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Parmigiano Reggiano: 2024 da record, con 3,2 miliardi di euro al consumo

Giro d’affari al consumo ai massimi storici per il Parmigiano Reggiano: il 2024 si è chiuso con 3,2 miliardi di euro contro i 3,05 miliardi del 2023 e un aumento del 4,9%. Risultati positivi per le vendite totali a volume (+9,2%), sostenute da un andamento positivo del mercato italiano (+5,2%) e, soprattutto, dell’export (+13,7%). In crescita anche le quotazioni all’origine: per il 12 mesi la media annuale si è attestata a 11,0 €/kg, segnando un +9% rispetto ai 10,13 €/kg del 2023; per il 24 mesi, l’aumento è stato del +5%, passando dagli 11,90 €/kg dello scorso anno ai 12,5 €/kg del 2024. La produzione è risultata stabile rispetto al 2023: 4,079 milioni di forme vs 4,014 milioni nel 2023 (+1,62%). Tra le provincie della zona di origine, prima per produzione è Parma (1.362.226 forme vs 1.350.415, +0,87%), seguita da Reggio Emilia (1.217.128 forme vs 1.217.380, -0,02%), Modena (877.874 forme vs 860.971, +1,96), Mantova (507.631 forme vs 476.361, +6,56) e Bologna (114.389 forme vs 109.173, +4,77%).
La quota Italia si attesta al 51,3% (osservatorio Sell-In Nielsen). Per quanto riguarda i canali distributivi, la Gdo rimane il primo (65%), seguita dall’industria (18%), che beneficia della crescente popolarità dei prodotti caratterizzati dalla presenza di Parmigiano Reggiano tra gli ingredienti. Il canale Horeca rimane fanalino di coda, e quindi con un enorme potenziale di sviluppo, attestandosi al 7% del totale. Il restante 10% è distribuito negli altri canali di vendita. Le vendite dirette dei caseifici (che si concentrano per oltre l’85% in Italia, pari a circa 9.000 tonnellate) rappresentano il 5,5% delle vendite totali e hanno registrato un forte aumento (+13,0%).
Per il Consorzio, se c’è una certezza che il 2024 ha consolidato è che il futuro del Parmigiano Reggiano è sui mercati internazionali: la quota export rappresenta oggi quasi la metà del totale, il 48,7% (pari a 72.440 t.), con una crescita del +13,7%. Risultati particolarmente positivi sui cinque mercati principali: USA (+13,4%), Francia (+9,1%), Germania (+13,3%), Regno Unito (+17,8%) e Canada (+24,5%). Note positive anche per il Giappone (+6,1%), primo mercato in Asia, e Australia (+28,2%). Con 28,4 milioni di euro investiti per azioni di marketing e comunicazione, Parmigiano Reggiano ha confermato il percorso avviato da alcuni anni per diventare un vero brand iconico globale, pronto ad affrontare gli ostacoli posti da mercati estremamente vasti, ricchi di prodotti d’imitazione e caratterizzati da una marcata confusione al momento dell’acquisto. Il Consorzio sottolinea di lavorare assiduamente per valorizzare la distintività della Dop, fornendo al consumatore più informazioni sulle sue caratteristiche: la stagionatura, la provenienza, il processo produttivo e il gusto, tutti particolari che offrono l’opportunità di differenziarsi dai concorrenti.
Nel prossimo futuro, dovremo sempre più investire sulla crescita nei mercati esteri – dichiara Nicola Bertinelli, Presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano – che rappresentano il futuro della nostra Dop, con una quota export che ha raggiunto quasi la metà del totale, il 48,7%. È obbligatorio creare nuovi spazi nei mercati internazionali e sarà necessario guidare le precondizioni affinché ciò si possa avverare. È evidente come in questo scenario, gli USA, ovvero il nostro primo mercato estero, svolgano un ruolo fondamentale. L’aumento dei dazi sul Parmigiano Reggiano è una notizia che di certo non ci ha rallegrato, ma il nostro è un prodotto premium e l’aumento del prezzo non porta automaticamente a una riduzione dei consumi. Lavoreremo per cercare con la via negoziale di fare capire per quale motivo non ha senso applicare dazi a un prodotto come il nostro che non è in reale concorrenza con i parmesan americani. Con gli USA occorre intavolare un ragionamento sul fatto che non si hanno vantaggi nell’intraprendere una guerra commerciale, né da un lato né dall’altro. Questo dialogo non va condotto bilateralmente dai singoli Paesi, ma dall’Unione Europea. Stiamo attraversando un momento di grande cambiamento, caratterizzato da uno scenario di incertezze legato ai conflitti in essere, da nuovi limiti imposti al libero commercio e da una nuova sensibilità del consumatore che cerca in ciò che mangia quei valori che il nostro prodotto incarna e che deve fare emergere per diventare sempre più una marca globale: non un semplice formaggio, ma uno stile di vita, un’icona del saper fare italiano”.

Export formaggi in Giappone: nel 2024 +14% a volume e +11% a valore

Cresce l’export dei formaggi italiani in Giappone: nel 2024 le nostre produzioni casearie mettono a segno un +14% a volume e un + 11% a valore, a fronte di 12.700 tonnellate esportate nel 2024 – di cui il 40% è Dop – per un valore di 106,9 milioni di euro. Complessivamente l’export dei formaggi Dop e Igp nel Paese del Sol Levante totalizza 53,4 milioni di euro. A fare da traino sono Grana Padano Dop e Parmigiano Reggiano Dop, che insieme registrano un +12% a volume (quasi 2.000 tonnellate esportate per oltre 22 milioni di euro), e i grattugiati con un +87% (1.400 tonnellate esportate). Ma anche Mozzarella di Bufala Campana Dop e Gorgonzola Dop, rispettivamente con 800 e 510 tonnellate.

