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Logistica, Cedior sceglie Gi.Ma Trans per le consegne in Gdo

Cedior – centro multifunzionale ortofrutta – ha scelto il fornitore logistico Gi.Ma. Trans per le consegne fino ai CE.DI. della Gdo, un servizio che richiede flessibilità, tempi di reazione rapidi e disponibilità di mezzi per la movimentazione a temperatura controllata di frutta e verdura.

Nella sua piattaforma di Zelo Buon Persico (Lodi), Cedior si occupa di movimentazione della merce, gestione delle scorte e degli ordini, controllo qualità e confezionamento di prodotti ortofrutticoli in packaging personalizzato con i brand Elisir, Cedioro e Lombardia Gerunda. L’azienda annovera tra i suoi valori la selezione dei migliori prodotti ortofrutticoli, la salvaguardia dell’ambiente, il rispetto di tutti i collaboratori e di tutti gli attori della filiera con i quali instaura rapporti professionali e duraturi. L’amore per i frutti della terra unito al rispetto per le persone sono il “credo” di Cedior, che si traduce anche in un’accurata cernita dei propri partner, in particolare degli operatori logistici. La scrupolosa cura della merce e la puntualità di consegna devono infatti essere valori condivisi da tutta la filiera, dal produttore fino alla consegna finale; il know how e la professionalità di chi conosce il settore ortofrutticolo da sempre sono requisiti essenziali a garanzia della qualità dei prodotti che arrivano sulle tavole dei consumatori.

La scelta dell’operatore Gi.Ma. Trans come fornitore logistico è stata dettata soprattutto dalla sua trentennale esperienza di lavoro con la Gdo, che assicura familiarità con l’operatività che caratterizza il settore, abituato a tempi serrati e consegne spesso in AxA. Garantire un’efficiente movimentazione a temperatura controllata di frutta e verdura, infatti, significa soprattutto saper rispettare i tempi di consegna previsti.

Attualmente la collaborazione tra Cedior e Gi.Ma. Trans prevede la movimentazione in media di 4 bilici refrigerati al giorno sul territorio nord-italiano per consegne in AxB, oltre all’aggiunta di ulteriori mezzi per le consegne in AxA (motrici o bilici a seconda dei volumi per le diverse piattaforme). Gli ordini vengono preparati nel magazzino di Cedior dagli addetti alla produzione, grazie alle moderne linee di confezionamento presenti nella sede di Zelo Buon Persico e in seguito la merce viene caricata sui mezzi Gi.Ma. Trans già predisposti alla temperatura corretta: i gruppi frigoriferi dei rimorchi e le unità frigo delle motrici, inoltre, sono tutti integrati con un sistema satellitare autonomo di ultima generazione che permette raffreddamento ottimale, monitoraggio della temperatura e soprattutto tracking da remoto.

La scrupolosa selezione di Cedior nei confronti dei propri fornitori di logistica in outsourcing è anche alla base dei progetti futuri di crescita sul territorio nazionale: sebbene infatti la piattaforma logistica di Milano consegni già più di 50 milioni di kg di frutta e verdura nei supermercati, punti vendita locali e mercati rionali di 20 regioni italiane, la volontà dell’azienda è quella di aumentare la propria presenza nelle catene della Gdo nel centro e sud Italia per far arrivare l’eccellenza dei prodotti della terra su tutte le tavole.

Ortofrutta: consumi (e prezzi) in crescita, durante la pandemia

I comportamenti di consumo dell’ortofrutta nel corso del lockdown sono cambiati. E gli effetti si sentiranno anche durante la Fase 2.

Ecco quanto emerge dal focus sui consumi domestici di ortofrutta dell’osservatorio “THE WORLD AFTER LOCKDOWN” di Nomisma e CRIF.

La forzata permanenza degli italiani fra le mura domestiche nelle lunghe settimane del lockdown ha spinto il consumo di frutta e verdura fresca e trasformata. Un italiano su due ha infatti modificato gli acquisti in questo periodo, con un forte aumento delle quantità consumate (circa un italiano su tre) – mentre sul fronte opposto solo il 15% dichiara di aver diminuito i consumi.

Le dinamiche dei consumi di ortofrutta riflettono quanto accade all’intero paniere alimentare, in aumento per il 23% delle famiglie, mentre si assiste ad un calo diffuso per le spese rimandabili quali abbigliamento (38% delle famiglie ha ridotto gli acquisti) e arredamento (35%).

L’incomprimibilità della spesa domestica per alimentare e bevande è un evidente effetto dell’incremento del numero di pasti at home, collegati alla pressoché totale chiusura del canale away from home e all’adozione dello smart-working. Per gli stessi motivi, oltre che per una generale ricerca per prodotti naturali e salutistici, le vendite di ortofrutta nella distribuzione modera hanno registrato un grande balzo durante il lockdown (+15,8% a valore la variazione 17/feb-26/apr 2020 rispetto allo stesso periodo 2019 – fonte Nielsen – la crescita 2020 nel periodo pre-Covid era stata invece del 3,3%).

