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Oggi è la giornata nazionale contro lo spreco alimentare: le azioni lungo la catena

Immagine Tesco su dati WRAP UK, 2014.

Anche quest’anno il 5 febbraio è la Giornata Nazionale contro lo spreco alimentare. Una buona notizia arriva dalla semplificazione normativa in materia di donazione degli alimenti invenduti che dovrebbe diventare operativa entro l’anno e favorire la donazione delle eccedenze e dei prodotti alimentari invenduti, attraverso la semplificazione e armonizzazione del quadro di riferimento (procedurale, fiscale, igienico-sanitario) che disciplina attualmente il settore.
Le responsabilità sono a tutti i livelli della filiera “dalla fattoria alla forchetta”, il risultato è agghiacciante: 1,3 miliardi di tonnellate di cibo buttato ogni anno, sufficiente per sfamare quattro volte gli oltre 800 milioni di persone che muoiono di fame ogni anno.
Ecco alcune azioni intraprese da insegne della GDO per “colpire” il cliente finale.
Tesco ad esempio ha ridotto le promozioni “paghi uno prendi due” e ha inserito informazioni “anti spreco” sulle confezioni di 25 prodotti particolarmente “a rischio” di spreco, come spiega nel video Mark Little, Head of Food Waste Reduction.

I numeri dello scandalo sono evidenziati in questo video-inforgrafica del Barilla Centre for Food and Nutrition.

Gli italiani e lo spreco: percezioni e realtà
Il sondaggio “Waste Watcher – Knowledge for Expo” promosso da Last Minute Market con Swg “fotografa” le attitudini degli italiani verso lo spreco alimentare. Quattro su cinque si dichiarano incuriositi e soddisfatti delle tecnologie che possono favorire la riduzione e prevenzione dello spreco alimentare. Tra le soluzioni si pensa al frigorifero “smart” che segnala le date di scadenza del cibo riposto e conserva meglio il cibo. Il 19% degli intervistati si dichiara al contrario ancora impreparato o impaurito di fronte a tecnologie intelligenti. I più spreconi sono i giovani e i bambini, secondo il 63% degli intervistati. Nella percezione degli italiani solo il 22% dei cittadini di mezza età e solo il 2% degli anziani può essere tacciato di spreco. E i luoghi dello spreco? Mense, supermercati e ristoranti secondo la grande maggioranza degli intervistati, che auspica, sempre a larghissima maggioranza, una campagna di educazione sul tema sia per gli studenti che per i cittadini: lo chiede l’80% degli intervistati, quindi 4 italiani su 5. La realtà però vede lo spreco “domestico” responsabile del 42% dello spreco alimentare…

 

Fairtrade a Biofach con uno stand con 100 operatori

Sarà presente a Biofach a Norimberga, la principale fiera del biologico che si terrà dall’11 al 14 febbraio, con uno stand istituzionale e più di 100 operatori certificati Fairtrade. Dalla frutta fresca alle bevande, dai cereali al cotone, senza dimenticare i tradizionali prodotti di punta (caffè, cioccolato e tè) in fiera saranno presenti un centinaio di espositori del commercio equo e solidale certificati Fairtrade. Arrivano da tutto il mondo e portano la testimonianza di filiere e prodotti realizzati con un alto valore aggiunto: solo in Italia circa il 50% del valore del venduto dei prodotti è rappresentato dai prodotti bio (dato 2013).

Tra le aziende italiane esporranno Alce Nero (Hall 6 / 6-230); Almaverde Bio Italia srl (Hall 4 / 4-515); Baum (Hall 4 / 4-240); Brio (Hall 6 / 6-145a); Caffè Gioia (Hall 4 / 4-261); Caffè Haiti Roma (Hall 4 / 4-651); Caffè Molinari (Hall 4 / 4-407); Caffè Paranà (Hall 4 / 4-651); Caracol e Punto Equo (Hall 4 / 4-118); Conapi (Hall 6 / 6-133); Fratelli Damiano & C. (Hall 1 / 1-403); Icam (Hall 4 / 4-641); Natura Nuova (Hall 4 / 4-545); Schreyögg caffè (Hall 7 / 7-355c) e Torrefazione Caffè Michele Battista (Hall 4 / 4-221c).

