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Da aprile carta d’identità obbligatoria per latte e formaggi in vendita in Italia

Sugli scaffali dei supermercati e delle botteghe arrivano i formaggi con la carta d’identità. L’obbligo scatterà dal prossimo 19 aprile: sull’etichetta del prodotti lattiero-caseari in vendita in Italia (da latte vaccino, ovino, caprino, bufalino o di altra origine animale) dovrà essere indicata l’origine. L’obbligo scatta con l’avvenuta pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’apposito decreto da parte del ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali.

Un sistema innovativo e sperimentale che pone l’Italia all’avanguardia nella tutela del consumatore. L’etichetta di nuova generazione fornirà agli acquirenti informazioni chiare sulla provenienza delle materie prime di prodotti come il latte UHT, il burro, lo yogurt, la mozzarella, i formaggi e i latticini con l’esclusione dei soli prodotti Dop e Igp, che dispongono già di disciplinari che regolano anche la provenienza del latte. «Vogliamo garantire – dichiara il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Maurizio Martina – la massima tutela e trasparenza per consumatori e produttori. Con la sperimentazione dell’origine in etichetta, infatti, chi acquista potrà scegliere in modo informato e consapevole il made in Italy. Si tratta di una svolta storica che consente un rapporto nuovo tra gli allevatori, i produttori e i consumatori. L’Italia continuerà a spingere perché questo modello si affermi a livello europeo e per tutte le produzioni agroalimentari, perché è una chiave decisiva per la competitività e la distintività dei modelli agricoli».

Nella pratica, il decreto prevede che il latte o i suoi derivati debbano avere obbligatoriamente indicata l’origine della materia prima in etichetta in maniera chiara, visibile e facilmente leggibile. Due le diciture previste: Paese di mungitura e Paese di condizionamento o trasformazione. Qualora il latte sia stato munto, confezionato e trasformato nello stesso Paese, l’indicazione di origine può essere assolta con l’utilizzo di un’unica dicitura. Se le fasi di confezionamento e trasformazione avvengono in più Paesi che non siano l’Italia, possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: latte di Paesi UE se la mungitura avviene in uno o più Paesi europei; latte condizionato o trasformato in Paesi UE: se queste fasi avvengono in uno o più Paesi europei; se le operazioni avvengono al di fuori dell’Unione europea, verrà usata la dicitura Paesi non UE.

Burocrazia dimezzata e innovazione con il testo unico del vino

È entrato in vigore il 12 gennaio  testo unico del vino, approvato definitivamente il 28 novembre 2016. Una legge, la “Disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino”, che. come aveva annunciato a suo tempo il Ministro delle politiche agricole Maurizio Martina “dà ai produttori una sola legge di riferimento con 90 articoli che riassume tutta la normativa precedente. Un’operazione di semplificazione che era attesa da anni e che consente di tagliare burocrazia, migliorare il sistema dei controlli, dare informazioni più trasparenti ai consumatori”.

Tra le novità, la possibilità di introdurre in etichetta sistemi di informazione al consumatore che sfruttino le nuove tecnologie contribuendo ad aumentare la trasparenza. Una disposizione sulla salvaguardia dei vigneti eroici o storici al fine di promuovere interventi di ripristino recupero e salvaguardia di quei vigneti che insistono su aree soggette a rischio di dissesto idrogeologico o aventi particolare pregio paesaggistico. E sul fronte della tutela del prodotto contro la contraffazione, i controlli sulle imprese del settore vitivinicolo che confluiscono nel registro unico dei controlli (RUCI) a prescindere se siano o no imprese agricole.

La Coldiretti stima che l’entrata in vigore del Testo Unico sul vino consenta di tagliare del 50% il tempo dedicato alla burocrazia. Un vantaggio non da poco se oggi sarebbero 100 le giornate di lavoro che ogni impresa vitivinicola è costretta ad effettuare per soddisfare le 4mila pagine di normativa che regolamentano il settore.

“Un risultato di semplificazione frutto di una lunga mobilitazione per liberare le energie del settore più dinamico del Made in Italy agroalimentare che ne rappresenta peraltro la principale voce dell’esportazione” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo “si sostiene la competitività di un settore che in Italia genera quasi 10 miliardi di fatturato solo dalla vendita del vino, e che dà opportunità di lavoro nella filiera a 1,3 milioni di persone”.