La crescita è stata sostenuta soprattutto dalla frutta (+20,4% a valore) rispetto alla verdura (+13,4%). Un driver importante sono stati i valori salutistici associati al consumo di frutta – in particolare di quella ricca di vitamina C, come le arance e kiwi, ma anche delle mele, categorie che più di altre hanno dato impulso agli acquisti.

Tuttavia, se da un lato l’incremento a valore della spesa riflette i maggiori acquisti in quantità e la ridefinizione del mix dei prodotti ortofrutticoli infilati nel carrello, dall’altro indica l’effetto di un incremento dei prezzi, percepito da ben il 69% dei responsabili acquisti delle famiglie.

Fonte: Osservatorio Nomisma The World After LOCKDOWN

Il canale on line

La percezione della crescita dei prezzi riflette anche la rimodulazione degli acquisti per canale. La spesa è cresciuta in tutti i punti vendita, ma durante il lockdown gli italiani hanno fatto maggior ricorso rispetto al pre-Covid ai negozi di vicinato e ai piccoli supermercati di prossimità. I comportamenti adottati per evitare il rischio di contagio in caso di assembramenti (limitazioni nel movimento e impossibilità di spostamenti in comuni diversi, predilezione di punti vendita meno affollati, pianificazione della spesa, ecc.) hanno portato non solo ad un diradamento della frequenza della spesa, ma anche alla preferenza di punti vendita prossimi alle abitazioni, soprattutto in quelli che hanno introdotto servizi quali click & collect, ordini telefonici, via WhatsApp o tramite sito internet (il 16% delle famiglie ha fruito del food delivery).

L’esigenza per la componente di servizio ha superato in molti casi la più “consolidata” preferenza di selezione diretta dell’ortofrutta.

E sulla scia di questo comportamento si è anche affermato l’acquisto di frutta e verdura on line. Una famiglia su 4 infatti ha acquistato ortofrutta tramite i siti web delle insegne della distribuzione organizzata, con una domanda potenziale ancora maggiore e non soddisfatta a causa di una forte intensità delle richieste (durante il lockdown il 16% ha provato a piazzare un ordine senza successo). Per l’ortofrutta il canale on line non si esaurisce con la GDO: un ulteriore 15% ha fatto un acquisto nei siti di produttori/mercati agricoli on line.

Queste tendenze, embrionali prima del lockdown, potrebbero diventare abitudini consolidate nel post-lockdown.

IV gamma e time-saver: i freschi sono più forti

Frutta e verdure fresche sono state le protagoniste sulla tavola degli italiani nelle settimane trascorse in casa. Complice il maggiore tempo a disposizione e una rinnovata attenzione alla buona cucina, i maggiori acquisti hanno riguardato queste referenze, cui si sono affiancati anche i surgelati (presenti durante il lockdown in almeno una occasione nel carrello degli acquisti del 90% degli italiani – +30% a valore nelle vendite della GDO nel mese di marzo), che grazie alla lunga conservazione hanno consentito di garantire la necessità di fare “scorta”.

All’opposto, i prodotti time-saver e ready to eat, come gli ortaggi confezionati e già pronti all’uso in cucina e le zuppe e minestre pronte da scaldare, hanno avuto una lieve battuta d’arresto. Nelle prossime settimane è atteso un riequilibrio, ma fintanto che le misure di salvaguardia della salute degli italiani saranno alte (prosecuzione della chiusura delle scuole, uso diffuso dello smart-working, ecc.) e alcune attività procederanno a ritmo ridotto, gli effetti sulla composizione del paniere di spesa dell’ortofrutta continueranno a farsi sentire.

Le nuove priorità

Che eredità ha lasciato il lockdown agli italiani?

Il maggiore interesse per la salute e il benessere, unito al forte interesse per l’italianità che riflette sia sicurezza che forte senso di solidarietà verso il nostro paese, saranno i principali attributi che guideranno le scelte dell’ortofrutta nei prossimi 6 mesi.

Fonte: Osservatorio Nomisma The World After LOCKDOWN

L’origine 100% italiana del prodotto sarà l’elemento chiave delle scelte degli italiani: il 60% dei responsabili acquisti dichiara, infatti, che questo criterio – già rilevante in passato – sarà ancora più centrale; a conferma è elevata anche l’importanza attribuita ai prodotti a km zero o del territorio (45%). Grande interesse si concentra anche nella ricerca di adeguate garanzie relativamente al controllo ed alla rintracciabilità lungo la filiera (45%). Tra gli altri valori determinanti i prodotti biologici (34%) e salutistici (32%), con un occhio anche alla sostenibilità, grazie alle confezioni in materiali riciclabili o comunque ecosostenibili (30%).