ref.Ricerche al convegno di Tuttofood: l’economia migliora, ma l’Iva è una minaccia

Il fantasma della clausola di salvaguardia e della riverse charge dell’Iva non fa dormire sonni tranquilli alle aziende del largo consumo. Tanto più ora che Il barometro dell’economia italiana segna un miglioramento. sono due temi emersi durante il convegno Consumi2015 organizzato da Tuttofood, mostra professionale dell’alimentare di Fiera Milano.

Fedele De Novellis (ref.Ricerche) - FotoZil
Fedele De Novellis (ref.Ricerche) – FotoZil

Nell’analisi di Fedele De Novellis Chief economista a re.Ricerche, «forse non si può ancora dire che si sia spostato sul bello stabile, ma quantomeno si interromperà quest’anno e nel prossimo la lunga serie di indicatori negativi che hanno scandito l’ultima lunga crisi. Unica ma rilevante eccezione, la disoccupazione, che resterà  elevata» .

Secondo ref.Ricerche il prodotto interno lordo aumenterà dello 0,7% nel 2015 e dell’1,1% nel 2016, sostenuto da una ripresa dei consumi. Le esportazioni miglioreranno ulteriormente la loro ottima performance e le importazioni cresceranno trainate dalla ripresina, senza peraltro compromettere il saldo della bilancia commerciale, che si manterrà positivo ed elevato (intorno ai 70 miliardi) grazie alla discesa del prezzo del petrolio. Il vincolo del 3% nel rapporto deficit pubblico su Pil sarà rispettato e l’inflazione sarà zero quest’anno e 0,7% nel 2016. Unica nota dissonante, il tasso di disoccupazione che beneficerà in maniera contenuta del miglioramento del quadro economico rimanendo stabilmente al di sopra del 12%.

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La convergenza di fattori sistemici favorevoli recentemente emersi, dall’indebolimento dell’euro al crollo del prezzo del petrolio, dall’allentamento della convergenza fiscale al quantitative easing della Banca Centrale Europea (fattori rispetto ai quali ref.Ricerche si chiede nel titolo della sua analisi “Ultima chance per l’Italia?”), sembrano dunque aver creato un contesto più favorevole, contribuendo all’uscita dal tunnel in diversi modi: la discesa del petrolio ha un impatto rilevante su un’economia di trasformazione; il cambio favorevole euro-dollaro, insieme alla ripresa americana, è uno dei fattori trainanti delle esportazioni; l’allentamento monetario della Banca centrale europea agevola in credito e abbassa i costi di produzione.

Tutto bene dunque? Fino a un certo punto. In questo quadro complessivamente positivo – avverte il ref.Ricerche – non mancano rischi. Due particolarmente significativi sono la caduta delle aspettative di inflazione e il possibile aumento dell’Iva, in base alla clausola di salvaguardia già prevista nell’ambito della discesa del rapporto deficit/Pil dell’Italia, secondo quanto imposto dalle regole europee di finanza pubblica. Qualora l’Iva subisse aumenti, l’impatto sarebbe negativo per la domanda di consumo e – affermano compatti industria e distribuzione – in special modo per i consumi alimentari.

Oltre a ciò, vi è l’incognita sulla riverse charge, che, secondo Roberto Bucaneve direttore del centro studi Contromarca, avrà un impatto di 8 miliardi sull’intera filiera alimentare. Qualora non avesse il via libera da Bruxelles, sarebbe surrogata con un aumento elle accise sui carburanti per circa 800 milioni.

«La motivazione è corretta, ma il settore è sbagliato», commenta lapidariamente Marco Pedroni presidente di Coop Italia. E Valerio Di Natale, vicepresidente di Contromarca aggiunge che «si consolida l’idea che alcune porzioni dell’economia possano diventare creditrici a lungo termine dello Stato. È quantomeno strano che in um momento in cui le imprese dovrebbero investire, sono invece obbligate a pensare a come far fronte a una norma che ne aumenta le difficoltà».

