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Sano, senza OGM, biologico e a Km 0: ecco il cibo che piace

Alimenti sani (senza grassi o sale), privi di OGM, biologici e possibilmente realizzati con ingredienti a KM0 : ecco i cibi preferiti dagli italiani. A dirlo l’indagine online realizzata da GfK in 17 paesi, chiedendo quali sono le caratteristiche più importati che considerano quando scelgono cosa mangiare o bere.

Un italiano su due (49%) ha indicato come fattori decisionali importanti il fatto che un alimento sia privo o a basso contenuto di zuccheri, realizzato senza utilizzo di OGM e privilegiando ingredienti a chilometro zero. Seguono nella classifica di importanza gli alimenti privi o con pochi grassi (44%) e quelli realizzati con ingredienti biologici (42%). Un italiano su tre considera valuta positivamente il fatto che un alimento sia privo di sodio o potenziato con vitamine e minerali. Infine, ben il 19% considera come caratteristica importante il fatto che un prodotto sia senza glutine.

I localismi

Gli italiani risultano i più sensibili in assoluto sul tema del KM0: nel nostro Paese si registra la percentuale più alta di persone che considera importante l’utilizzo di ingredienti locali quando si tratta di scegliere cosa mangiare.

Non emergono grandi differenze nelle classifiche di uomini e donne, anche se queste ultime esprimono in generale delle opinioni più marcate (in particolare per quanto riguarda gli alimenti a basso contenuto di zuccheri e di grassi).

Come prevedibile, le famiglie ad alto reddito assegnano in media maggiore importanza alle caratteristiche degli alimenti, rispetto a quelle a basso reddito. Interessante notare però come anche le persone meno abbienti tengano in grande considerazione i prodotti a KM0, in percentuale quasi uguale alle altre fasce di reddito.

A ogni età il suo cibo

Guardando invece ai risultati per fasce d’età, emergono alcune tendenze specifiche. La fascia d’età degli over 60 – ad esempio – risulta essere la più attenta in generale alle caratteristiche del cibo. Particolare importanza viene data a fattori quali l’utilizzo di ingredienti a KM0, senza OGM e a basso contenuto di sodio e grassi. Tra i ventenni invece c’è una spiccata preferenza per gli alimenti realizzati con ingredienti biologici e prodotti localmente. Infine, nella fascia 30-39 anni gli italiani danno particolare importanza ai prodotti senza glutine e che contengono probiotici.

Nel resto del mondo

A livello internazionale, si prediligono in linea di massima gli alimenti a basso contenuto di zucchero o senza zucchero e quelli privi di OGM (entrambi con il 48%). Al terzo posto si posizionano i prodotti privi o a basso contenuto di sale (45%), seguiti a breve distanza dai prodotti realizzati con ingredienti biologici, quelli a basso contenuto di grassi e arricchiti con vitamine o minerali.

Dall’indagine emerge inoltre come i più selettivi in assoluto siano essere i cittadini cinesi: per 8 categorie su 9, infatti, la Cina è al primo posto. L’unica eccezione riguarda gli alimenti a KM0, caratteristica che vede l’Italia al primo posto per importanza assegnata. Particolarmente esigenti anche i consumatori del Brasile, che si posiziona al secondo posto in classifica per l’importanza attribuita a ben 5 categorie.

L’indagine

GfK ha condotto un’indagine online in 17 Paesi, coinvolgendo oltre 23.000 persone dai 15 anni in su. Gli intervistati dovevano rispondere alla domanda: “Quando sono importanti le seguenti caratteristiche, quando devi scegliere un cibo o una bevanda?”. Le opzioni elencate erano: È realizzato con ingredienti biologici; Utilizza ingredienti o viene prodotto a KM0; È privo (o a basso contenuto) di zuccheri; È privo (o a basso contenuto) di grassi; È privo (o a basso contenuto) di sodio; È fortificato con vitamine o minerali; Contiene prebiotici o probiotici; È privo di OGM (Organismi Geneticamente Modificati); È senza glutine.