I consumatori di frutta e verdura, infine, faranno anche molta attenzione alla convenienza e al prezzo (42%), visto lo scenario di difficile congiuntura economica, che determinerà sempre più un forte ridimensionamento dei redditi e quindi della capacità di spesa degli italiani.

Modalità della ricerca

L’osservatorio “THE WORLD AFTER LOCKDOWN” di Nomisma e CRIF,  analizza l’impatto della pandemia COVID-19 sulle vite dei cittadini, grazie al coinvolgimento di un campione di 1.000 italiani responsabili degli acquisti (18-65 anni).

Dalla carambola al rambutan, nuovi frutti esotici sugli scaffali

Mangostano, Rambutan, Alchechengi, Carambola, Datteri e Pitaya rossa: alcuni di questi frutti esotici sono noti, molti probabilmente non li abbiamo mai sentiti nominare. O li abbiamo incontrati e mangiati solo in viaggi in Paesi lontani. Ora arrivano sugli scaffali della Gdo grazie a F.lli Orsero che lancia i “super esotici”, una selezione di piccoli frutti provenienti da America Centrale, Asia, Colombia, Filippine e Africa.

Il Mangostano (o Mangoustan, Mangosteen) ha una spessa buccia di colore violaceo/marrone, che racchiude una polpa bianca e vellutata divisa in spicchi, dal sapore dolce, succoso e delicato. È ricco di vitamina B e C e quest’ultima, grazie al suo potere antiossidante, lo rende un ottimo alleato della nostra pelle. Contiene inoltre sali minerali preziosi, tra cui il potassio. Si può consumare al naturale o in macedonie, ed èsquisito abbinato al gelato al limone.

Il Rambutan ègrande come una noce e ha l’aspetto di un riccio di mare color rosso-bruno. Ricoperto da morbide spine, cela una polpa bianca succosa che assomiglia per consistenza e gusto al litchi. È ricco di vitamina B e C – che contribuisce a mantenere la buona funzionalità del nostro sistema immunitario – e di sali minerali quali manganese, ferro e fosforo. Per gustarlo basta aprire il guscio schiacciandolo con le dita e gustandone la polpa, facendo
attenzione a rimuovere il seme centrale.

L’Alchechengi (Physalis Alkekengi) noto anche con il nome di “lanterna cinese” o Physalis,
èuna piccola bacca rivestita da foglie che hanno l’aspetto di carta di riso ed èparticolarmente
apprezzato sia per l’estetica sia per le qualità nutritive: è molto utilizzato in pasticceria. Èun ottimo spezza fame, in insalata o per preparare una marmellata dal gusto unico.

La Carambola èun frutto originario dello Sri Lanka dalla forma curiosa, composta da
cinque coste prominenti (a volte quattro o sei) che lo percorrono per l’intera lunghezza e,
affettandolo, assume la forma di una stella, da cui deriva il suo appellativo “Star Fruit”. Ha un
sapore leggermente acidulo, a seconda delle varietàe del periodo di raccolta, èricca di vitamina C e ha un basso contenuto di sodio e di zucchero. Si gusta con gli aperitivi, in un mix di verdure crude, èun ingrediente originale per rendere uniche le macedonie e gli spiedini di frutta ed èperfetta anche per creare decorazioni per la tavola.

Prodotti della palma da datteri originaria del Nord Africa, i Datteri sono deliziosi frutti dalla polpa carnosa, scura e molto zuccherina. Si possono gustare al naturale, in abbinamento a nocciole, mandorle o altra frutta secca oppure in sostituzione dello zucchero nella
preparazione dei dolci.

Nota come “dragon fruit”, la Pitaya Rossa èun piccolo frutto tondo originario dell’America centrale e dell’Asia, ha buccia color rosso magenta e, nella maggior parte dei casi, una polpa bianca con semini neri. La Pitaya rossa, come quella gialla, si consuma al naturale o con l’aggiunta di zucchero e lime, tagliando a metàil frutto e mangiandolo con il cucchiaino. Per la sua bellezza èspesso utilizzata per guarnire dolci ma è sorprendente per preparare insalate.

I freschi del futuro? Guardate la fabbrica di piante idroponica cinese di Jd.com

Un retailer cinese, il più grande, Jd.com, ha aperto una immensa fabbrica di coltivazioni idroponiche. In partnership con la giapponese Mitsubishi Chemical, la fabbrica, che naturalmente sfoggia le più innovative tecnologie nel campo, si estende su un’area di 11.040 metri quadri sui quali sono coltivati, con un sistema combinato di luce solare diretta e artificiale, cavoli, lattuga rossa e verde, coriandolo, spinaci che da dicembre sono venduti – freschi freschissimi – online o nei negozi fisici di Jd.com, 7FRESH. Ma si prevede già di estendere la gamma disponibile.