Maltempo, temperature giù prezzi su, è allarme speculazione per l’ortofrutta

Crollano le temperature, si impennano i prezzi di frutta e verdura. In molti casi a causa di speculazioni. Ne è convinto il Codacons, che sulla vicenda ha presentato un esposto a 104 procure della Repubblica di tutta Italia. Secondo l’associazione per la tutela dei consumatori, se è innegabile l’ondata di gelo che attanaglia l’Italia e in particolare il Centro-Sud, questo non giustifica al momento l’impennata dei listini dell’ortofrutta all’ingrosso e al dettaglio, perché “la maggior parte dei prodotti oggi in vendita è stata raccolta nelle settimane scorse, quando cioè non vi era alcuna emergenza neve e freddo. Addirittura vengono spacciate per nazionali frutta e verdura provenienti da Paesi esteri, allo scopo di poter rincarare i prezzi con la scusa del maltempo. Vere e proprie speculazioni intollerabili sulla pelle dei consumatori e degli agricoltori. Per tale motivo – conclude Codacons – abbiamo chiesto a 104 Procure di aprire indagini su tutto il territorio alla luce del reato di aggiotaggio, e di individuare gli speculatori che determinano rincari ingiustificati dei listini all’ingrosso e al dettaglio”.

 

Difficoltà reali

Quello delle speculazioni sui prezzi è solo una delle conseguenze della morsa del gelo che ha colpito le campagne italiane e che ha spinto molte Regioni ad avviare le procedure per la dichiarazione dello stato di calamità, a ciò incoraggiate dallo stesso ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina. Del resto l’agricoltura di mezza Italia è in difficoltà con decine di migliaia di ettari di verdure pronte per la raccolta bruciate dal gelo, serre danneggiate o distrutte sotto il peso della neve, animali morti, dispersi e senz’acqua perché sono gelate le condutture, ma anche aziende e stalle isolate che non riescono a consegnare il latte quotidiano e le verdure. Secondo Coldiretti nel Centro Agroalimentare Roma si riscontrano “una disponibilità dei volumi ridotta del 40% rispetto ai quantitativi consueti e rincari nei prezzi all’ingrosso di certe referenze schizzati a picchi massimi del 50/60% in più, rispetto ai listini di inizio anno”. In particolare,  secondo le rilevazioni del Centro ortofrutticolo di Roma tra gli aumenti più pesanti rispetto alla stessa settimana dello scorso anno spiccano il +350% delle bietole, il +233% dei cipollotti, il +225% degli spinaci, il +170% della lattuga, il 157% delle zucche, il 150% dei cavoli. Ingiustificabile il rincaro di alcuni prodotti secondo la Coldiretti perché già raccolti da tempo come mele, pere e kiwi “mentre rialzi alla produzione dovuti all’aumento dei costi di riscaldamento delle serre o alla ridotta disponibilità di alcuni prodotti orticoli danneggiati dalle gelate non possono essere un alibi per speculazioni che danneggiano i produttori agricoli e i consumatori”.

Le regioni più colpite sono Puglia (con un calo del 70% delle consegne), Basilicata, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Sicilia e Calabria, dove migliaia di aziende agricole hanno perso le produzioni di ortaggi invernali prossimi alla raccolta, dai carciofi alle rape, dai cavolfiori alle cicorie, dai finocchi alle scarole, per effetto del gelo che ha bruciato le piantine. Gravi i danni anche agli agrumeti e ai vigneti di uva da tavola che hanno ceduto sotto il peso della neve. C’è anche il problema delle difficoltà nelle consegne, che ha portato alla distruzione di tonnellate di generi deperibili come il latte e alcuni tipi di frutta e verdure. Ciò naturalmente non può non avere conseguenze sui prezzi, anche se pure Coldiretti invita a vigilare sul rischio di speculazioni.

Se è ancora difficile calcolare i danni sull’agricoltura italiana di questa ondata di gelo di inizio 2017, Coldiretti in base a dati del Crea ipotizza che gli eventi meteorologici estremi provocati dai cambiamenti climatici abbiano “rubato” all’agricoltura italiana almeno 14 miliardi di euro negli ultimi dieci anni tra produzioni distrutte e danni a strutture e infrastrutture. Cambiamenti che si manifestano con sfasamenti stagionali e precipitazioni brevi ma intense (le cosiddette “bombe d’acqua”), con il repentino passaggio dal sereno al maltempo, con lunghi periodi di siccità che si alternano a forti piogge a carattere alluvionale, con gelate estreme e picchi di calore anomali. Stranezze che si evidenziano anche a livello territoriale come in questi giorni: mentre nella provincia di Padova non piove da 40 giorni e i livelli dei grandi laghi del Nord sono al di sotto della media, nel Mezzogiorno sono caduti quantitativi record di neve e le temperature sono proibitive, con pesanti danni alle coltivazioni e agli allevamenti.

