mancata crescita del mercato e i dati dei primi 10 mesi del 2014 parlano di una lieve flessione (-0,6%). E nei primi 5 mesi del 2015 abbiamo avuto un ulteriore diminuzione dei consumi pari al -3%. Lo avevamo preannunciato anche al Governo che l’ennesimo rialzo delle tasse di gennaio avrebbe avuto conseguenze. Ora non possiamo non sottolineare il rischio per la tenuta dell’export ma anche per l’occupazione di una situazione del genere. Le accise non solo non vanno più toccate al rialzo ma ora è necessario ridurle per far ripartire il settore».

Ma come sono stati assorbiti gli aumenti? Solo in parte sono ricaduti sui prezzi (50%), mentre un terzo delle aziende ha ridotto i margini di profitto (31,6) o nel 18,5% dei casi ha ridotto investimenti e occupazione.

«Oggi la pressione promozionale è in aumento. La birra – spiega il direttore dell’associazione dei produttori di birra Filippo Terzaghi – ha superato, nel 2014, il 44% di pressione promozionale, mentre sui prodotti di largo consumo ci si ferma in media al 28,5%. Questo vuol dire che quasi 1 birra su 2 è venduta in promozione (fonte IRI 2015). L’aumento delle tasse che noi riteniamo iniquo e ingiusto, penalizza eccessivamente un prodotto simbolo del nostro Made in Italy ed è evidente che, dove a pagare non è il produttore, sono i 30 milioni di italiani che scelgono la birra. Non a caso nel 2014 c’è stato un calo del consumo pro-capite, sceso a 29,2litri (il più basso d’Europa), sono saliti i consumi casalinghi a scapito del “fuori casa” e sono stati premiati i prodotti a costo basso».

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La ricerca rileva anche alcune conseguenze importanti. La prima: l’aumento delle accise è un ostacolo a nuove assunzioni per i produttor.Il 44% delle imprese sarebbe pronto a creare fino a tremila nuovi posti di lavoro (che potrebbero crescere a 11 mila se si attestassero sui livelli di Germania e Spagna, dove valgono rispettivamente lo 0,09 e lo 0,10%). La seconda: si è verificato uno stop alla crescita dimensionale dei microbirrifici, non più in grado di fare investimenti. Le accise sono un ostacolo alla ripresa degli investimenti per il 76,5% delle imprese.

«A fronte di una riduzione delle accise – sostiene con forza Frausin -siamo pronti, come filiera, a fare la nostra parte: generare nuova occupazione, far nascere nuove imprese, ritornare a investire nel Paese e tornare a far crescere l’export e la vocazione internazionale delle nostre imprese».

Per il Pwc Total Retail Survey il punto vendita è centrale nel processo d’acquisto

Parlando di multicanalità , seamless è il nuovo termine al quale dovremo fare l’abitudine, vale a dire “senza soluzione di continuità“. Nel mondo multicanale è seamless l’esperienza che si propone al consumatore che naviga tra online e offline, che, proprio per questo motivo tendono a integrarsi. Lo conferma anche la ricerca Total Retal di Pwc, che si basa su due assunti fondamentali: – il consumatore deve essere posizionato al centro del modello di business degli operatori affinché l’offerta che ne consegue copra le nuove esigenze dei clienti e garantisca un’esperienza  continuativa e coerente su tutti i canali di comunicazione aziendali, lungo tutti i touch-point del customer journey; – il modello organizzativo e di gestione del back office deve seguire lo stesso principio di customer-centricity affinché, supportato da un investimento in tecnologie flessibili e innovative, riesca a soddisfare le nuove esigenze degli utenti. La ricerca,  che ha analizzato i comportamenti di consumo online e l’attitudine alla multicanalità di 19.000 consumatori in 19 paesi, tra cui oltre 1000 italiani, conferma infatti che  negozio fisico e e-commerce coesistono e sempre più spesso rappresentano fasi complementari del processo di acquisto. Tra i dati più significativi:

  • il 60% degli italiani si può definire digitale
  • il 75% degli italiani fa showrooming, cioè ricerca in negozio e acquista online, ma il 38% non rinuncia alla visita settimanale sul punto vendita;
  • il 50% usa lo smartphone per confrontare i prezzi o cercare un prodotto;
  • Il 63% dichiara che i social media influiscono nel processo d’acquisto;
  • Wealth effect: i convertiti digitali hanno più potere di spesa dei nativi digitali, ancora troppo giovani.

Ma è interessante, estrapolando dalla ricerca (che può essere scaricata qui), concentrarci sul punto vendita nella multicanalità. Il negozio fisico – afferma la ricerca – resta centrale nel processo d’acquisto, soprattutto per gli italiani: il 38% (36% a livello globale) si reca settimanalmente in negozio, contro il 25% che utilizza il PC, il 13% il tablet e il 12% lo smartphone. Pur rimanendo determinante nel processo di acquisto, il negozio fisico conquista un nuovo ruolo poiché i consumatori sono sempre più propensi ad utilizzarlo come vetrina per poi comprare online, spinti dalla convenienza di prezzo. Chi preferisce il negozio rispetto ai canali digitali, mette ai primi tre posti la possibilità di provare e testare il prodotto (65% Italia, 60% globale), la gratificazione istantanea dell’acquisto in negozio (52% Italia, 53% globale) e la maggior sicurezza sull’adeguatezza del prodotto nel soddisfare le proprie esigenze (33% Italia e campione globale).