 

a cura di Fabrizio Gomarasca

 

Il Pomodorino Bottega di Sicilia conquista il mercato USA

Puntare su qualità e innovazione di prodotto paga, anche su un prodotto tipicamente italiano ma estremamente esposto all’Italian Sounding, ovvero alla contraffazione o quanto mano alla esposizione di prodotti che richiamano al Made in Italy (nel packaging ad esempio) senza esserlo. Sull’export in un mercato importante come gli Stati Uniti sta puntando molto il Gruppo Libretti, che ha recentemente consolidati la sua posizione siglando un accordo commerciale con la catena della grande distribuzione americana H.E.B. che ha sede a San Antonio (Texas). I prodotti oggetto dell’accordo sono la salsa di pomodorino ciliegino, la passata di datterino, il pomodorino “semydry” e la “caponata” siciliana. Già presente in numerose catene della GDO internazionale, Gruppo Libretti dispone già negli USA di due piattaforme distributive,  a New York e a Houston. Il nuovo accordo pone le basi per il rafforzamento del processo di internazionalizzazione del Gruppo che fa leva sullo spin off Bottega di Sicilia, l’azienda nata per nel 2011 per valorizzare i prodotti conservieri del Gruppo Libretti, già impegnato nel settore dell’ortofrutta fresca e fondato nel 1930 a Vittoria (RG).

“Gli investimenti in innovazione – commenta il Presidente, Giuseppe Libretti – ci hanno permesso di formulare nuovi prodotti in linea con le aspettative dei mercati. Stiamo crescendo anche all’estero grazie alla diversificazione di prodotto e l’idea di arrivare ai mercati oltreoceano attraverso le conserve ortofrutticole made in Italy ci ha consentito di trovare nuovi spazi commerciali e di consolidare i risultati già raggiunti in ambito internazionale, raggiungendo una quota export del 20% sul fatturato totale”.

Il Gruppo Libretti ha chiuso il 2014 con una crescita del fatturato del 10% (nel 2013 l’aumento del fatturato del Gruppo era stato del +20%). L’azienda, con 360 dipendenti e due stabilimenti produce ogni anno 40 milioni di Kg di ortofrutta fresca a marchio Libretti e 6 milioni di pezzi di conserve a marchio Bottega di Sicilia.

Prima candelina per Supply Chain Initiative, buone pratiche nella filiera

Nata per promuovere le buone pratiche lungo la filiera della distribuzione agroalimentare, Supply Chain Initiative festeggia il primo anno di attività con la presentazione del primo rapporto annuale. Un punto della situazione e uno sprone a continuare nelle azioni e accogliere nuovi membri.

Le associazioni di settore e le aziende che aderiscono al Sci sottoscrivono un impegno ad attuare pratiche corrette verso tutti gli attori della catena di distribuzione agroalimentare, dagli agricoltori ai distributori finali. A 14 mesi dal lancio, i gruppi che hanno sottoscritto tali impegni sono 164 in rappresentanza di 860 aziende tra cui per la Gdo Lidl, Sisa, Carrefour, Auchan, e tra le multinazionali Ferrero, Coca Cola, Nestlè e Unilever.

Le aziende registrate sono invitate a partecipare a un’indagine annuale per verificare che gli impegni presi siano stati mantenuti. La prima indagine ha rivelato che sono stati formati 18mila dipendenti, e tra questi quasi quattro su dieci hanno utilizzato l’e-learning di SCI. La soddisfazione dei partecipanti è alta, al 73%.

Il direttore generale di EuroCommerce Christian Verschuere ha commentato: “Siamo convinti che l’adempimento volontario sia la via giusta. Il SCI fa sì che le buone pratiche ricadano da Bruxelles al management delle aziende e giù, ai venditori e agli acquirenti. È un sistema che offre un meccanismo redditizio, veloce e meno antagonistico per promuovere le buone pratiche come base per le relazioni commerciali e la progressione dell’impresa”.