La rilevazione è stata effettuata nell’estate 2017.

I paesi coinvolti nella ricerca sono: Argentina, Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, Italia, Giappone, Messico, Paesi Bassi, Russia, Corea del Sud, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti.

Non Food, aumentano anche se di poco (102,48 miliardi, +1%) i consumi alimentari in Italia

Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy, durante la presentazione.

Aumentano anche se di poco i consumi non alimentari in Italia, che passano dai 101,47 miliardi del 2015 ai 102,48 miliardi del 2016. Una crescita dell’1,0% rispetto all’anno precedente ma inferiore rispetto alla crescita media nazionale dei consumi totali delle famiglie italiane, che è stata del +1,4%. Lo rivela l’edizione 2017 dell’Osservatorio Non Food di Gs1 Italy (associazione che riunisce 35mila imprese italiane di beni di consumo), condotto in collaborazione con TradeLab, presentato al Piccolo Teatro Grassi di Milano.

I consumi totali delle famiglie italiane sono stati nel 2016 di 1.023,6 miliardi rispetto ai 1009,9 miliardi del 2015. I servizi (che comprendono anche carburante, mezzi di trasporto e tabacchi) pesano per 694,6 miliardi (+1,5% rispetto all’anno precedente), i consumi grocery per 176,2 miliardi (155,6 miliardi ascrivibili agli alimentari e alle bevande e per 20,5 miliardi agli articoli per l’igiene della casa e della persona, complessivamente +1,1%) mentre per i consumi non alimentari secondo il paniere Istat abbiamo speso nel 2016 152,7 miliardi. Di essi 101,47 sono per le merci monitorate dall’Osservatorio GS1 Italy. “Il 2016 è stato un anno ancora di crescita per i consumi, che chiudono l’anno con un bilancio di segno positivo e con un’evidente ripresa in quasi tutti i settori, anche se a ritmo ridotto rispetto all’anno precedente”, commenta Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy.

Ma quali sono i settori che pesano di più nella spesa non alimentare? In testa l’abbigliamento e le calzature, che “fatturano” 24.850 milioni nel 2016, perdendo il 2,6% rispetto al 2015 e oltre 4 miliardi rispetto al 2012. Al secondo posto l’elettronica di consumo, che con 20.166 milioni annui è cresciuta sia rispetto al 2015 (+3,4%) sia in termini assoluti rispetto al 2012 (+943 milioni). Seguono i mobili e l’arredamento (13.895 milioni, +1,1% rispetto al 2015), il bricolage (11.965 milioni, +0,9%), i prodotti per automedicazione (6241 milioni, +3,1%), gli articoli sportivi (5779, +1,9%), i prodotti di profumeria (5471, +1,8%), i casalinghi (4457, +1,0%), l’edutainment (3291, +4,3%), i prodotti ottici (2470, +2,1%), il tessile (1381, -0,8%), la cancelleria (1325, +0,9%) e i giocattoli (1180, +4,7%).

 

Razionalizzazione dei punti vendita fisici

Quanto ai canali di vendita, i dati dell’Osservatorio Non Food di GS1 Italy evidenziano chiaramente una razionalizzazione in atto: nel 2016 hanno chiuso 4.600 punti vendita, con un saldo negativo tra aperture e chiusure del -0,1%. Nel 2016 in Italia c’erano 117.844 punti vendita di abbigliamento e accessori (-0,8%), 40.764 di ferramenta, costruzioni e giardinaggio (-1,3%), 40.806 di mobili, casalinghi e illuminazione (-1,6%), 38.829 di libri, giornali e cartoleria (-2,8%), 25.656 di calzature e articoli in cuoio (-2,1%), 22.288 di cosmetici, articoli di profumeria ed erboristerie (+0,4%), 19.892 di elettrodomestici, informatica, audio-video e telefonia (+2,2%), 17.174 di prodotti tessili e biancheria per la casa (-4,2%) e 132.298 di altri esercizi specializzati (-0,4%). Negli ultimi quattro anni a crescere di più in percentuale sono stati i negozi di elettronica (+10,7% e a diminuire si più quelli di prodotti tessili (-12,2%)

La presentazione milanese è stata anche l’occasione per fare un punto sui fenomeni che hanno caratterizzato gli ultimi dieci anni dei consumi in Italia, quelli caratterizzati dall’avvento della digitalizzazione anche in questo universo e dalla crisi che ha portato i consumi non food in Italia a contrarsi di circa il 10%, da 114,0 a 102,5 miliardi.

