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Anna Muzio

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BRF: dal Brasile alla conquista del mondo con il food hi-tech

The booth of BRF at Sial Paris.

Un consumatore esigente e globalizzato, con gusti ben precisi che richiede sempre più dall’industria del food prodotti “facili”, veloci, ma anche gustosi e personalizzati, localizzati sui suoi gusti ma con un tocco internazionale, con esigenze salutiste che non possono più essere ignorate, ha bisogno di prodotti non tanto nuovi (ché il nuovo prodotto spesso non ha molto di nuovo da dire, come si vede dal flop della gran parte dei lanci sul mercato), ma innovativi. Questa la richiesta: l’offerta invece può venire dal mercato globale ormai, da grande produttori di Paesi una volta in via di sviluppo ma ormai entrati nell’arena mondiale. A questo consumatore guarda BRF, un nome di cui probabilmente sentiremo parlare spesso in futuro. Il settimo produttore di food del mondo, basato in Brasile, specializzato in alimenti surgelati, pesce e pollo in primis, sotto forma per lo più di materie prime, ha deciso infatti di partire alla conquista del mercato globale. Con una nuova strategia che punta sull’innovazione e sulla commercializzazione di prodotti ad alto valore aggiunto.

In Europa, una delle aree dove la compagnia ha intenzione di svilupparsi, BRF punta a diventare tra i primi cinque produttori di carni e pesci surgelati trasformandosi da fornitore di soluzioni standard a soluzioni personalizzate e di marca, con un forte focus sulla qualità e l’innovazione, come ha spiegato Marcos Delorenzo, il nuovo Marketing Manager per Europa ed Eurasia. «L’Europa è infatti un mercato maturo aggiunge il general manager West e South Europe Cristophe Vasseur – con consumatori che puntano alla convenienza, mangiano take away o in catene di ristoranti fast food. Ed è un mercato diversificato, con ad Ovest catene con marchi commerciali propri anche molto forti e una parte orientale dove l’offerta retail è frammentata e le private label ancora deboli. Un mercato insomma diversificato, cui BRF intende proporre soluzioni personalizzate, sia per il BtoB che per le catene di ristorazione.

Il nuovo processo di internazionalizzazione si baserà su tre pilastri: marca, distribuzione e produzione locali. Una strategia che prevede acquisizioni di produttori e distributori sul mercato internazionale, ma anche la costruzione di impianti propri e lo sviluppo di prodotti e campagne di marketing ritagliate sulle diverse culture ed esigenze locali. La prima struttura del “nuovo corso” sarà costruita ad Abu Dhabi all’inizio del 2015, in un mercato emergente dalle grandi potenzialità.

I nuovi prodotti nascono in un centro di 12.500 mq

La compagnia, inserita da “Forbes” tra le 100 più innovative del mondo, punta sulla ricerca e sviluppo grazie al BRF Innovation Center (BIC) di Jundiaí, in Brasile, un complesso di 12.500 mq dove vengono creati e testati prodotti a base di carne, pasta, verdure, ma anche i nuovi packaging, e dove lavorano 180 tra ricercatori e tecnici. Ha 40 marchi in portfolio (i più importanti sono Sadia, Perdigao, Qualy, Batavo e Elegê), che commerciano in carne (pollo e maiale), pasta, margarine, pizza surgelata e verdure. La produzione avviene invece in 58 fabbriche di cui 47 in Brasile, 9 in Argentina e due in Europa, in Olanda e Regno Unito. I 22 uffici commerciali gestiscono clienti in 110 Paesi. È la settima compagnia alimentare al mondo ed è responsabile del 20% del mercato di pollame globale. Nel 2013 ha fatturato 9,9 miliardi di euro.

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Quale futuro per la Gdo in un Sud povero, deserto e anziano?

La presentazione del “Rapporto Svimez 2014 sull’economia del Mezzogiorno”, edito da Il Mulino, si è tenuta ieri al Tempio di Adriano a Roma. Foto Svimez.

Sembra un bollettino di guerra, invece è il Rapporto sull’economia del Mezzogiorno 2014 presentato ieri da SVIMEZ, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno. Da cui emerge un’Italia più spaccata in due che mai, che la crisi ha reso ancora più disuguale. Non solo: il Sud secondo Svimez è a “rischio desertificazione”, con una popolazione sempre più esigua,  povera e anziana.