Cosa si intenda per “buone pratiche” è spiegato nel documento appena pubblicato. Tra queste, troviamo la trasparenza di ogni parte del contratto, comprese le eventuali sanzioni, che presuppone siano scritte e concordate tra le parti in anticipo, la fornitura di informazioni rilevanti all’altra parte, l’uso di termini e condizioni generali nei contratti che facilitino l’attività e contengano clausole giuste.

A Marca la Mdd protagonista della filiera agroalimentare

È stato il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina a convocare un tavolo di discussione con i rappresentanti della filiera agroalimentare, con un messaggio video in chiusura del convegno che ha inaugurato ieri Marca a Bologna. In quella sede si proseguirà il discorso iniziato nel corso dell’incontro che ha aperto la fiera dela Marca del distributore, che sempre più si connota come momento cruciale nei rapporti di filiera tra industria e distribuzione. Quest’anno con una grossa novità: il coinvolgimento delle altre organizzazioni della filiera a monte (gli agricoltori rappresentati da Coldiretti e Confagricoltura) e a valle, con il convegno pomeridiano organizzato da Ibc, l’associazione Industrie dei Beni di consumo.

Guido Cristini, Università di Parma
Guido Cristini, Università di Parma

Un metamessaggio non da poco, se si considera che  il 2014 ha segnato uno stop nella crescita della quota di mercato della marca del distributore, a fronte di una pressione promozionale che ha toccato punte del 28,7% nei supermercati e del 34,6% negli ipermercati e che parimenti è stata esercitata sulla Mdd: 26,7% negli Ipermercati (in crescita dello 0,6%) e e 22,4% nei Supermercati, in calo dello 0,3%. Paradossalmente, ha detto Guido Cristini docente di Marketing all’Università di Parma, «la crisi ha innescato un meccanismo capovolto, in cui la Mdd ha “fatto” la marca, mentre le marche hanno de-valorizzato il proprio posizionamento, puntando al prezzo con azioni tattiche».

Francesco Pugliese, presidente Adm
Francesco Pugliese, presidente Adm

E Francesco Pugliese, nel ruolo di padronedi casa come presidente di Adm, ha osservato: «Il ruolo della Mdd è costruire la marca, è diventare marca. La pressione promozionale è come la cocaina: ti dà una botta di energia, ma con l’uso non ne puoi più tornare indietro. Ma la distribuzione sta cominciando a comprendere che il valore della filiera non può essere dato con la pressione promozionale».

Non minori sono i problemi che si rilevano a valle della filiera.

Roberto Della casa, Università di Bologna
Roberto Della casa, Università di Bologna

Li ha espressi Roberto Della Casa, Docente di Marketing dei prodotti agroalimentari e Gestione delle imprese agroalimentari dell’Università di Bologna esponendo una interessante ricerca che ha analizzato la catena del valore nella filiera agroalimentare che ha preso in considerazione 10 circoscrizioni economiche distrettuali agroalimentari, alcune tipicamente agricole, altre agroindustriali, che però nell’insieme rappresentano 9 prodotti Dop e Igp, il 45% della produzione, il 57% del fatturato, il 61% del fatturato alla distribuzione moderna. Quest’ultima è stata nell’ultimo trienni un canale in crescita di 127 milioni per i 10 distretti considerati contro una diminuzione di 100 milioni di euro degli altri canali. «Alcuni di questi prodotti vivono di distribuzione moderna», ha detto Della Casa. Che dopo aver analizzato alcuni casi, ha ricordato come il problema cruciale per il sistema agroalimentare italiano sia quello di aumentare la capacità di esportare per dare possibilità alla produzione di aumentare evitando così di cedere sui prezzi. Perché, ha sottolineato, «alcune filiere sono dominate dai costi più che dall’utile».

E proprio il tema di come realizzare strumenti (piattaforme logistiche) di aggregazione dell’offertaper l’esportazione che offrano servizi alla distribuzione estera insieme a come aumentare il valore aggiunto della filiera e alle modalità di aggregazione dell’offerta sono i temi sui quali il ministro Martina ha chiamato attorno a un tavolo di discussione i protagonisti della filiera. L’appuntamento è per martedì 27 gennaio.