Sono stati gli anni dell’imporsi di nuovi modelli di vendita, come l’omnichannel, che integra in un’unica esperienza i canali fisico e online. Sono stati gli anni in cui il web si è dimostrato fondamentale sia come canale di comunicazione sia come canale di vendita. Sono stati gli anni in cui i GSS (grandi superfici e catene) hanno continuato ad allargarsi conquistando o rafforzando la leadership in particolare nei settori dell’abbigliamento, delle calzature, dello sport e degli elettrodomestici, portando con sé l’affermarsi del valore della polarità commerciale, che concentra le realtà distributive in luoghi aggregativi anche si servizi molto differenti. In dieci anni i centri commerciali sono aumentati dell’11,3%, ma soprattutto hanno raggiunto il 36,8% della rete (nel 2007 il loro peso si fermava al 30,0%) a scapito dei negozi dei centri storici e delle strade principali delle città (46,6% rispetto al 54,9% di dieci anni fa) e dei negozi periferici (passati dall’11,4% al 6,7%). Crescono anche i factory outlet center, che oggi sono 27 e dieci anni fa 19 e aumentano anche l’area commerciale, passata da 21,2mila a 25,6mila metri quadri. Infine negli ultimi dieci anni si sono sviluppate le reti di vendita anche in luoghi un tempo insoliti come le stazioni ferroviarie e gli aeroporti.

Fiducia e consumatori italiani ed europei: le stime di GFK

Fiducia e consumatori, qual è in merito il quadro europeo?

Ahimè, si configura, ante litteram, un’Europa a due velocità: da una parte la maggior parte dei Paesi decisamente ottimisti (a dicembre l’indice di fiducia rilevato da GfK è passato da 5,6 a 17,9 punti. Un record dal 2008!), dall’altra la nostra Italia, con un  clima di fiducia in ribasso (anche se la propensione all’acquisto e le aspettative di reddito permangono in area positiva).schermata-2017-02-09-a-14-46-50

Di fatto sembra che i temi caldi dell’ultima parte del 2016 (la guerra in Siria, il terrorismo in Europa, le elezioni presidenziali americane e la continua crescita di movimenti e partiti nazionalisti in quasi tutti i Paesi europei) non siano riusciti a minare la fiducia degli europei nè le loro aspettative economiche e di reddito.

Il Belpaese

Lo scenario cambia in Italia dove continua il trend negativo per le aspettative economiche degli italiani, che ha caratterizzato la maggior parte del 2016.A novembre 2016, con -41,6 punti, l’indicatore GfK per l’Italia ha raggiunto il livello più basso dal 2013 (ripresa minima, a -38,2 punti a dicembre). La portata di questo radicato pessimismo nei confronti del futuro è particolarmente evidente se si confrontano i dati di dicembre 2016 con quelli di dicembre 2015, quando l’indicatore delle aspettative economiche si attestava a -1,4 punti, 37 in più di quelli attuali.schermata-2017-02-09-a-14-49-07

Per fortuna che…
Qualche sprazzo di positività, tuttavia, permane: nel quarto trimestre del 2016 si sono registrati dati positivi per quanto riguarda le aspettative di reddito degli italiani.

schermata-2017-02-09-a-14-51-57Il relativo indicatore è infatti passato dai -10 punti di settembre ai 3,2 di dicembre (+13,2 punti), rientrando finalmente in area positiva. A dispetto delle previsioni pessimistiche sulla crescita economica, i consumatori italiani sembrano credere che i loro redditi rimarranno stabili. Ciò potrebbe essere dovuto all’andamento del tasso di disoccupazione in Italia, rimasto costante all’11,6% durante tutto il 2016.
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E non basta: dopo una leggera decrescita nel mese di settembre, il desiderio di spesa degli italiani ha avuto un leggero recupero nel quarto trimestre dell’anno. Nel complesso, la propensione all’acquisto è aumentata di 4,8 punti, raggiungendo a dicembre gli 11,6 punti. Non è male, certo.