Natale sprecone, nella spazzatura il 20% del cibo acquistato, un regalo su 4 riciclato

Come ogni anno la festa il Natale. la più ricca e opulenta festa dell’anno porta con sé grandi consumi, ma anche grandi sprechi. A partire dal fronte alimentare. Secondo la Coldiretti, sulle tavole imbandite per cenoni e pranzi di Natale sono rimasti quasi mezzo miliardo di avanzi. Codacons stima che circa il 20% di cibi e bevande acquistati durante l’intero periodo di festività finirà nella spazzatura, con una quota media di spreco alimentare pari a 23 euro a famiglia.

E quest’anno tra l’altro non si è badato a spese. Sempre secondo le stime della Coldiretti, gli italiani hanno speso a tavola quasi 2,3 miliardi di euro per i cibi e le bevande consumati tra la cena della vigilia e il pranzo di Natale. In aumento del 6% rispetto allo scorso anno, Codacons parla di.2,8 miliardi di tra alimenti e bevande varie.

 

Più avanzi ma anche più consapevolezza

La buone notizia è che gli sprechi sì no mancheranno, ma la aumentata consapevolezza verso uno stile di consumi sostenibile (per motivi economici, etici e ambientali) porterà molte famiglie a riutilizzare in cucina una parte degli alimenti avanzati. Nel 2016, secondo un’indagine Ixe/Coldiretti, il 33% degli italiani avrebbe diminuito gli sprechi alimentari mentre il 31% gli ha mantenuti costanti, il 25% gli ha addirittura annullati mentre solo il 7% dichiara di averli aumentati. Tra chi ha tagliato gli sprechi il 60% lo ha fatto proprio utilizzando gli avanzi nel pasto successivo grazie ai “piatti del giorno dopo”, tornati prepotentemente nelle abitudini alimentari delle famiglie. Polpette o polpettoni a base di carne o tartare di pesce, frittate, ratatouille. Sul fronte “natalizio”, per dare un nuovo sapore ai dolci più tradizionali (sempre i più apprezzati), come il pandoro o il panettone, si ricorre spesso alla farcitura con creme.

Quest’anno si è assistito a un ritorno ala tradizione: meno cibi esotici e ipercostosi, come ostiche e frutta esotica, champagne, caviale e salmone, e più cibi “poveri” e tipici come bollito, pollo arrosto, cappelletti in brodo, pizze rustiche e dolci fatti in casa. Un plebiscito ha accolto lo spumante, apparso sulla tavola di nove italiani su dieci (89%) a pari merito con la frutta locale di stagione mentre il panettone con il 75% ha battuto di misura il pandoro fermo al 72%.

 

LA SPESA PER IL NATALE IN MILIONI DI EURO 

Pesce, carne, ragù e salumi, ecc.            800
Spumante, vino e altre bevande            400
Dolci, panettone, pandoro                     300
Frutta, ortaggi e conserve                     400
Pasta e pane                                          200
Formaggi e uova                                   100
TOTALE                                                  2.200

 

E i regali di troppo si riciclano

Il fronte dello spreco coinvolge anche i regali, troppi e non sempre apprezzati se ben un italiano su quattro (27%) giù pensa al riciclo Ma cji sono i”fortunati” destinatari del regalo di seconda mano? Parenti e amici che possono apprezzare l’oggetto ricevuto in dono, mentre il 22% più prosaicamente li restituisce al negozio cambiandoli o chiedendo un buono mentre il 21% li rivende su internet. I prodotti con il minor tasso di “riciclo” sono quelli dell’enogastronomia per i quali si trova sempre l’occasione di consumo mentre piu a rischio sono i capi di abbigliamento, i prodotti per la casa o quelli tecnologici. Si tratta di un business rilevante se si considera che le famiglie italiane hanno scartato sotto l’albero regali di Natale per un valore stimabile in oltre 6 miliardi tra grandi e piccini mentre appena il 14% degli italiani non ha ricevuto quest’anno neanche un regalo. Anche se purtroppo non sempre le scelte hanno incontrato le attese, il 49% degli italiani ha stanziato un budget tra i 10 ed i 100 euro, il 27% tra i 100 ed i 200 euro, il 16% tra i 200 e i mille euro e il resto anche di più. Tra i regali piu’ gettonati quest’anno libri, tecnologia, abbigliamento, prodotti di bellezza ed enogastronomia.