Fonte: Total Retail 2015, pwc
Fonte: Total Retail 2015, pwc

Viceversa, riguardo all’acquisto online, per il consumatore italiano la possibilità di ottenere prezzi inferiori sui canali digitali rispetto al negozio è un incentivo molto forte, importante per il 67% dei consumatori, rispetto ad una media del 56% a livello globale (e solo 48% per il consumatore tedesco). In quest’ottica il consumatore italiano esprime una preferenza maggiore anche nella ricezione di offerte promozionali via email o SMS, testimoniando l’importanza degli strumenti di digital marketing. Rispetto al campione globale, il consumatore italiano vede meno “valore” nel fatto che i canali digitali possano sopperire la necessità di recarsi in un punto vendita (28% Italia vs 40% globale); ciò riflette la capillarità del  tessuto distributivo italiano.

Fonte: Total retail 2015, pwc
Fonte: Total Retail 2015, pwc

Tuttavia I negozi devono diventare, anche grazie all’innovazione tecnologica, luoghi dove non soltanto si ottengono risultati di vendita, ma si costruisce una relazione con un cliente fidelizzato. I consumatori però richiedono una digitalizzazione sempre più forte del punto vendita per facilitare il processo di acquisto, pagamento e anche condivisione con i social media. E si rivelano sempre più interessati ad un’esperienza in punto vendita arricchita di innovazioni tecnologiche e digitali. Le aree di maggior interesse sono la possibilità di controllare la disponibilità di prodotto (38% per il campione globale), la presenza di casse self-service e la possibilità di ricevere offerte personalizzate e in tempo reale. Il consumatore italiano è particolarmente aperto e sensibile a innovazioni in quest’ambito, con il 45% degli intervistati che dichiara il proprio interesse. Sempre più richiesto è anche il Wi-Fi nel punto vendita, interessante per il 24% dei consumatori globali e per il 23% di quelli italiani. Il Wi-Fi è ormai un servizio non più negoziabile nel campo dell’ospitalità, e ci si attende che diventi uno standard universale anche nel retail.

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Fonte: Total Retail 2015, pwc

Pasta bandiera italiana: solo il 2% l’ha eliminata per seguire una dieta iperproteica

Carbophobia? No, grazie, siamo italiani. Sembra proprio che gli attacchi ai carboidrati quali principali responsabili di obesità e diabete perpetrati delle varie diete iperproteiche, dalla zona alla Dukan alla funambolica “zona mediterranea”, non stia “attecchendo” più di tanto nel nostro Paese, nonostante la grande esposizione mediatica. Lo rivela una ricerca Doxa (1000 casi rappresentativi della popolazione italiana) commissionata da AIDEPI  ̶  Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane  ̶  dal titolo “Diete low-carb: cosa ne pensano gli italiani”, che per la prima volta ha cercato di fare chiarezza sul reale impatto delle diete iperproteiche nel nostro Paese. Le quali demonizzano l’uso della pasta e trovano da anni terreno fertile specie in aeree come il Nord America. Da noi però si suona un’altra musica, come è giusto che sia nel Paese della pasta: solo il 5% degli italiani ne ha sentito parlare, al di là del clamore mediatico e nonostante queste diete abbiano come testimonial personaggi famosi del mondo dello spettacolo, e soltanto il 2% dei nostri connazionali ha dichiarato di averne seguita una. Molto bassa (18%) è anche la percentuale di chi si dimostra interessato a seguirla in futuro, per lo più uomini che vivono in piccoli paesi del Centro e del Sud Italia. Di coloro poi che hanno sperimentato una delle tre diete low-carb più famose (nell’ordine: Zona, Dukan e Paleolitica), 1 su 3 si è dichiarato insoddisfatto, la metà perché non riusciva a fare a meno di pane e pasta e il resto perché non otteneva i risultati sperati. La dieta ideale resta, per il 72% degli italiani, quella Mediterranea, basata sui carboidrati di pane e pasta. La dieta iperproteica è considerata valida solo dall’11% del campione, mentre il 17% afferma di preferire quella vegetariana o addirittura veganaSe queste diete non fanno breccia in Italia è perché il 70% della popolazione le considera “un controsenso nel Paese della Dieta Mediterranea”, tanto che il 57% è convinto che non le seguirà mai.  Per il 53% degli italiani, infatti, è impossibile rinunciare alla pasta e al pane (45%). Alla pasta non sanno dire di “no” soprattutto gli uomini under 24, nativi dei piccoli centri del Mezzogiorno e delle isole. Per il 90% degli italiani la pasta non solo è buona, ma fa anche bene alla salute.