Però non dobbiamo sottovalutare che si tratta comunque di 13 punti in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Personale, ma non troppo: il 28% degli italiani accetta di condividere dati con i brand

Personale, ma non troppo: sempre più consumatori oggi sono disposti a derogare alla propria privacy, condividendo i propri dati personali con brand e retailer.

A patto, però, di ricevere qualcosa in cambio: servizi, promozioni o un’esperienza di acquisto più rapida e personalizzata.
Secondo un’indagine internazionale di GfK – che ha coinvolto oltre 22.000 persone di 17 paesi – circa un quarto degli intervistati (27%) si è dichiarato d’accordo con la possibilità di condividere i propri dati personali in cambio di servizi e vantaggi. Mentre il 19% delle persone ha dichiarato di essere totalmente in disaccordo con questa idea.gfk_condivisione-dati-personali_tot_infografica

In Italia
Le risposte degli italiani si collocano leggermente al di sopra della media internazionale: il 28% degli intervistati ha infatti dichiarato di essere disposto a comunicare i propri dati in cambio di benefici di qualche sorta.

Se in merito la differenza tra i due sessi è pressochè nulla, la situazione cambia invece in rapporto all’età degli intervistati: emerge infatt chiaramente come i più favorevoli alla condivisione dei dati siano i trentenni (32%), seguiti dalle fasce d’età 20-29 anni (31%) e 40-49 anni (30%). Molto refrattari  sono gli over 60 con il 24%, ma (sorprendentemente) i più ostili sono i più giovani compresi nella fascia d’età 15-19 anni: ben il 31% degli intervistati, infatti, si dichiara fortemente in disaccordo.

L’indagine a livello internazionale

La Cina conta la percentuale più alta di persone disposte a condividere i propri dati personali in cambio di benefici: ben il 38% degli intervistati ha dichiarato di essere sicuramente disposta a farlo. Altri paesi dove la percentuale di persone favorevoli è più alta della media sono il Messico (30%), la Russia (29%) e appunto l’Italia (28%).

I cinque paesi con le percentuali più alte di persone fermamente contrarie alla possibilità di condividere i propri dati sono Germania (40%), Francia (37%), Brasile (34%), Canada (31%) e Paesi Bassi (30%).

L’età dell’intervistato sembra influenzare la facilità con cui si accetta di condividere i dati personali. Ventenni e trentenni sono in assoluto i più propensi a comunicare i propri dati: nella fascia 30-39 anni i favorevoli sono il 34%, mentre nella fascia 20-29 anni sono il 33%. A differenza di quanto succede in Italia, a livello internazionale gli adolescenti (15-19 anni) sono abbastanza favorevoli (28%) rispetto a questa opportunità.gfk_condivisione-dati-personali_paesi_infografica

Anche a livello internazionale non emergono  grandi differenze tra uomini e donne su questo tema: entrambi i generi si attestano al 27% di persone favorevoli. Tra le donne è però più alta la percentuale di chi si dichiara fortemente in disaccordo con la possibilità di condividere i propri dati in cambio di un vantaggio (21%, contro il 18% degli uomini).

Fiducia in calo. Complici la Brexit, i flussi migratori e le guerre internazionali

La fiducia si contrae in tutta l’Europa dei 28. Secondo l’indice presentato da GFK per il terzo semestre del 2016, si è infatti scivolati dai precedenti 13,1 punti ai 12,3 nel periodo compreso tra giugno e settembre 2016.