Dal Meridione si scappa per assenza di lavoro e prospettive: solo nel 2013 sono emigrati 116mila abitanti, e per il secondo anno di fila la natalità è stata negativa, con il conseguente innalzamento dell’età media ed emorragia delle fasce più produttive della popolazione. Aumentano le famiglie povere (+40% nell’ultimo anno) perché manca il lavoro (l’80% dei posti di lavoro nazionali persi tra il primo trimestre del 2013 e del 2014 è al Sud); l’industria continua a soffrire (-53% gli investimenti in cinque anni di crisi, -20% gli addetti) e gli occupati arrivano a 5,8 milioni, il valore più basso dal 1977.

Crollano i consumi
I consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi, arrivando a ridursi nel 2013 del 2,4%, a fronte del -2% delle regioni del Centro-Nord. Dal 2008 al 2013 la caduta dei consumi ha sfiorato nel Sud i 13 punti percentuali (- 12,7%), un risultato due volte maggiore che nel resto del Paese (-5,7%). Non parliamo solo del superfluo: in questi cinque anni di crisi sono crollati anche i consumi di beni alimentari, al Sud del -14,6%, a fronte del -10,7% del Centro-Nord; in caduta libera anche il vestiario e le calzature, -23,7%, quasi doppio che nel resto del Paese (-13,8%). Arretrano anche i servizi per la cura della persona e le spese per l’istruzione: -16,2% al Sud, tre volte in più rispetto al Centro-Nord (- 5,4%). A esporre alla povertà individui e famiglie concorrono sia la disoccupazione (specie femminile con 6 famiglie su 10 monoreddito) che il numero maggiore di familiari a carico.

Conseguenze per lo sviluppo della GDO?
Possiamo immaginare che in questa parte del Paese abbandonata dalle fasce più attive della popolazione, impoverita e con scarse prospettive (il crollo delle nascite è significativo) gli investimenti, anche nel retail, potrebbero non essere all’ordine del giorno. Prima di tutto per lo stravolgimento demografico, che secondo il rapporto farà perdere alle regioni del Sud 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, portandole a pesare per il 27% sul totale nazionale a fronte dell’attuale 34,3%. Per il progressivo innalzarsi dell’età media, che in un’altra situazione potrebbe far pensare a nuovi prodotti e servizi per gli anziani (pensiamo ai supermercati per la terza età nati in Germania), ma che in una situazione così compromessa dal punto di vista economico e dei consumi fa immaginare piuttosto una marea di discount che puntano su offerte e prodotti low cost, sul tipo dei Pound shops inglesi (quelli dove merce di ogni tipo viene venduta a una sterlina, sempre affollatissimi). L’emorragia di giovani e laureati (tra cui molte donne) verso altre regioni in cerca di lavoro infine non mancherà di indirizzare la domanda verso prodotti tradizionali e di fascia bassa. Le eccezioni ci sono, naturalmente. Basta pensare ai nuovi format di successo di Sicilconad sorti proprio in una delle regioni più compromesse, la Sicilia. Ma il futuro è quanto meno incerto.

Le previsioni dello Svimez per il 2015 indicano un Pil nazionale in timida crescita (+0,8%), risultato di un +1,3% del Centro-Nord e il negativo -0,7% del Sud. In risaluita i consumi al Centro-Nord a +0,4% e in flessione al Sud (-0,2%).

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Le impiegate Asda chiedono parità retributiva

Uomini contro donne? Le lavoratrici Asda del punto vendita sono pagate fino a 4 sterline all'ora meno dei colleghi che lavorano in magazzino.

Potrebbe diventare il più grande caso legale che coinvolge un privato su questioni retributive l’azione legale di massa intentata da 400 impiegate (ma potrebbero essercene altre 19mila interessate) di Asda, la seconda catena di supermercati britannica parte del gruppo Walmart, che richiedono parità di trattamento economico con i colleghi maschi, a fronte di lavori giudicati di pari livello.

Le donne che lavorano – e sono la stragrande maggioranza – nei punti vendita infatti, cassiere e addette al rifornimento degli scaffali, sarebbero pagate fino a 4 sterline in meno di chi – in maggioranza uomini – lavora nei magazzini di distribuzione. A fronte di mansioni che sono, a giudicare dai legali delle impiegate, assolutamente parificabili.