Nella nuova struttura, temperatura, umidità, luce e fertilizzante liquido sono automaticamente controllati dal sistema di gestione della fabbrica, consentendo una produzione più standardizzata di verdure di alta qualità senza la preoccupazione dei cambiamenti stagionali. Non solo: gli spinaci prodotti nella struttura contengono l’80% in più di folato, il 32% in più di vitamina C, il 25% in più di potassio e il 37% in più di fosforo rispetto a quelli coltivati ​​sul campo. Nel frattempo, la tecnologia rende superflui i pesticidi e gli agrofarmaci, riducendo la necessità di lavaggio.

La produzione è maggiore rispetto ai sistemi agricoli tradizionali: 19 lotti di spinaci in un anno, rispetto a solo 4 all’anno in un campo o ai 6 all’anno in una serra. Richiede solo mezzo litro d’acqua per far crescere le verdure. La fabbrica è integrata con la rete logistica della catena del freddo di JD, quindi gli ortaggi possono finire sulla tavola dei consumatori lo stesso giorno in cui vengono raccolti.

“La JD Plant Factory di Tongzhou segna l’ingresso di JD all’inizio della catena di produzione di alimenti freschi, permettendoci di garantire che i prodotti freschi che vendiamo siano stati trattati con la cura che JD applica a tutto ciò che facciamo – spiega Xiaosong Wang, Presidente di JD FMCG e aziende alimentari -. La tecnologia della supply chain di JD, la rete logistica e le competenze di e-commerce combinate con la sofisticata tecnologia di Mitsubishi Chemical ci consentono di creare un modello completamente nuovo per l’agricoltura e di coltivare uno stile di vita sano e fresco in Cina.”

Infine, tutte le colture prodotte nella nuova fabbrica di JD sono tracciate dal momento in cui vengono piantate al momento della consegna, un passo verso il futuro della produzione alimentare e della vendita al dettaglio, poiché i consumatori di tutto il mondo richiedono sempre più trasparenza. In Cina, in particolare, i consumatori attribuiscono grande importanza alla sicurezza alimentare dopo che l’uso eccessivo di fertilizzanti, il deterioramento ambientale e il rapido aumento della popolazione hanno causato problemi al suolo.

Penny Market lancia myBio, prima linea biologica di vegetali “brutti ma buoni”

Penny Market lancia la sua prima linea di ortofrutta biologica, 100% italiana, e lo fa in modo innovativo: myBio è infatti la prima linea bio di sei referenze buoni ma esteticamente imperfetti, pensata per avvicinare a questa tipologia di prodotti più costosi anche fasce di consumatori che finora se ne erano tenuti lontani, per motivi economici.

Sei le referenze lanciate da oggi sugli scaffali dei punti vendita italiani, primi ad accogliere la nuova linea, scelti tra le referenze stagionali più popolari: zucchine, limoni, pomodori a grappolo, patate, mele e carote. Anche il packaging è stato realizzato appositamente per la linea: è biodegradabile e compostabile.

La riflessione è nata da un lavoro condiviso tra tre attori che appartengono ad ambiti diversi: oltre a Penny Market, l’Osservatorio Food Sustainability del Politecnico di Milano e Banco Alimentare – che hanno deciso di guardare al food waste come a un’anomalia di sistema. Che porta, ad esempio, il 12% delle eccedenze nella produzione a causa dalla non conformità agli standard estetici richiesti dal mercato. Prodotti perfettamente edibili e conformi ai requisiti di legge in materia di sicurezza alimentare, ma che per motivi estetici (dimensione fuori standard, colorazione della buccia, segni della grandine, deformità) sono scartati prima ancora di entrare nel circuito della distribuzione, non arrivano mai a scaffale.

In Italia ogni anno, secondo i dati di una ricerca condotta dal Politecnico di Milano, vengono sprecate 5,1 milioni di tonnellate di cibo, il 15,4% dei consumi annui alimentari, con un impatto economico di 12,6 miliardi di euro e ambientale di 13 milioni di tonnellate CO2 equivalenti emesse.

Il costo dello spreco alimentare, però, non si esaurisce nel solo costo per la realizzazione del prodotto, ma comprende anche quello previsto per il suo smaltimento. Infatti, lo spreco dipende per il 53% dalle aziende della filiera e per il restante 47% dai consumatori.

“Siamo orgogliosi di presentare la nuova linea “MyBio Bellezze Naturali” che è solo l’ultimo tassello di un approccio più vasto legato alla sostenibilità, ha proseguito Gotthard Klingan, Amministratore Delegato di Penny Market. Quest’ultima iniziativa rappresenta una strada per incidere in profondità nella lotta allo spreco, permettendoci al contempo di garantire ai consumatori un assortimento di prodotti alimentari genuini e naturali”.