Conad si aggiudica il premio “Il logistico dell’anno 2016”

Conad si aggiudica il premio Il logistico dell’anno 2016 (Istituito da Assologistica e Euromerci ) per aver dematerializzato la consegna del prodotto a marchio con il supporto di un progetto Di.Tech sulla piattaforma Delivering.

Il progetto Delivering ha determinato una totale dematerializzazione dei documenti di trasporto (ddt) coinvolgendo tutti gli attori della filiera (supply chain e amministrazione, 3PL e trasportatori, fornitori mdd), che possono, ora, disporre di tutte le informazioni sull’esito della consegna, in tempo reale e in formato digitale.

«È stata una grande soddisfazione per noi ricevere questo premio – commenta Andrea Mantelli, responsabile Supply Chain Conad – quale riconoscimento per il prestigioso progetto di dematerializzazione. Per il prodotto a marchio Conad, il processo di digitalizzazione della logistica è iniziato, sempre in partnership con Di.Tech, anni fa con l’introduzione dell’Edi che ci ha poi permesso di allargare al DesAdv. Da tre anni, abbiamo introdotto nei nostri magazzini del fresco la tecnologia RFid attraverso l’utilizzo di tag e abbiamo fatto investimenti per creare varchi per la lettura dei tag RF in uscita agli Hub e in ingresso sui CeDi. Ora abbiamo completato questa evoluzione, introducendo le informazioni di ritorno (RecAdv) attraverso il progetto Di.Tech sulla piattaforma Delivering».
«Il progetto Delivering in Conad per noi rappresenta una fondamentale tappa di quel percorso di digitalizzazione che promuoviamo costantemente nel mondo retail», dice Ennio Comini, amministratore delegato Di.Tech. «Il successo di questo progetto è dovuto al fatto che con Conad avevamo avviato da tempo, a partire dal progetto EDI, il processo di trasformazione digitale e nella fase decisiva siamo stati in grado di superare con efficacia le possibili difficoltà della collaborazione fra diversi attori della filiera, favorendo una sinergia che ha generato grandi risultati in termini di risparmio e ottimizzazione non solo nel processo logistico, ma anche amministrativo».

Come funziona
Con l’introduzione di Delivering, in fase di preparazione del carico dal magazzino viene generato il ddt elettronico, sia in formato DesAdv sia in formato leggibile pdf, e un Pin associato alla consegna. All’atto di presa in carico della merce il conducente, che ha ricevuto il Pin tramite sms, firma elettronicamente il documento, sfruttando il device mobile reso disponibile dal magazzino. In fase di ricevimento, sempre tramite interfaccia mobile, la cooperativa annota in digitale gli eventuali vizi apparenti, arricchendo, eventualmente, con foto la documentazione e con riscontro diretto del conducente con l’uso del PIN. Successivamente, terminati i controlli sulla presenza dei vizi occulti e alla chiusura del carico, dalla cooperativa viene generato il documento elettronico RecAdv che contiene il dettaglio completo della merce accettata e la segnalazione delle anomalie riscontrate con le specifiche causali. La nota di contestazione viene resa disponibile anche in formato leggibile pdf. In questo modo tutte le comunicazioni avvengono in tempi molto veloci, in modalità strutturata e senza possibilità di errori.

I vantaggi

La tempestività delle indicazione delle non conformità dovuta alla digitalizzazione delle informazioni e la drastica riduzione dei contenziosi, hanno migliorato significativamente il monitoraggio del processo di ricevimento merce e velocizzato il processo amministrativo, minimizzando le note di credito.
Infine il progetto Delivering in Conad si è confermato un vero e proprio progetto green, con il risultato stimato di -30 tonnellate/anno di CO₂.

Glifosato, la Corte di Giustizia Europea chiede alle aziende di rendere pubblici i test

Rendere pubblici i test di sicurezza sul glifosato. Lo ha chiesto alle aziende chimiche la Corte di giustizia dell’Unione europea, accogliendo ieri la richiesta di Greenpeace e del Pesticide Action Network (PAN) Europe.

Scoperto nel 1950 e messo in produzione dalla Monsanto negli anni Settanta, il glifosato, un erbicida largamente usato in agricoltura, dal 2001 è divenuto di libera produzione essendo scaduto il brevetto della multinazionale americana. Il composto chimico è stato considerato di bassa pericolosità per l’uomo fino al 2012, quando la rivista Food and Chemical Toxicology pubblicò uno studio che evidenziava la sua patogenicità e cancerogenicità nei ratti. Lo studio fu contestato ma nel 2015 l’IARC (International Agency for Research on Cancer) classificò il glifosato come sostanza probabilmente cancerogena per l’uomo.