Le cause? La Brexit ha pesato parecchio a livello transnazionale (andando però ad attenuare gradatamente i suoi effetti negativi), ma ogni singolo paese ha dovuto fare i conti con questioni interne.schermata-2016-10-17-a-11-38-42

In linea generale, dunque, si può dire che se è vero che sul fronte economico, l’Europa sta attraversando una positiva fase di sviluppo economico (cresce anche il numero degli occupati), è pure vero che le aspettative economiche e di reddito tra i consumatori non sono alte. Così come la propensione all’acquisto. Ciò potrebbe essere imputabile ad aspetti diversi prettamente nazionali, ma anche a fattori psicologici generali e incertezze fondamentali, quali la guerra in Siria, gli attacchi terroristici che hanno colpito Francia e Germania, l’ascesa dei movimenti politici di estrema destra alle elezioni o nei sondaggi e le imminenti elezioni presidenziali americane.schermata-2016-10-17-a-11-37-14

Per quanto attiene all’Italia, pare chiaro che da qui ai prossimi mesi lo scenario non sarà molto roseo.

A causa del persistere della crisi, ma anche per via degli arrivi in massa di migranti, sempre più vissuti come un pericolo.schermata-2016-10-17-a-11-37-54

Ne consegue che le aspettative economiche dei consumatori hanno toccato quota -40,6 punti (il valore più basso da gennaio 2014). Nel complesso, il dato risulta in calo di 9,3 punti dal giugno di quest’anno e di ben 25,2 punti rispetto a settembre 2015.schermata-2016-10-17-a-11-38-16

Non va meglio all’indicatore delle aspettative di reddito: -10 punti dallo scorso gennaio (il livello più basso). E in questo caso la sfiducia è fomentata dall’andamento del livello di disoccupazione in Italia, sempre elevato o addirittura in aumento negli ultimi mesi.

Ed ecco, infine il corollario inevitabile di questo mood: un nuovo calo anche della propensione all’acquisto. Nella prima parte dell’anno questo indicatore aveva raggiunto livelli soddisfacenti, ma nel terzo trimestre è calato drasticamente di 13,9 punti, andandosi ad assestare a 6,8 punti a settembre.

Indice di fiducia: si ferma il trend negativo. E gli italiani ricominiano a credere nella ripresa

Indice di fiducia e ripresa economica: stando all’ultimo report di GFK, si assiste ad un’inversione di tendenza finalmente positiva. Gli italiani hanno ricominciato a crederci.

Negli ultimi mesi del 2015 i consumatori italiani sembrano avere recuperato maggiore fiducia. Questo quanto emerge dai risultati dell’indice di fiducia dei consumatori in Europa, rilevato da GfK. Se durante l’estate le aspettative economiche degli italiani erano rimaste negative – sprofondando a -31,9 punti nel mese di luglio – nel quarto trimestre del 2015 si è interrotto il trend al ribasso, con l’indicatore salito a -1,4 punti (14 punti in più rispetto al valore di settembre).

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Nonostante l’indice rimanga in area negativa, i consumatori italiani esprimono una fiducia crescente, probabilmente correlata alle previsioni di ripresa economica per i prossimi mesi. A novembre, l’indicatore ha raggiun-to il valore più alto da gennaio 2010, attestandosi a 1,9 punti. Decisamente positivo il confronto con lo stesso periodo del 2014, quando l’indice era pari a -35,4 punti.
Questo ottimismo si riflette anche nelle aspettative di reddito. Nel corso del 2015, il valore dell’indicatore corrispondente è stato rivisto al rialzo e – con una crescita di 11,8 punti nel quarto trimestre – ha raggiunto i 6,6 punti alla fine dell’anno, tornando positivo per la prima volta in sei anni.
Si intravede un calo leggero ma costante anche nel tasso di disoccupazione che, secondo ai dati della Commissione europea, a novembre si è attestato all’11,3%.

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Infine, l’indicatore della propensione all’acquisto degli italiani si è stabilizzato in area positiva durante i mesi estivi, aumentando considerevolmente nell’ultimo trimestre del 2015. A partire da settembre, il valore dell’indicato-re riguardante le intenzioni di spesa è aumentato di 18,3 punti, attestandosi a 24,4 punti nel mese di dicembre, il valore più alto da agosto 2000.