“Da anni collaboriamo con le persone di Penny Market, per il recupero di eccedenze alimentari non deperibili e fresche; inoltre, lo scorso anno, con il progetto ‘Dona un SorRISO!’, PENNY MARKET ha devoluto a Banco Alimentare 15.000 chili di riso, pari a 150.000 porzioni – ha aggiunto Andrea Giussani, Presidente Fondazione Banco Alimentare Onlus -. Nella lotta allo spreco di cibo, siamo lieti di vedere crescere ogni iniziativa contro la cultura dello scarto e la sua limitazione in ogni segmento della filiera, proponendo stili di consumo più sostenibili e rispettosi del lavoro dell’uomo. Sensibilizzare i consumatori, tramite nuove opportunità di acquisto più responsabile, è un contributo importante da parte di Penny Market, per riformare ancora più efficacemente il modello della attuale filiera alimentare”. Attivo dal 1989, Banco Alimentare solo nel 2017 ha aiutato oltre 1 milione e mezzo di italiani attraverso circa 8.000 strutture caritative convenzionate, grazie alle quali ha distribuito più di 91.000 tonnellate di cibo destinate alla discarica. Tutto questo è stato possibile grazie ai 1.800 volontari di tutta Italia.

È il modello che deve cambiare prospettiva, mostrando come la lotta agli sprechi e la commercializzazione di prodotti 4B – brutti, buoni, bravi, biologici – può essere considerato un vantaggio competitivo, soprattutto per i piccoli produttori che hanno la possibilità di far conoscere anche all’estero la propria frutta e verdura: Campina Verde è l’azienda del Gruppo Rewe – lo stesso al quale appartiene Penny Market – che si occupa di far conoscere i prodotti biologici italiani in tutta Europa, svolgendo un ruolo di collettore nella distribuzione di prodotto, anche di piccoli quantitativi, nonché nell’internazionalizzazione del biologico, al fine di consentire la distribuzione dei prodotti anche di  fornitori di minore dimensione, che diversamente non potrebbero accedere al mercato internazionale.

Consumare preferibilmente entro… Tesco toglie l’indicazione da 100 altre referenze di ortofrutta

Tesco rimuoverà oltre un centinaio di nuove etichette di scadenza del genere “consumare preferibilmente entro” dall’ortofrutta, dopo che molti clienti hanno dichiarato che la mossa aiuterebbe a ridurre lo spreco di cibo.
Una ricerca da poco realizzata rivela che il 69% dei clienti ritiene che la rimozione delle etichette di scadenza sia una buona idea. Il 53% degli acquirenti nello stesso sondaggio afferma che la eliminazione prima delle indicazioni di scadenza faccia la differenza, aiutandoli a mantenere il cibo buono più a lungo. Le etichette con le date “best before” saranno eliminate da 116 prodotti tra cui mele, arance, cavoli e asparagi.
Le nuove referenze andranno ad aggiungersi a quelle che hanno già visto la rimozione delle date di riferimento: circa 70 linee di frutta e verdura all’inizio dell’anno.
Mark Little, responsabile della riduzione dei rifiuti alimentari di Tesco, ha dichiarato: “La rimozione delle date entro cui consumare preferibilmente un alimento è il nostro modo per rendere più facile per i clienti ridurre gli sprechi alimentari a casa, e nel frattempo risparmiare. Non è giusto che il cibo vada sprecato e faremo tutto il possibile per aiutare in questo”.

All’inizio del mese 27 dei maggiori fornitori di Tesco hanno pubblicato per la prima volta i loro dati sugli sprechi alimentari. Nel 2013 Tesco è stata la prima insegna del Regno Unito a pubblicare la quantità di cibo sprecato nelle sue attività nel Regno Unito. Oggi ha raggiunto oltre il 70% del suo obiettivo per cui nessun alimento sicuro per il consumo umano vada sprecato dai suoi negozi e centri di distribuzione britannici. Per contribuire a raggiungere questo obiettivo, i punti vendita lavorano quotidianamente con gruppi di comunità locali per ridistribuire il cibo avanzato,< arrivando a donare 30 milioni di pasti a circa 7.000 associazioni di beneficenza e comunità. Tesco collabora anche con i nostri fornitori per trovare il modo di utilizzare il maggior numero possibile di prodotti coltivati. Ad esempio, estendendo le specifiche per includere frutta e verdura di diverse forme e dimensioni o creando nuovi prodotti con materie prime che altrimenti sarebbero andate perdute (in questo modo gli avocado maturi invenduti sono utilizzati da un fornitore per produrre guacamole).