La questione resta aperta. Per questo la Corte del Lussemburgo ha ravvisato negli studi in materia “informazioni sulle emissioni nell’ambiente”, e quindi di interesse pubblico. «La sentenza – spiega Federica Ferrario, responsabile campagna agricoltura di Greenpeace Italia – stabilisce che le autorità devono pubblicare tutti gli studi utilizzati per le valutazioni dei rischi dei pesticidi, e non possono tenerli segreti per proteggere gli interessi commerciali delle aziende. In base alla sentenza odierna, sia le autorità europee che quelle nazionali dovranno d’ora in poi rendere pubblici questi studi in automatico, e non solo a seguito di richieste di accesso ai dati. Nelle valutazioni dei rischi dei pesticidi la trasparenza è di vitale importanza, dato che sono a rischio salute e ambiente».

«Il fatto che i test di valutazione sulla sicurezza delle sostanze analizzate siano effettuati dalle stesse aziende che le producono costituisce di per sé un evidente conflitto di interessi – aggiunge Hans Muilerman di PAN Europe -. La pubblicazione dei risultati integrali servirà a verificare se i dati parziali che le aziende hanno fornito originariamente alle autorità corrispondono a ciò che è effettivamente emerso dagli studi.

Anche se in Italia da agosto è scattato il divieto di utilizzare il glifosato nelle coltivazioni in pre-raccolta e in “parchi, giardini, campi sportivi, aree gioco per bambini, cortili ed aree verdi interne a complessi scolastici e strutture sanitarie”, e il ritiro dal commercio di 85 prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva glifosato, secondo Coldiretti quasi un pacco di pasta Made in Italy su cinque è fatto con grano canadese, che continua ad essere trattato con glifosato. E tutto ciò, nonostante il divieto imposto dal decreto del Ministero della Salute in vigore dal 22 agosto 2016.

LIFE-Food Waste StandUp, al via a gennaio la campagna antispreco per tutta la filiera

Si chiama LIFE-Food Waste StandUp la campagna di comunicazione e sensibilizzazione contro lo spreco alimentare e in favore delle donazioni presentato al ministero delle politiche Agricole Alimentari e Forestali alla presenza del ministro Maurizio Martina, e che per la prima volta coinvolge l’intera filiera: produttori, distributori, venditori e consumatori. Un progetto la cui partenza è prevista per il gennaio 2017, cofinanziato dalla Commissione europea nell’ambito del programma per l’azione per il clima LIFE 2014-2020 e che vanta un partenariato di filiera composto da Federalimentare come capofila e da Federdistribuzione, Fondazione Banco Alimentare e Unione Nazionale Consumatori.

Lo scopo è quello di prevenire e ridurre lo spreco alimentare e recuperare le eccedenze. Per raggiungerlo sono tre i target strategici destinatari della intensa campagna di sensibilizzazione: imprese di produzione agroalimentare, imprese della Gdo e consumatori. Il progetto mira a coinvolgere circa 20mila imprese agroalimentari, 12mila punti vendita diretti e in franchising e 500mila consumatori che dovranno diffondere informazioni e modelli per la gestione delle eccedenze alimentari a 200mila imprese europee, formare almeno 200 aziende agroalimentari e 65 aziende della Gdo sulle procedure di donazione e di gestione delle eccedenze e attivare 59 infopoint in altrettante città di 15 regioni italiane a disposizione dei consumatori.

Secondo i dati della Fao, nel mondo ogni anno vanno sprecati 1,3 miliardi di tonnellate di cibo per un valore di oltre 2mila miliardi di euro, pari a circa un terzo dell’intera produzione mondiale. E non sono solo i Paesi sviluppati a riempire le pattumiere: la quantità di alimenti gettati via nei Paesi in via di sviluppo (630 milioni di tonnellate) è quasi pari a quella che viene buttata nei Paesi industrializzati (680 milioni di tonnellate). L’Italia si colloca, con 12,6 miliardi di euro di cibo gettato via, a metà della classifica europea dello spreco, che vede nel poco onorevole ruolo di capolista i Paesi Bassi e all’ultimo posto, Paese quindi più virtuoso, la Grecia.