 

Fabrizio Gomarasca

OGM: Stati liberi di vietare ma falle nella nuova legge

Ogni Stato membro dell’UE potrà limitare o vietare la coltivazione di colture contenenti organismi geneticamente modificati (OGM). Lo stabilisce la legge approvata ieri dal Parlamento europeo con 480 voti favorevoli, 159 voti contrari e 58 astensioni e che entrerà in vigore nella primavera del 2015. Un testo di compromesso che, se consente di fatto la scelta al singolo stato, secondo le associazioni del biologico non dà le dovute garanzie né agli agricoltori né al consumatore.

 

La nuova normativa

Oltre alla possibilità data agli Stati membri di vietare gli OGM (a oggi sono nove i Paesi che hanno fatto questa scelta, Italia compresa, mentre solo in quattro, e principalmente in Spagna, esistono coltivazioni OGM), si è ampliata la “rosa” delle motivazioni: non solo per ragioni di politica ambientale, diverse da quelle espresse nella valutazione dei rischi legati alla salute e all’ambiente effettuata dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), ma anche “altri motivi, quali gli obiettivi di pianificazione urbana e rurale, l’impatto socio-economico, per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti, e gli obiettivi della politica agricola“. Prima che uno Stato membro possa adottare tali misure, però, l’azienda che coltiva l’OGM oggetto del processo di autorizzazione può esprimere il suo accordo alle restrizioni prevista all’immissione in commercio. Tuttavia, nel caso la società non sia d’accordo, lo Stato membro può imporre il divieto in maniera unilaterale. L’accordo siglato prevede che gli Stati membri garantiscano “aree cuscinetto” in modo che le colture GM non contaminino altri prodotti e una particolare attenzione deve essere rivolta alla prevenzione della contaminazione transfrontaliera con i Paesi vicini. Il mais MON810 è attualmente l’unica coltura GM autorizzata e coltivata nell’UE.

 

“Ambiguità e vaghezze” per il mondo bio, soddisfazione da Coldiretti 

Una legge che secondo alcuni era “l’unico compromesso possibile” tra le fazioni opposte dopo quattro anni di trattative. Secondo le tre principali associazioni, AIAB, FederBio e Associazione Agricoltura Biodinamica, “Il voto di oggi, nonostante le innegabili ricadute positive, rischia di essere un regalo alle multinazionali del biotech. Allo stesso tempo, ponendo limiti all’obbligo di etichettatura, si ignora la volontà di gran parte dei cittadini che, a più riprese, hanno detto ‘no’ agli OGM”. Inoltre, ci sarebbero ambiguità e vaghezze sull’introduzione delle ragioni ambientali invocabili da ogni Stato per sostenere il divieto di coltivare prodotti transgenici. “Un notevole danno anche economico – sottolinea Carlo Triarico, presidente dell’Associazione Agricoltura Biodinamica – se si pensa al boom di domanda interna ed esportazioni che ha avuto negli ultimi anni l’agricoltura biologica e biodinamica. Così si tagliano le gambe a uno dei pochi settori in crescita, che fa dell’Italia un gioiello nella produzione dell’agroalimentare di qualità”.

Fortemente critici sinistra e verdi che hanno votato contro, “per il principio che un’azienda sia messa alla pari di uno stato e per l’assenza di sicurezze sulla protezione delle coltivazioni “altre” dalla contaminazione, per le quali nel caso non c’è la possibilità di chiedere un risarcimento”.

Soddisfatta invece Coldiretti: “La libertà di non coltivare Ogm come ha fatto fino ad ora l’Italia e come chiedono quasi 8 cittadini su 10 che si oppongono al biotech nei campi è una ottima chiusura del semestre di presidenza italiano dell’Unione – ha commentato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo -. Siamo di fronte ad un importante e atteso riconoscimento della sovranità degli Stati di fronte al pressing e alle ripetute provocazioni delle multinazionali del biotech. L’Europa da un lato, le Alpi e il mare dall’altro, renderanno l’Italia finalmente sicura da ogni contaminazione da OGM a tutela della straordinaria  biodiversità e del patrimonio di distintività del Made in Italy.