Aldi dichiara 11mila controlli l’anno sulla qualità di freschi e freschissimi

Carne italiana, uova da allevamento a terra, 115 referenze per l’ortofrutta esclusivamente da fornitori certificati GLOBALG.A.P. e un assortimento di vini provenienti da tutta Italia: sono i cardini della qualità dell’assortimento Aldi in Italia. La multinazionale tedesca ha illustrato i principi alla base del proprio impegno per offrire ogni giorno una gamma di prodotti selezionati che uniscono qualità e convenienza, dichiarando che effettua in media oltre 11.000 controlli l’anno sulla qualità dell’assortimento, tra cui assaggi e comparazioni di campioni, analisi di laboratorio e controlli giornalieri su freschi e freschissimi.

Grazie all’offerta selezionata di carni quattro volte italiane (nate, allevate, macellate e confezionate in Italia), a 115 referenze di frutta e verdura e a più di 100 vini in assortimento, ALDI si presenta come brand attento alle esigenze dei propri clienti e delle loro necessità. È per questo che sia il pollame sia i suini in assortimento sono nati, allevati, macellati e confezionati in Italia, incluse alcune referenze di pollo biologico. Per tutti questi articoli ALDI si impegna ad attuare ogni fase dei propri processi di produzione sul territorio nazionale e a garantirne la sicurezza. I controlli sulla qualità e il processo di verifiche a cui ALDI sottopone tutti i prodotti si basano su principi solidi e responsabili, supportati da regolari attività di pianificazione, attuazione e verifica.

All’interno dell’assortimento alimentare – pensato appositamente per la clientela italiana – proposto nei 41 negozi ALDI presenti attualmente nel Nord Italia, grande attenzione è stata riservata alla varietà e alla cultura enogastronomica del nostro Paese. Composta al 75% da prodotti alimentari che nascono dalla collaborazione con fornitori italiani selezionati, l’offerta complessiva di ALDI è costituita per l’85% da linee a marchio proprio e dedica ampio spazio all’ortofrutta, che consta di 115 referenze di cui il 10% di origine biologica. Tutta la frutta e la verdura di ALDI proviene da fornitori certificati GLOBALG.A.P., un protocollo che garantisce produzioni sicure per il consumatore e tracciabilità dei prodotti, inoltre verifica aspetti ambientali e sociali in tutti i processi di filiera. La qualità dell’ortofrutta ALDI viene garantita dalle analisi di laboratorio – 1.000 in un anno – e dai controlli giornalieri svolti dai collaboratori direttamente presso il magazzino, per assicurarne la qualità che li contraddistingue. Lo stesso genere di attenzione è riservata ai fornitori: i prodotti ortofrutticoli disponibili nei punti vendita ALDI vengono sottoposti a rigorosi capitolati d’acquisto per i residui di pesticidi.

L’impegno per offrire prodotti di qualità si riflette nella scelta del brand di proporre esclusivamente uova da allevamento a terra, utilizzate anche come ingrediente per la produzione di maionese, dessert da frigo, pasta fresca e secca a marchio proprio. Completano l’offerta anche uova biologiche, per i clienti che prediligono prodotti bio e da dicembre 2018 anche uova da allevamento all’aperto.

Infine la Vinoteca ALDI, caratterizzata da un’ampia selezione di vini regionali, conta 100 referenze tra vini rossi, bianchi, rosé, spumanti e frizzanti. All’interno dell’assortimento sono presenti anche prodotti di origine biologica. Nella scelta dei vini ALDI ha puntato su un’offerta italiana declinata nelle varie aree di produzione regionale e nelle principali varietà di uva. Una attenzione premiata: lo scorso 5 luglio il vino Amarone della Valpolicella San Zenone DOCG da 750 ml ha ricevuto il “Premio New Entry 2018” nella categoria Alcolici e birra, in occasione della nuova edizione dei Brands Award.

Origine in etichetta, scatta l’obbligo anche per i pelati e derivati dell’oro rosso

Foto: Coldiretti.

Anche l’oro rosso è tracciato: scatta l’obbligo di indicare in etichetta l’origine per pelati, polpe, concentrato e degli altri derivati del pomodoro. È infatti scaduto il termine di 120 giorni previsto per l’entrata in vigore, dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale 47 del 26 febbraio 2018, del decreto interministeriale per l’origine obbligatoria sui prodotti come conserve e salse, oltre al concentrato e ai sughi, che siano composti almeno per il 50% da derivati del pomodoro.

I prodotti Made in Italy ottenuti con pomodori coltivati e trasformati in Italia saranno ora riconoscibili sugli scaffali dalla dicitura “Origine del pomodoro: Italia”.

Le confezioni di tutti i derivati del pomodoro, sughi e salse prodotte in Italia dovranno infatti avere d’ora in poi obbligatoriamente indicate in etichetta le seguenti diciture:
a) Paese di coltivazione del pomodoro: nome del Paese nel quale il pomodoro viene coltivato;
b) Paese di trasformazione del pomodoro: nome del Paese in cui il pomodoro è stato trasformato.
Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE.