La querelle non è di poco conto: oltre a toccare un nervo scoperto della nostra società, che è quello della disparità retributiva tra donne e uomini che nella Ue raggiunge in media il 16% all’ora e il 31% su base annua, è densa di conseguenze. Non solo perché, se l’azione legale andrà a buon fine, Asda dovrà rimborsare fino a sei anni di “differenze salariali” a un imprecisato numero di dipendenti ed ex-dipendenti. Ma perché, a cascata, tutte le altre catene potrebbero subire azioni simili da parte delle loro impiegate. E, come insegna una lunga serie di rivendicazioni femminili, dalla lotta per il voto delle suffraggette a quella delle operaie della Ford di Dagenham nel 1968 (ricordata nel film “We Want Sex”) dal Regno Unito di solito si passa al resto del mondo…

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Tim punta sui pagamenti wireless

Dare impulso al pagamento di beni e servizi utilizzando i più diffusi smartphone sul mercato: è questo il senso dell’operazione di Tim che introduce sul mercato Tim SmartPAY, la prima carta di pagamento prepagata di Telecom Italia realizzata con Intesa Sanpaolo e Visa Europe. L’iniziativa si rivolge a circa 31 milioni di clienti TIM, indipendentemente dalla banca su cui hanno il conto.

Di pagamenti wireless, realizzati grazie alla tecnologia NFC, si parla da anni ma ora stanno iniziando a diffondersi anche da noi. Forse grazie all’arrivo dell’Phone 6, il primo dispositivo Apple abilitato a questo tipo di pagamenti, l’interesse degli utenti è cresciuto, e così anche i POS abilitati:  al momento sono oltre 200 mila in Italia e 1,8 milioni in Europa.

L’uso è a dir poco banale. Per le piccole spese quotidiane, dopo aver inserito una TIM SmartPAY sarà sufficiente avvicinare il proprio smartphone al terminale POS abilitato per disporre il pagamento, mentre per spese d’importo superiore ai 25 euro sarà necessario digitare un PIN scelto dal cliente.

Tramite TIM Wallet sarà presto possibile anche acquistare i biglietti dei mezzi pubblici e della metropolitana, ed usufruire di sconti ed offerte personalizzate. Telecom Italia dichiara di stare lavorando con aziende del settore trasporti e retailer, società di controllo accessi e buoni pasto, per sfruttare tutte le potenzialità della tecnologia NFC SIM-based.

Il Natale è biologico ed equo con Alce Nero

Anche il Natale può essere biologico: Alce Nero propone la sua linea di cioccolato, creme spalmabili e mieli, tutti bio, coltivati nel rispetto della terra e del lavoro dell’uomo.

Per i pranzi di famiglia o per i regali, la linea dell’azienda bolognese è rivolta a chi – una nicchia se vogliamo, ma in costante crescita negli ultimi anni – è attento alla salubrità degli alimenti ma anche allo loro sostenibilità, ambientale e sociale. La crema spalmabile a base di nocciole e cacao Ciokocrem, ad esempio, è senza olio di palma, coloranti o conservanti

La linea di tavolette di cioccolato Alce Nero, prodotta in Svizzera, fonde il cacao Fairtrade con la dolcezza dello zucchero di canna. È disponibile in varie versioni: cioccolato bianco con fave di cacao, puro extrafondente 71%, extrafondente 80% con fave di cacao, cioccolato al latte semplice o arricchito con nocciole intere.

Provengono dal nostro territorio invece i mieli biologici Alce Nero, coltivati nelle zone più vocate d’Italia: dalle Prealpi per il castagno e l’acacia, fino alla Sicilia e alla Calabria per l’arancio e alla Costa Ionica per l’eucalipto.

Waitrose rivela le tendenze del food

Si organizzano cene sempre più elaborate per gli amici, emulando gli chef delle trasmissioni TV: è uno dei trend individuati dal rapporto di Waitrose.

yhLa catena della grande distribuzione britannica Waitrose ogni anno, dopo aver analizzato i dati di milioni di vendite, online e in negozio, distilla le tendenze alimentari dei consumatori britannici. Tendenze locali, certo, ma che tendono a diventare sempre più globali (provate a fere l’esercizio di un confronto con i comportamenti degli italiani) e che sono pubblicate nel The Waitrose Food & Drink Report 2014.