E nel resto dell’Europa?
Guardando i Paesi dell’Unione Europea, emerge una fluttuazione significativa nell’indice di fiducia dei consumatori duran-te gli ultimi mesi del 2015.
Tra i temi che hanno influenzato maggiormente questo clima di incertezza, c’è sicuramente quello della gestione del flusso dei migranti provenienti dalle zone di crisi del Medio Oriente e del Nord Africa.
Anche gli attacchi di Parigi nel mese di novembre, seguiti a breve distanza dagli allarmi terrorismo in Germania, hanno scosso notevolmente l’opinione pubblica, minando il clima di fiducia dei consumatori europei.

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Solo verso la fine dell’anno hanno ricominciato a pesare i dati economici positivi registrati in quasi tutti i Paesi dell’UE. I prezzi bassi del petrolio e dell’energia, affiancati ad un’inflazione pressoché assente, fanno sì che i consumatori abbiano più denaro da spendere per i loro acquisti. Allo stesso tempo, il calo generalizzato della disoccupazione registrato lo scorso anno ha ridotto l’incertezza correlata all’eventuale perdita del posto di lavoro.
Questi indicatori positivi hanno condotto ad un aumento generalizzato delle aspettative economiche e di reddito dei cittadini europei verso la fine del 2015. Risultati che però non bastano ancora a incrementare la propensione all’acquisto, soprattutto nei Paesi recentemente colpiti dalla crisi, dove il reddito delle famiglie continua ad essere appena sufficiente a soddisfare i bisogni primari.

Le 5 ragioni che portano gli italiani a curare il proprio aspetto

Agli italiani la palma di “pavoni vanitosi”. Ecco quanto emerge da una ricerca online GfK che evidenzia come il nostro Paese sia al primo posto per tempo dedicato alla cura della persona. In media, ogni italiano impiega oltre 5 ore e mezza a settimana in attività finalizzate a migliorare il proprio look (6,2 ore nel caso delle donne, 5 ore gli uomini).

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Ma quali sono le ragioni principali che alimentano questo interesse?

In primis il voler “sentirsi bene con se stessi”, motivazione addotta dal 69% degli intervistati. Secondo posto, poi, alla volontà di avere il controllo della situazione (39%). Seguono infine: il desiderio di dare il buon esempio ai propri figli, compiacere il partner, stare bene con se stessi.

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Mentre le due prime motivazioni sono un must per tutte le fasce d’età, il terzo posto sul podio è invece un po’ ballerino e varia in base alla situazione anagrafica. Se infatti gli italiani maturi (oltre i 40) guardano essenzialmete all’esempio genitoriale, gli intervistati tra i 15 e i 19 anni citano al terzo posto la volontà di esprimere la propria personalità e i giovani tra i 20 e i 40 si fanno guidare essenzialmente dal desiderio di compiacere il partner.

La fascia di età che dedica più tempo alla cura della persona è quella compresa tra i 50 e i 59 anni, seguita da quella tra i 20 e i 29 anni.

Schermata 2016-01-26 a 15.01.20Tra uomini e donne…

Il genere dell’intervisto influisce sull’esito dell’indagine. Vediamo in che misura. Nel caso degli uomini, al quarto e quinto posto si trovano spiegazioni legate alla sfera dei sentimenti e della seduzione. Infatti, essi vogliono apparire al meglio per compiacere il coniuge o il partner (37%) oppure per fare una buona impressione sulle persone che trovano attraenti (36%).
Al contrario, le donne sono più motivate dal desiderio di esprimere la propria personalità e dall’idea di avere il controllo della situazione (entrambe queste ragioni vengono citate dal 40% delle intervistate).
Andando a vedere il tempo riservato alla cura personale, le donne intervistate dichiarano di impiegare quasi cinque ore a settimana, mentre gli uomini dedicano al proprio look poco più di tre ore.

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