Biologico ancora su: 2,6 miliardi nel 2014. Oggi la UE decide sugli OGM

Quello del biologico è un mercato in costante crescita dal 2008, che non si è arrestato neanche nel 2014, quando ha avuto un giro d’affari di 2,6 miliardi, in crescita dell’8% rispetto al 2013: queste le stime di FederBio, Federazione italiana agricoltura biologia e biodinamica, in attesa dei dati definitivi di febbraio. Non solo: come ha sottolineato il presidente Federbio Paolo Carnemolla “abbiamo previsioni che questa crescita continuerà. E i valori saranno anche più elevati sui mercati stranieri in particolare in Europa, soprattutto Germania, Stati Uniti e anche Asia”. Già oggi, a fronte di un consumo interno, tra privati e ‘food service’ (mense e ristoranti) di 2,626 miliardi, il valore dell’export è pari a 1,060 miliardi. Per un giro d’affari complessivo quindi di oltre 3,6 miliardi.

E i margini di crescita ci sono ancora. “Le indagini – osserva Carnemolla – dicono che più del 30% dei consumatori sarebbe intenzionato ad acquistare prodotti biologici ma da Firenze in giù è molto difficile trovarne nella rete vendita, dove pesano la scarsa presenza di negozi specializzati in logica moderna e assortimenti spesso modesti”. Tanto che il profilo del consumatore di prodotti biologici non è cambiato negli anni: residente al Nord, in area metropolitana e centri di medie dimensioni, appartiene a nuclei familiari poco numerosi ed è di classe socio-economica e istruzione medio-alta.

Nei discount l’incremento maggiore

In termini assoluti, la quota più importante di mercato è ancora detenuta dai negozi biologici con un valore di oltre 1,1 miliardi e una crescita del 7,5% sull’anno precedente. Le performance migliori nel 2014 vanno però secondo Assobio, associazione nazionale delle imprese di trasformazione e distribuzione che aderisce a FederBio, ai discount (+25,8%), seguiti da ipermercati (+11,5%) e supermercati (+9,9%). Segno negativo, invece, per il comparto bio nei negozi tradizionali (-18%) e per le vendite dirette in azienda, nei mercatini o tramite abbonamento, che registra un calo dell’1,5%: una sorpresa, ma va detto che in questo caso i dati vanno presi cum grano salis, perché è un settore, per sua stessa natura, difficile da monitorare.

Segno meno sull’ortofrutta nell’anno del maltempo

Venendo alle categorie merceologiche, l’ortofrutta nel 2014 ha perso circa il 2,5% di fatturato nella GDO (dato che incide per il 10% sull’andamento delle vendite). Un dato influenzato anche dal difficile andamento climatico. Per le altre categorie di prodotto, buoni risultati si registrano per biscotti (+14%), passate e polpe di pomodoro (+14,1%) e baby food (+20%). Assobio rileva anche un buon andamento di prodotti con ricette vegetariane e vegane a base di soia e seitan. Bene anche i vini.

Oggi la UE decide sugli OGM

Intanto oggi si vota al Parlamento europeo il testo che consentirà agli Stati membri di limitare o abolire le coltivazioni OGM. Una questione che coinvolge direttamente le associazioni del biologico come AIAB, Federbio e l’Associazione Agricoltura Biodinamica, le quali sottolineano come la versione al vaglio dell’Assemblea plenaria presenti alcune lacune, che potrebbero lasciare sul piano giuridico ampi spazi di contestazione alle multinazionali. Tra queste: la vaghezza rispetto alle motivazioni ambientali invocabili; la libertà di circolazione di prodotti Ogm, anche in caso di divieto di produzione nel singolo Stato; la reversibilità in ogni momento del divieto di coltivazione stabilito da un singolo Stato membro. Cruciale anche l’approvazione di una norma che estenda l’obbligo di etichettatura ai prodotti derivati da animali alimentati con Ogm o comunque ottenuti da Ogm. Una pratica che del resto esiste già per i prodotti destinati all’alimentazione umana e per i mangimi.