Molto importante il ruolo nel Progetto LIFE-Food Waste StandUp della distribuzione. «La realizzazione di un progetto di filiera sul tema della lotta allo spreco e del recupero delle eccedenze alimentari – dice Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione – è un fatto di grande rilievo. Insieme agli altri partner potremo avere una forza d’urto significativa per stimolare comportamenti virtuosi nel mondo delle imprese e dei consumatori, con impatti positivi sulla società e sull’ambiente. La recente legge approvata dal Parlamento crea un contesto più favorevole a un aumento delle donazioni: sarà compito di Federdistribuzione sensibilizzare ulteriormente il settore della distribuzione, consapevole e già impegnato in iniziative concrete». Secondo Cobolli Gigli è necessario lavorare “in ogni regione d’Italia affinché si possano intraprendere in modo ancora più convinto azioni per dare una seconda vita a prodotti alimentari perfettamente commestibili. Nell’ambito del progetto LIFE gireremo tutto il Paese per parlare alle amministrazioni locali e per aprire nuove collaborazioni tra le nostre imprese e le istituzioni del territorio, con l’obiettivo di contribuire, attraverso le donazioni, a migliorare le condizioni delle persone che si trovano in situazioni di bisogno e ridurre l’impatto sull’ambiente attraverso un utilizzo sostenibile delle risorse”.

Per il ministro Martina l’Italia “si riconferma protagonista della lotta allo spreco alimentare e alla guida di un progetto sperimentale virtuoso che vede un gioco di squadra importantissimo”. Il ministro ricorda l’esempio positivo di Expo e intravede un traguardo molto simbolico: «Siamo sempre più vicini all’obiettivo di recuperare un milione di tonnellate di cibo distribuito a chi ne ha bisogno grazie al prezioso aiuto degli enti caritativi».

«Una delle principali eredità che Expo ha lasciato al mondo è la riacquisita sacralità del cibo – fa notare Luigi Scordamaglia, presidente di Federalimentare – e anche se nello stadio della trasformazione industriale l’eccedenza pesa solo per il 3% del totale, la lotta allo spreco è una priorità assoluta per l’industria alimentare italiana». E se Andrea Giussani, presidente del Banco Alimentare, si dice “molto contento di far parte di questa squadra e di mettere a disposizione tutte le nostre competenze per lavorare al meglio nei prossimi tre anni con i nostri partner”, Massimiliano Dona, segretario generale dell’Unione Nazionale Consumatori, pensa che “solo con una grande alleanza tra chi produce, vende e consuma si potrà vincere la sfida agli sprechi alimentari”.

Per saperne di più sulla legge antispreco:

Spreco alimentare, entra in vigore la legge che aiuta a donare

 

I nostri articoli sul tema:

Lotta allo spreco, Carrefour premia i fornitori “virtuosi”

Spreco zero: l’impegno decennale di Coop Lombardia, 809 tonnellate recuperate nel 2015

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Legge antispreco: l’opinione di Federdistribuzione

Lotta allo spreco alimentare: approvata la legge. L’opinione di Coop

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Gdo contro lo spreco/1: parte la collaborazione tra Végé e Last Minute sotto casa

Gdo contro lo spreco/2. Pam lancia “Reimpiatta il piatto”, concorso zero waste

Lotta allo spreco e Gdo: cosa stanno facendo le insegne in Europa

L’alveare, dal produttore al consumatore via web

Una sorta di Gas, gruppo di acquisto solidale, tecnologico, un modo per fare la spesa a km 0 direttamente dalle mani dei produttori, ma senza allontanarsi dalla città: è l’Alveare che è appena sbarcato anche a Firenze. L’iniziativa, nata in Francia sotto l’insegna “La Ruche qui dit Oui”, ha raccolto oltre un milione di persone in Europa dal 2011 ad oggi, con oltre 700 punti di raccolta. Partiti da Torino nel marzo 2015, oggi gli Alveari in Italia sono un centinaio, e fanno riferimento a oltre 350 piccole e medie imprese dell’agroalimentare, con una rete di 16mila persone tra consumatori, gestori e produttori. Quello di Firenze è il primo Alveare della Toscana, ma ce ne sono già altri due “in costruzione” ad Arezzo e Piombino.

Il modello si basa su una piattaforma web in cui si incontrano domanda, ovvero un gruppo di consumatori che gravitano su una stessa città, e offerta, le piccole e medie imprese che si trovano in un raggio massimo di 250 km dalla città stessa (nel caso di Firenze la distanza media è di 17 km). Dopo essersi iscritti online, si scorre la lista di prodotti disponibili nell’Alveare di riferimento, dalla pasta agli ortaggi, da olio e vino ai salumi, dalle uova al caffè, si ordina e si paga online. Un giorno alla settimana i consumatori passano a ritirare la spesa nel punto prestabilito, dove si crea un vero e proprio mercato temporaneo, con produttori e consumatori che si incontrano, si conoscono, e si consegnano le merci. Con la possibilità da un lato di assolvere al bisogno di fiducia di chi acquista, e dall’altro alla necessità per chi produce e vende di conoscere le esigenze dei clienti. Piace la flessibilità del modello e la capacità di limitare gli sprechi, riducendo a zero il tasso di invenduto. Ideato per massimizzare la resa per il produttore e la personalizzazione per il consumatore.