Dal rapporto emerge un consumatore che, pur mantenendo l’attenzione ai costi tipica della recessione, abbraccia nuove tendenze che si affermano sempre più: la curiosità verso piatti stranieri, il “lusso rustico” (pane da lievito madre, formaggi di fossa e quant’altro), la tendenza a pubblicare foto e descrizioni di ciò che mangia sui social, il “vegetarianesimo flessibile”, l’hobby della cucina che gli fa organizzare cene con amici e parenti, specie nei fine settimana, e la mancanza di tempo cronica.

Di corsa in settimana, social, glocal e gourmet nel weekend

Web, mobile e social influenzano sempre più le nostre scelte alimentari: da quello che compriamo a come cuciniamo, a come comunichiamo di e sul cibo. Quest’anno le richieste dei clienti Waitrose via social hanno superato per la prima volta le richieste via mail.

Sempre più global. Cresce la curiosità verso i prodotti etnici e si sperimentano le novità come il katsu curry, ricetta mutuata dai ristoranti giapponesi

Sempre meno tempo per la spesa. Sempre di corsa, si preferisce comparare pochi articoli indispensabili nei supermercati di prossimità, cedendo magari alla tentazione dei prodottini gourmet da cucinare velocemente. Anche la colazione si mangia sempre più per strada (+10% di vendite)

Chef in tv, cuochi a casa. Il 40% dei clienti considera il fine settimana come  l’occasione per cucinare e incontrare famiglia e amici (da noi non è proprio una novità); i programmi tv tipo Master Chef ispirano sempre più persone a sperimentare in cucina

Salutismo anche a colazione. Per la prima volta le vendite di miele superano quelle di marmellata.

Aperol liquore dell’anno! Le vendite di Aperol secondo Waitrose sono aumentate dell’800% quest’anno, quelle di liquori al caffè del 15%. I cocktail (Espresso Martini e Spritz) provati al bar si ripropongono a casa nelle cene con amici

Vini, arrivano i “nuovi”. Non è solo più Sauvignon Blanc, tra le new entry la più di successo quest’anno è il Grüner Veltliner austriaco. I Mondiali di calcio brasiliani hanno trascinato le vendite di vini sudamericani (+50%).

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Sainsbury’s reduces the alcohol in Prosecco

Sainsbury’s Prosecco di Conegliano has been reformulated to have a lower alcohol content, without affecting the taste, decreasing from 11% to 10.5%: this, according to the British retail chain, will lead customers to consume one million units of alcohol less per year. The wine, a best seller in the Sainsbury’s “Taste the Difference” top-of-the-range line, is produced by Cantine Riunite and is a DOCG. Reformulation of the alcohol content falls under the 20×20 campaign, with which the British large-scale distribution giant has decided to double the sales of “light wines”, i.e. with low alcohol content.

Corporate responsibility thus takes a further step forward, and after having verified that the producers and manufacturers of products sold follow good social and environmental practices, it is now taking care of the health of its customers.

Sainsbury’s wine expert, Ryan Carter, explained: “We take the fact that our customers learn to drink responsibly and their requirements very seriously. We were the first to adopt the Department of Health guidelines on alcohol labelling and at the beginning of the year we introduced an indication of the calories on our private label wines. This new spumante is the result of collaboration between our internal team of wine experts and those of Cantine Riunite. The reduction of the alcohol content was a challenging process from the technical point of view, but I’m pleased to say that the new version in taste tests carried out with our customers was on a par with the 11% alcohol content version”.

Sainsbury’s has also earned the praise of British Health Minister, Jane Ellison, who hoped that other chains would put in place “similar initiatives”.

 

 

 

 

Sainsbury’s riduce l’alcol nel Prosecco

Il Prosecco di Conegliano Sainsbury’s è stato riformulato per avere un contenuto alcolico minore, senza influenzarne il gusto, passando da una gradazione di 11% a 10,5%: questo, secondo la catena della Gdo britannica, porterà i clienti a consumare annualmente un milione di unità di alcol in meno. Il vino, best seller nella linea alto di gamma di Sainsbury’s “Taste the Difference”, è prodotto da Cantine Riunite ed è un DOCG. La riformulazione della gradazione alcolica rientra nella campagna 20×20, con la quale il colosso britannico della grande distribuzione ha deciso di raddoppiare le vendite di “vini leggeri”, ovvero con un titolo alcolometrico basso.