Per consentire lo smaltimento delle scorte i prodotti che non soddisfano i requisiti previsti dal decreto, perchè immessi sul mercati o etichettati prima dell’entrata in vigore del provvedimento, possono essere commercializzati entro il termine di conservazione previsto in etichetta.

Si tratta di una attesa misura di trasparenza per produttori e consumatori dopo che dall’estero – rileva la Coldiretti – sono arrivati nel 2018 il 15% di derivati di pomodoro in più rispetto allo scorso anno (elaborazioni Coldiretti su dati Istat) relativi ai primi cinque mesi con 86 milioni di chili provenienti nell’ordine da Stati Uniti, Spagna e Cina.

 

Quai 5 milioni di tonnellate

La nuova normativa entra in vigore mentre si sta concludendo la campagna di raccolta del pomodoro in Italia che quest’anno dovrebbe assicurare un raccolto attorno a 4.750.000 tonnellate, con una buona qualità in termini di gradi Brix, ovvero di contenuto zuccherino, ma rese all’ettaro sotto le medie degli ultimi anni. Si tratta di una attività che impegna in moto in Italia una filiera di eccellenza del Made in Italy che coinvolge circa 7.000 imprese agricole, oltre 100 imprese di trasformazione e 10.000 addetti, che esporta 2 miliardi di euro di derivati del pomodoro in tutto il mondo.

L’Italia è il principale produttore dell’Unione Europea dove le previsioni riportano un calo produttivo complessivo del 14%, con riduzioni superiori al 20% in Spagna e Portogallo. A livello mondiale, il calo della produzione sarebbe meno sostenuto (-6,6%), nonostante la previsione di un meno 40% per la produzione cinese di pomodoro da industria, mitigata da un +14% della produzione californiana.

Sempre secondo Coldiretti oggi in Italia si consumano conserve di pomodoro per circa 30 chili a testa all’anno a casa, al ristorante o in pizzeria. I proodtti più gettonati sono, nell’ordine, le passate, le polpe o il pomodoro a pezzi, i pelati e i concentrati.

L’obbligo di orgine in etichetta per i prodotti a base di pomodoro segue quello per latte e prodotti lattiero-caseari, grano pasta e riso, di carni di manzo, maiale, di ovini e caprino e di pollame, prodotti ittici, olio, uova, miele e ortofrutta fresca.

Europa sprecona: il 29% dell’ortofrutta acquistata finisce nella spazzatura

Sono preoccupanti ma danno un crudo quadro della questione gli ultimi dati diramati dal JRC, il centro di studi scientifici interno alla Ue, sullo spreco dell’ortofrutta: secondo un articolo pubblicato di recente le famiglie dell’Unione europea generano circa 35,3 chilogrammi di rifiuti di frutta e verdura freschi per persona all’anno, 14,2 chilogrammi (circa un terzo) dei quali sarebbero evitabili.

Numeri in linea con i dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, che stima che circa un terzo del cibo prodotto a livello mondiale per il consumo umano venga sprecato.

I livelli di spreco maggiore riguarderebbe in particolare proprio frutta e verdura fresche, che contribuiscono a quasi il 50% degli sprechi alimentari generati dalle famiglie dell’UE. Ciò è prevedibile dato che costituiscono circa un terzo degli acquisti alimentari totali, parte della loro massa è immangiabile (ad esempio certi tipi di buccia) e sono altamente deperibili, ma anche prodotti relativamente economici.

Tuttavia, lo studio del JRC ha rilevato che i rifiuti evitabili potrebbero essere ridotti applicando strategie di prevenzione mirate e che i rifiuti inevitabili (parti non commestibili del prodotto) potrebbero essere gestiti in modo molto più sostenibile a livello della produzione e riciclato per essere usati nell’economia circolare.

I risultati di questo studio hanno implicazioni per le politiche sia sulla prevenzione sia sulla gestione dei rifiuti alimentari domestici. Il modello proposto può aiutare a stabilire le prassi di base e le differenze nella generazione di rifiuti tra Paesi, studiare gli effetti dei diversi modelli di consumo sulla generazione di rifiuti e stimare il potenziale di riutilizzo di rifiuti inevitabili in altri sistemi di produzione, che è di grande interesse da una prospettiva di economia circolare. Ma ha anche potenziali applicazioni più ampie, nella stima dei rifiuti generati da altri prodotti domestici.

 

Rifiuti evitabili e inevitabili: non tutti sprecano allo stesso modo

Gli autori hanno creato un modello per stimare la quantità di rifiuti domestici evitabili e inevitabili costituiti da frutta e verdura fresca prodotta dalle famiglie dell’UE. Il punto di partenza sono stati i rifiuti inevitabili (rifiuti derivanti da preparazione o consumo di cibo che non sono, e non sono mai stati, commestibili in circostanze normali) e rifiuti evitabili (cibo buttato via che era, ad un certo punto prima dello smaltimento, commestibile) calcolato per 51 tipi di rifiuti di frutta e verdura fresche in sei Paesi dell’UE (Germania, Spagna, Danimarca, Paesi Bassi, Finlandia e Regno Unito) per il 2010, e la quantità di frutta fresca e verdura fresca acquistate, consumate e sprecate (rifiuti evitabili e inevitabili) nel Regno Unito, in Germania e in Danimarca nel 2010. Le cifre sono state utilizzate per stimare gli sprechi inevitabili ed evitabili generati dalle famiglie dell’UE dal consumo di frutta e verdura fresca.