L’iscrizione è gratuita e non c’è un acquisto minimo: si paga solo quando e se si compra e si conosce già in partenza a quanto ammonta il ricarico sul prezzo applicato dal produttore. La quota stabilita è del 16,7%, divisa a metà tra Gestore e piattaforma, in modo da coprire le spese. Un ricarico così basso è possibile proprio grazie alla community: ogni Alveare può contare su almeno 100 iscritti, il che consente di ammortizzare i costi.

alveare-milano

Responsabile dell’Alveare fiorentino è la blogger Chiara Brandi (www.forchettinagiramondo.com), che si occuperà di selezionare i produttori locali, ma anche di creare e animare la comunità dei consumatori. «Sono rimasta stupita che in città nessuno avesse creato una comunità di questo tipo – dice Chiara Brandi – e quando ne ho sentito parlare mi sono subito attivata con i coordinatori nazionali. Conoscevo già molti produttori locali grazie al mio blog dove parlo principalmente di cibo legato ai territori, e ho cercato di inserire quei prodotti che io per prima avrei voluto trovare sulla mia tavola». 

Via libera all’indicazione di origine per il latte, Coldiretti presenta l’etichetta Made in Italy

Un’etichetta per il Made in Italy anche per latte e latticini: l’ha presentata la Coldiretti stamattina al tradizionale Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio, dopo il via libera dell’Unione europea alla richiesta italiana di indicazione di origine obbligatoria per il latte e i prodotti lattiero-caseari. Sono infatti scaduti senza obiezioni alle ore 24 del 13 ottobre i tre mesi dalla notifica previsti dal regolamento 1169/2011 quale termine per rispondere agli Stati membri che ritengono necessario adottare una nuova normativa in materia di informazioni sugli alimenti. Le confezioni di latte, burro e mozzarella con le nuove etichette hanno lo scopo di aiutare i consumatori a scegliere. Il provvedimento fortemente sostenuto dalla Coldiretti era stato annunciato dal premier Matteo Renzi e dal Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina in occasione della Giornata nazionale del latte Italiano a Milano, organizzata proprio dalla maggiore organizzazione degli imprenditori agricoli in Europa.

“Il via libera comunitario – rileva la Coldiretti – risponde alle esigenze di trasparenza degli italiani che secondo la consultazione pubblica online del Ministero delle Politiche agricole, in più di 9 casi su 10, considerano molto importante che l’etichetta riporti il Paese d’origine del latte fresco (95%) e dei prodotti lattiero-caseari quali yogurt e formaggi (90,84%), mentre per oltre il 76% lo è per il latte a lunga conservazione”.

 

Il provvedimento riguarda l’indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari che dovrà essere indicata in etichetta con:

a) “paese di mungitura: nome del paese nel quale è stato munto il latte”;

b) “paese di condizionamento: nome della nazione nella quale il latte è stato condizionato”

c) “paese di trasformazione: nome della nazione nella quale il latte è stato trasformato”;

Qualora il latte o il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari sia stato munto, condizionato e trasformato nello stesso Paese, l’indicazione di origine può essere assolta con l’utilizzo della seguente dicitura: “origine del latte: nome del paese”. Se invece le operazioni indicate avvengono nei territori di più paesi membri dell’Ue, per indicare il luogo in cui ciascuna singola operazione è stata effettuata possono essere utilizzate le seguenti diciture: “miscela di latte di Paesi UE” per l’operazione di mungitura, “latte condizionato in Paesi UE” per l’operazione di condizionamento, “latte trasformato in Paesi UE” per l’operazione di trasformazione. Infine se le operazioni avvengono nel territorio di più Paesi situati al di fuori dell’Unione Europea, possono essere utilizzate le seguenti diciture: “miscela di latte di Paesi non UE” per l’operazione di mungitura, “latte condizionato in Paesi non UE” per l’operazione di condizionamento, “latte trasformato in Paesi non UE” per l’operazione di trasformazione.

«Con l’etichettatura di origine si dice finalmente basta all’inganno del falso Made in Italy con tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia che sono stranieri, così come la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta – ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo – si tratta anche di un importante segnale di cambiamento a livello comunitario sotto la spinta dell’alleanza con la Francia che ha adottato un analogo provvedimento».