La corporate responsability fa così un ulteriore passo avanti, e dopo essersi preoccupata che i produttori e manufattori dei prodotti venduti seguano buone pratiche sociali ed ambientali, si occupa della salute dei propri clienti.

L’enologo di Sainsbury’s Ryan Carter ha spiegato: “Prendiamo molto sul serio il fatto che i nostri clienti imparino a bere responsabilmente e le loro richieste. Siamo stati i primi ad adottare le linee guida del dipartimento della Salute sull’etichettatura degli alcolici, e abbiamo introdotto all’inizio dell’anno l’indicazione delle calorie sui vini che commercializziamo con il nostro marchio. Questo nuovo spumante è il risultato della collaborazione tra il nostro team interno di enologi e quello di Cantine Riunite. La riduzione della gradazione alcolica è stato un processo impegnativo dal punto di vista tecnico, ma sono felice di poter dire che la nuova versione nei test sul gusto fatti con i nostri clienti è risultata alla pari con la versione con titolo alcolometrico di 11% “.

Sainsbury’s ha anche incassato l’apprezzamento del ministero della Salute britannico Jane Ellison, che si è augurata che altre catene mettano in atto “iniziative simili”.

Anna Muzio

Sipo takes international buyers in the field

Una fase della lavorazione in stabilimento.

SIPO visita guidata clienti esteriIt all starts from the field to finally reach the table: that’s why Sipo, a Romagna company operating in the fresh and ready to use fruit and vegetables market took the opportunity of the Macfrut event to involve buyers and importers of large-scale distribution from around the world in a “technical visit in the field”. Taking advantage of the proximity to the fair, the group of foreign buyers from Japan, Hungary, Poland, Austria, Germany and the UK was accompanied on a visit to the over 45 hectares of lettuce, endive, cabbage, fennel, black cabbage, Chinese cabbage, head cabbage, celery, chicory and various varieties of pumpkins. A kind of “open-air exhibition stand”, where Sipo managers were able to highlight product characteristics and cultivation techniques.

“We have started an internationalisation process that has taken us to several countries in North-East Europe and, more generally, in all those areas characterised by high purchasing power and adverse weather conditions for agricultural production” said Massimiliano Ceccarini, SIPO Development Manager.

The interest in foreign markets will not stop with the export of products: the company is in fact also planning to “export” crops. Tests have already started for the production of cauliflower, rocket and celery in Serbia in the countryside near Belgrade. Objective: start local production of leaf vegetables with on-site processing, to then set up a production and sales branch in the former Yugoslav country.

Sipo porta i buyer internazionali “in campo”

Una fase della lavorazione in stabilimento.

SIPO visita guidata clienti esteriSi parte dal campo per arrivare alla tavola: e quindi Sipo, azienda romagnola attiva nel mercato dei prodotti ortofrutticoli di I e di IV gamma, ha colto l’occasione della rassegna Macfrut per coinvolgere buyers e importatori della Gdo provenienti da tutto il mondo in una “visita tecnica in campo”. Approfittando della vicinanza con la fiera, il gruppo di operatori esteri, provenienti da Ungheria e Giappone, Austria e Polonia, Germania e Inghilterra, è stato accompagnato a visitare oltre 45 ettari coltivati a lattuga, indivia, cavolo, finocchi, cavolo nero, cavolo cinese, cavolo cappuccio, sedano, pan di zucchero e diverse varietà di zucche. Una sorta di “stand fieristico all’aperto”, dove i responsabili di Sipo hanno potuto evidenziare le caratteristiche dei prodotti e le tecniche di coltivazione.

“Abbiamo avviato un processo di internazionalizzazione che ci ha portato in diversi Paesi dell’Europa Nord Orientale e più in generale in tutte quelle aree contraddistinte da un elevato potere di acquisto e da condizioni climatiche avverse alle produzioni agricole” ha dichiarato Massimiliano Ceccarini, Development Manager di SIPO.

L’interesse per i mercati esteri non si fermerà all’export del prodotto: l’azienda sta pensando infatti di “esportare” anche le colture. Sono già partiti i test per la produzione di cavolfiori, rucola e sedano in Serbia nelle campagne vicino a Belgrado. Obiettivo: avviare la produzione locale degli ortaggi a foglia con lavorazione in loco, per poi costituire una filiale produttiva e commerciale nell’ex Paese yugoslavo.

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