Riccardo Felicetti, Paolo Barilla e Massimo Menna (Garofalo) alla presentazione della ricerca.
Riccardo Felicetti, Paolo Barilla e Massimo Menna (Garofalo) alla presentazione della ricerca.

“La pasta è una summa di ‘Buona Italia’ – afferma Paolo Barilla, Presidente di AIDEPI -; ha tutte le caratteristiche nutrizionali per affrontare la vita di oggi, è uno dei prodotti più sostenibili, e fornisce tra le calorie più economicamente accessibilI (circa 15 centesimi per porzione). Inoltre è un asset economico fondamentale per il nostro Paese. Oltre ad essere il piatto preferito dalla stragrande maggioranza degli italiani, è sempre più amata anche all’estero, compresi gli Stati Uniti. Alcuni dati dovrebbero far riflettere: in Italia mangiamo in media circa 25 chili di pasta all’anno, tre volte più degli americani. Eppure il tasso di obesità tra gli adulti d’oltreoceano è intorno al 30%, tre volte quello italiano. Non è quindi la pasta a far ingrassare”.Carbophobia_INFOGRAFICA

La principale accusa rivolta ai carboidrati da tutte le diete a base proteica è di provocare picchi glicemici responsabili di una risposta sempre meno efficace all’insulina, favorendo malattie come diabete e obesità. In realtà i carboidrati complessi della pasta, a lento assorbimento, provocano un più graduale innalzamento della glicemia e contribuiscono a creare una sensazione di sazietà. L’indicazione della cottura al dente (imprescindibile per la nostra cucina) è fondamentale, visto che la cottura prolungata, attraverso una maggiore liberazione dell’amido, rende più rapida la digestione e più alto il picco glicemico postprandiale. Il controllo glicemico è anche favorito da un’alimentazione ad alto contenuto di carboidrati e fibre: frutta, legumi, avena, alimenti a base di cereali integrali, crusca di frumento e verdure andrebbero dunque usate come sugo per ottenere un piatto equilibrato.

 

Assemblea Confcommercio: la ripresa c’è, ma solo al Centro-Nord

“La ripresa c’è, ma restano dubbi sulla sua intensità”. Lo dice l’Ufficio Studi di Confcommercio nelle “Note economiche” diffuse in occasione dell’Assemblea Generale della Confederazione tenutasi ieri a Milano, sottolineando da un lato le variazioni congiunturali e tendenziali del Pil “finalmente positive” del primo trimestre e i buoni dati di aprile per ICC (Indicatore dei consumi Confcommercio)(+0,5%) e occupati (+0,7%), ma dall’altro i cali del clima di fiducia di famiglie e imprese a maggio.

Per il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli “siamo finalmente davanti ai primi segnali di ripresa, anche se  timida” e in più in una situazione in cui “l’estero conta tanto, sia in negativo che in positivo”. Ma al di là delle statistiche “molte famiglie e imprese fanno ancora fatica a percepire la ripartenza dell’economia nella realtà quotidiana”.

È una situazione che per l’Ufficio Studi dipende dalle difficoltà sul versante dei conti pubblici e dallo “spettro delle clausole di salvaguardia che incombono sul futuro fiscale degli italiani”. In ogni caso, sono confermate le previsioni di crescita all’1,1% per il 2015 e all’1,4% per il 2016 che però “favoriranno solo un moderato recupero di quanto perso negli anni della recessione in termini di produzione di ricchezza, di reddito disponibile e di consumi delle famiglie”. In valori pro capite, tra il 2007 ed il 2014 gli italiani in media hanno infatti “patito una riduzione in termini reali del 12,5% per il Pil, del 14,1% per il reddito disponibile e dell’11,3% per i consumi”.

Schermata 2015-06-09 alle 09.43.06Al ritmo attuale di crescita, il recupero di quanto perso è stimato al 2027 per il Pil pro capite, al 2030 per la spesa delle famiglie e addirittura al 2032 per il reddito disponibile.

Quanto alla natimortalità delle imprese, nel 2015 e 2016 è previsto un miglioramento, con “un ridimensionamento del saldo negativo a circa 17mila unità, determinato prevalentemente da un incremento delle iscrizioni”.

Infine l’eterno “problema Sud”, che al contrario del Centro-Nord dovrebbe restare in recessione almeno fino al prossimo anno. Una soluzione a portata di mano sarebbe quella del turismo, se si considera che dei circa 30 miliardi di euro all’anno che mediamente, negli ultimi quindici anni costituiscono la spesa dei turisti stranieri sul territorio italiano, solo poco più di 4 miliardi arriva nel Mezzogiorno. “Il rilancio del turismo, soprattutto nel Sud, magari con l’occasione dell’Expo – afferma l’Ufficio Sudi – potrebbe essere una strada davvero percorribile per iniziare un processo di riduzione dei gap macro-regionali, questa volta nella direzione di un livellamento verso l’alto”.

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