Ricchezza Made in Italy da tutelare

Le 1,7 milioni di mucche da latte presenti in Italia possono finalmente mettere la firma sulla propria produzione di latte, formaggi e yogurt. garantita a livelli di sicurezza e qualità superiore grazie al sistema di controlli realizzato dalla rete di veterinari più estesa d’Europa, ma anche ai primati conquistati a livello comunitario con la leadership europea con 49 formaggi a denominazione di origine realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione. Sono invece 487 i formaggi tradizionali censiti a livello regionale territoriale e tutelati perché realizzati secondo regole tramandate da generazioni che permettono anche di sostenere la biodiversità delle razza bovine allevate a livello nazionale. Sui mercati esteri i formaggi Made in Italy hanno fatturato 2,3 miliardi (+5%) nel 2015. 

Ad essere tutelati sono anche i consumatori italiani che hanno acquistato nel 2015 – secondo una analisi della Coldiretti – una media di 48 chili di latte alimentare a persona mentre si posizionano al settimo posto mondiale per i formaggi con 20,7 chilogrammi per persona all’anno dietro ai francesi con 25,9 chilogrammi a testa, ma anche a islandesi, finlandesi, tedeschi, estoni e svizzeri.  

Il provvedimento salva 120mila posti di lavoro nell’attività di allevamento da latte che generano lungo la filiera un fatturato di 28 miliardi che è la voce più importante dell’agroalimentare italiano dal punto di vista economico, ma anche da quello dell’immagine del Made in Italy. 

L’ entrata in vigore e fissata 60 giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e potrebbe partire dal primo gennaio 2017, come è stato previsto per un testo analogo in Francia.

Amìo, un nuovo brand per i legumi secchi con origine tracciata

In occasione dell’anno internazionale dei legumi indetto dalla Fao non potevano mancare novità di prodotto nel campo di queste proteine vegetali in gran spolvero, dopo i rovesci di carni rosse e salumi:tra questi, arriva sul mercato e sugli scaffali Amìo, brand dedicato di Ilta Commodities, trader mondiale di legumi e cereali che ha scelto l’Italia come sede dello stabilimento per l’Europa e per il lancio del marchio di legumi secchi Amìo.

Le 12 referenze tra lenticchie, fagioli, ceci e piselli si distinguono per l’origine dichiarata, frutto di un’accurata ricerca e selezione dei legumi provenienti dalle migliori regioni produttive del mondo, con l’ambizioso obiettivo di riportare il gusto al centro delle scelta dei consumatori.
L’origine è indicata in maniera trasparente esaltando le caratteristiche uniche dei territori di provenienza, fino a dare voce sul pack al singolo produttore.
L’Italia è il paese di lancio e sede dello stabilimento produttivo destinato a soddisfare il mercato europeo di questo nuovo brand, e questo per ragioni di opportunità logistica ma anche di identità gastronomica: «L’Italia, abituata a trasformare attraverso la sua tradizione culinaria ogni ingrediente in un’esperienza, è la prima tappa del cambiamento che ci prefiggiamo di realizzare» ha detto Theodore Margellos, Ad di ILTA Alimentare, che da 42 anni opera nel settore del trading di legumi e cereali e che coltiva una passione sfrenata per la cucina di alta qualità.
Cn un investimento di 4,8 milioni di Euro, il nuovo marchio nasce nello stabilimento di Marghera (Ve) di ILTA Alimentare Spa, 100% Italiana titolare del brand. L’azienda è parte di ILTA Commodities SA, società che movimenta 400.000 tonnellate di legumi e cereali all’anno con un fatturato di gruppo previsto per il 2016 di 150 milioni di dollari.
Lo stabilimento di 6000 metri quadri opera in una posizione strategica per tutta Europa. Gli impianti sono dotati di tecnologia d’avanguardia per la pulitura e il confezionamento dei legumi garantendo i più alti standard qualitativi (e si avvalgono delle certificazioni BRC British Retailer Consortium, IFS International Food Standard e BIO).
I legumi che arrivano nello stabilimento di Venezia vengono processati, controllati e inseriti in un pack ad alto livello di servizio destinato a soddisfare i mercati di tutta Europa, nei canali modern trade e catering.
A supporto del lancio è prevista una strategia digitale di marketing e comunicazione che porterà i consumatori in un viaggio intorno al mondo. Informazioni ricche di contenuti parleranno ai consumatori attraverso sito web e social media.

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