Secondo lo studio, ogni anno nell’UE si producono pro capite 21,1 chilogrammi di rifiuti inevitabili e 14,2 chilogrammi di rifiuti evitabili. In media, il 29% (35,3 chilogrami per persona) di frutta e verdura fresca acquistata dalle famiglie nell’UE-28 è sprecato, il 12% (14,2 choilogrammi) del quale era evitabile.

Gli autori hanno riscontrato grandi differenze nei rifiuti evitabili e inevitabili generati dai diversi Paesi a causa dei diversi livelli di comportamenti dispendiosi (legati a fattori culturali ed economici) e di diversi modelli di consumo (che influenzano la quantità di rifiuti inevitabili generati).

Ad esempio, sebbene gli acquisti di verdure fresche siano più bassi nel Regno Unito che in Germania, la quantità di rifiuti inevitabili generati pro-capite è quasi la stessa, mentre la quantità di rifiuti evitabili è più alta nel Regno Unito. Si è scoperto che i Paesi i cui cittadini spendono una percentuale maggiore del loro reddito per il cibo generano rifiuti meno evitabili.

Circa 88 milioni di tonnellate di cibo sono sprecate ogni anno nell’UE, con costi associati stimati a 143 miliardi di euro.

Aste al ribasso, il chiarimento di Esselunga e Conad

Chiarisce la sua posizione a seguito delle polimiche delle settimane passate sulle aste online al doppio ribasso che strangolerebbero gli agricoltori con prezzi al di sotto dei costi di produzione la nota diramata oggi da Esseluga. La catena di Pioltello tiene infatti a chiarire che “il Gruppo Esselunga ha adottato un proprio codice etico che impone il rispetto dei diritti umani fondamentali e la dignità delle persone. Ci impegniamo costantemente nella prevenzione di ogni forma di sfruttamento. Allo stesso tempo chiediamo ai nostri fornitori il rispetto di questi principi, pena l’esclusione dalla nostra rete commerciale”.
Esselunga, inoltre, “non ha mai fatto ricorso alla pratica delle aste elettroniche per l’acquisto di prodotti agricoli e agroalimentari, nel rispetto dei propri valori e a tutela dei suoi clienti e dei suoi fornitori”.
Coerentemente con questi principi, a settembre 2017 l’insegna ha sottoscritto un protocollo di intesa con il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali al fine di favorire un mercato più trasparente e per evitare effetti distorsivi nei rapporti di filiera.

Nei giorni scorsi anche Conad era intervenuta attraverso le parole dell’Ad Francesco Pugliese, in merito allo sfruttamento del lavoro nelle campagne e alle affermazioni di coloro che vorrebbero addossare la responsabilità di questi fenomeni alla distribuzione e alle “aste al doppio ribasso”.

“Si vogliono confondere le acque sovrapponendo due fenomeni differenti, entrambi esecrabili, ma di natura molto diversa. Il primo è quello dello sfruttamento dei migranti, a cui ricorre da tempo una parte dell’imprenditoria agricola. È vergognoso ma non vi è nulla di nuovo, purtroppo: in passato le vittime erano principalmente le donne, da qualche tempo sono gli stranieri ma si tratta sempre di persone private di diritti. Cercare i responsabili al di fuori del mondo agricolo significa giustificare implicitamente gli imprenditori della terra che ricorrono all’illegalità (peraltro a scapito di tutti gli altri) e rinunciare a combattere – al fianco delle autorità e delle forze dell’ordine – una piaga che invece riguarda profondamente proprio il comparto agricolo. Le leggi ci sono e sono molto chiare, ma il ruolo di vigilanza e repressione spetta alle istituzioni che devono incrementare le visite ispettive”.

Qyuanto inevce alle aste a doppio ribasso, questione “prettamente commerciale”, “Conad ha più volte espresso la sua contrarietà e infatti non vi partecipa. Gli imprenditori agricoli dovrebbero fare lo stesso: astenersi. Attualmente al Parlamento europeo è in discussione una Direttiva comunitaria che sarebbe bene includesse queste aste tra le pratiche sleali nella filiera alimentare.  È certamente un buon inizio, purché ci si ponga davvero l’obiettivo di tutelare il mondo agricolo e le piccole e medie imprese, non le grandi multinazionali del food alle quali non mancano i mezzi per imporsi”.

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