Sotto la lente anche il TTIP, il Trattato di libero scambio tra Usa e Ue, che rischia di essere approvato. “I cambiamenti del testo in approvazione, che esclude gli emendamenti approvati dal Parlamento,  sono di fatto la rivelazione degli accordi presi in sede Ttip. Ci risulta difficile pensare che in una trattativa sulla libera circolazione di merci e servizi, il Nord America rinunci a imporre gli OGM e si adegui alle etichette ‘parlanti’ che permettono al consumatore di scegliere con più consapevolezza. Basti pensare che nel WTO gli USA hanno considerato l’etichettatura che obbliga a dichiarare la presenza di OGM un ostacolo alla libera circolazione delle merci” spiega Vincenzo Vizioli, presidente di AIAB.

Anno difficile per l’olio d’oliva italiano. Ci salverà il blending

Tra mosca olearia, grandine, estate piovosa e il batterio killer Xylella (in Puglia) la produzione di olio di oliva italiano ha accusato un duro colpo, con una riduzione della produzione del 35%, passando dalle 464 mila tonnellate di olio del 2013 all 302 mila tonnellate del 2014. Per contro il fabbisogno nazionale è di circa un milione di tonnellate: 600 mila per il mercato interno e circa 400 mila per l’export.

Da questo quadro risulta chiaro che l’Italia consuma ed esporta più olio di quanto produca, anche in annate normali, ma già da dicembre i prezzi degli oli Dop italiani sono in sensibile aumento, come rileva l’Ismea.

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La tabella che riprendiamo dal medesimo Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare sintetizza molto bene la situazione del settore dell’olio di oliva. In particolare l’ultima riga che si riferisce al tasso di autoapprovvigionamento (cioè il rapporto tra produzione e consumo apparente) è passato negli ultimi cinque anni dall’80% al 76% con una crescita delle importazioni e un andamento delle esportazioni a ritmo alternato tra crescita e riduzioni.

Biamcio Approvvigionamento Olio di Oliva

Giovanni Zucchi, ad Oleiicio Zucchi
Giovanni Zucchi, ad Oleiicio Zucchi

Poiché il peso delle denominazioni dal 2011 è praticamente stabile al 2,1-2,2%, ne risulta che il vero asset dello sviluppo del settore olivicolo italiano si chiama blending.

Così lo spiega Giovanni Zucchi, amministratore delegato dell’Oleificio Zucchi, autore del libro L’Olio non cresce sugli alberi (sottotitolo, L’arte del blending: come nasce un olio di grande qualità, edito da Lupetti) e anche presidente di Assitol, l’associazione dell’industri olearia: “Il blending è la capacità di combinare nelle giuste proporzioni oli con diverse caratteristiche, provenienze e disponibilità di anno in anno, ottenendo un prodotto superiore e diverso rispetto agli ingredienti di partenza, è un’arte antica, un saper fare artigianale ancora sconosciuto ai più e che contraddistingue i blendmaster (cioè i professionisti del blend) italiani”.

Come dire che se negli whisky il blend è un valore acquisito, nel caffè la miscela è una ricetta che esalta l’aroma e negli spumanti la cuvée è un must, anche nell’olio extravergine di oliva il blend di oli selezionati è un’arte che crea un prodotto che aumenta il proprio valore. Non a caso è proprio l’Italia il solo Paese al mondo ad avere  affinato nei secoli una vera e propria arte: quella nel selezionare e accostare oli da cultivar e provenienze diverse e nell’armonizzare profumi e gusti che variano di anno in anno per caratteristiche e disponibilità, ottenendo un prodotto superiore e diverso dagli ingredienti di partenza.

Il blending quindi è lo strumento attraverso il quale passa il successo  posizionamento e il successo degli oli da olive imbottigliati in Italia, in particolare dell’extra vergine di oliva, commercializzati attraverso le insegne nazionali ed estere della GDO.

Non a caso Oleificio Zucchi tra gli altri produttori, sarà presente a Marca by Bologna Fiere, la manifestazione delle private label che si apre mercoledì 14 gennaio a Bologna. «Attraverso la partecipazione a Marca 2015 e ad altri importanti appuntamenti fieristici nazionali e internazionali in calendario nell’anno – afferma Zucchi –  intendiamo coinvolgere i nostri interlocutori del comparto distributivo nel dare il giusto risalto al contributo del blending al gradimento nel mondo dell’olio extravergine di oliva prodotto in Italia. Siamo fermamente convinti, infatti, che veicolare le specificità che avvantaggiano i nostri prodotti rispetto all’agguerrita concorrenza estera sia il modo migliore per consolidare l’attuale momento di successo e per stimolare il rilancio della filiera dell’Evo nel nostro Paese».

Olio evoA salvaguardia del consumatore da frodi sempre in agguato sono arrivate fortunatamente le nuoveregole sull’etichettatura secondo il regolamento Ue 1169 entrato in vigore il 13 dicembre: per tutti gli oli imbottigliati dopo tale data è obbligatorio evidenziare anche sulla parte frontale dell’etichetta l’origine e la provenienza delle olive o delle miscele utilizzate.

 

di Fabrizio Gomarasca

 

L’olio Monini è sempre più green

Due tra gli oli extra vergine d’oliva più pregiati Monini, il BIOS e il D.O.P. Umbria, sono stati sottoposti a uno studio completo di LCA (Life Cycle Assessment con metodologia “dalla culla alla tomba”) per arrivare a definirne la Carbon Footprint (CFP), l’indicatore ambientale che quantifica il contributo di un singolo prodotto al riscaldamento globale, considerando l’intero ciclo di produzione. L’unità di misura è espressa in termini di kg di CO2 equivalente ai sensi della ISO/TS 14067:2013, una norma internazionale di recente emanazione che Monini è tra le prime a livello internazionale e tra le pochissime del proprio settore produttivo a utilizzare.

È stata analizzata l’intera filiera Monini: dalla fase di coltivazione e raccolta delle olive, attraverso il loro trasporto al frantoio e l’estrazione dell’olio, alla filtrazione e al confezionamento, fino alla produzione degli imballaggi, alla distribuzione del prodotto finito, all’uso e al fine vita del prodotto e del suo imballaggio. Alla luce dei dati raccolti, Monini ha individuato diverse attività per il miglioramento della carbon footprint dei due oli: contenimento dei consumi energetici e dei prodotti chimici (questi ultimi solo per il D.O.P. Umbria) per la fase di coltivazione delle olive, studio di un imballaggio a bassa impronta di carbonio e il contenimento dei consumi elettrici per le fasi di estrazione dell’olio al frantoio e di confezionamento.

Monini ha anche deciso di compensare le emissioni di gas a effetto serra del ciclo di vita degli oli extra vergine d’oliva BIOS e D.O.P. Umbria non evitabili, attraverso il finanziamento di un’attività in grado di assorbire/evitare tonnellate di CO2 in atmosfera. Per fare ciò è stato scelto il progetto China Anhui Guzhen Biomass, che consiste nella realizzazione e installazione di un boiler da 130t/h e di un generatore a turbina a vapore da 30MW nella contea di Guzhen, contea della provincia di Anhui, nella Cina orientale. Scarti della lavorazione del legno, della coltivazione del riso, del mais e delle arachidi, invece di essere gettati vengono utilizzati come combustibile per la generazione di energia elettrica. La produzione annuale di energia attesa è di 186,900 MWh, che vengono immessi nella East China Power Grid. Due gli effetti positivi sul clima: la riduzione di gas effetto serra e l’aumento dell’utilizzo di energia pulita.

La CFP si aggiunge ai progetti già portati a termine da Monini a favore dell’ambiente e della sostenibilità. Tra questi, c’è l’installazione di un impianto fotovoltaico presso lo stabilimento, l’acquisto di energia da fonti rinnovabili certificate e i packaging eco-sostenibili in vetro riciclato.

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