Lo fa sapere Afidop, Associazione Formaggi Italiani Dop e Igp, in occasione della 50° edizione di Foodex Japan 2025, la più importante manifestazione fieristica agroalimentare in Giappone, in programma a Tokyo dall’11 al 14 marzo 2025. Per l’occasione l’associazione partecipa con i suoi formaggi Asiago Dop, Gorgonzola Dop, Grana Padano Dop, Pecorino Romano Dop e Piave Dop alla serata “The Italian aperitivo”, organizzata il 13 marzo presso l’ambasciata italiana da ICE e Fiere di Parma. All’evento parteciperanno, tra gli altri, il presidente Afidop, Antonio Auricchio, e l’ambasciatore italiano in Giappone, Gianluigi Benedetti.

Il 2024 è stato un anno più che positivo: gli aumenti innescati dal deprezzamento dello Yen nei confronti delle valute straniere nel 2023 non hanno intaccato l’affezione dei giapponesi nei confronti dei nostri formaggi Dop – dichiara Antonio Auricchio, Presidente di Afidop –. Merito della nostra varietà di stili, consistenze e gusto dei nostri prodotti, ma anche della loro versatilità in cucina e del fascino del Made in Italy, da sempre sinonimo di saperi antichi, e di una filiera che offre garanzie di qualità e autenticità. Benché il formaggio non sia parte integrante della cultura giapponese, grazie ai 5.000 ristoranti italiani a Tokyo e a piatti occidentali che spopolano nel Paese come la cacio e pepe, le nostre produzioni casearie stanno vivendo una crescita significativa in Giappone. Il consumo di formaggio è più che raddoppiato dal 1990 ad oggi superando le 300.000 tonnellate, con un trend crescente sui formaggi freschi. Per il futuro vediamo ampi margini di crescita”.

Made in Italy e denominazioni: ne parliamo con Mauro Rosati

Quando Mauro Rosati, nella sua introduzione al XVI Rapporto Ismea-Qualivita sulle In­dicazioni Geografiche, parla di consolidamento della #DopEconomy lo fa a ragione veduta. In qualità di direttore generale della fondazione Qualivita, infatti, gode di un osservatorio privilegiato sul comparto e – negli anni – ha potuto costatarne l’evoluzione. Oggi, spiega dunque, le IG – oltre che volàno dei principali di­stretti agroalimentari italiani (valgono alla produzione 15,2 miliardi e pesano per il 18% sul valore totale agroalimentare) – svolgono pure un ruolo culturale, come megafono del nostro “gastronazionalismo” e come punto di sintesi nei vari distretti sia in termini di promozione, sia in termini di esperienze di viaggio.

A lui abbiamo chiesto quali siano le denominazioni con le migliori prospettive di crescita.

“Diciamo che sono tante le “promesse” nel settore delle IG. Tra le produzioni con le prospettive migliori mi piace ricordare la pasta di Gragnano che attraverso l’IGP ha avuto un rilancio dei volumi. Bene anche l’aceto balsamico, che cresce su tutti i mercati e ha conquistato l’estero, divenendo un prodotto globale. E ottimi risultati pure per il cioccolato di Modica, il primo certificato in Italia e in Europa. Restando in tema dolci, infine, è giusto evidenziare la crescita di prodotti secchi come Cantucci, Panforte e Ricciarelli.

Sempre più apprezzati sono prodotti di nicchia come la burrata di Andria IGP o la Piadina romagnola, prodotto ricercatissimo, quasi iconico, ma con una struttura produttiva ancora fragile e un brand ancora non pienamente utilizzato. Se poi guardiamo all’ortofrutta vediamo un consolidamento delle mele (Valtellina e Val di Non) e delle Arance di Ribera.”

Fonte: Rapporto 2018 Ismea-Qualivita

Cosa può dire delle IG nei trasformati?

E’ un settore ampio, che sta muovendo adesso i primi passi decisivi e che potrebbe dare ancora tantissimo. Penso, per esempio, al segmento delle creme spalmabili, che oggi vede in competizioni tre grandi attori. Se solo si utilizzasse materia prima certificata (e penso alle nocciole), si potrebbe aprire un ulteriore importante sbocco per questa denominazione che fa già registrare una crescita al consumo del 29%. Un po’ come è successo per il pistacchio di Bronte che continua a crescere da anni e che nel 2017 ha segnato +11% sull’anno precedente.

Sempre a proposito di trasformati, voglio ricordare come nuovi lanci nel settore dei minestroni surgelati con cipolla di Tropea IGP, abbiano aperto nuove vie alle denominazioni. Un po’ come è successo con il Radicchio di Treviso in IV gamma: in questo caso l’elevato contenuto di servizio ha contribuito a portare al successo il prodotto.

Quali, invece, i prodotti in crisi?

Tra questi (e purtroppo è storia recente) ricordiamo il Pecorino Romano, consumato prevalentemente in America e utilizzato per il 90% nella trasformazione.

In calo anche il pane tradizionale certificato, penalizzato dalla richiesta sempre maggiore di pane con farine speciali e grani antichi come il Senatore Cappelli. Ed infine l’Olio Extra Vergine di Oliva ad Indicazione Geografica che nonostante un consumatore sempre di più alla ricerca di prodotto italiano non riesce a crescere e trovare un proprio spazio di mercato.

Quali le IG che vanno più forte in horeca?

In primis tutte quelle che possono essere ingredienti per la pizza, oggi piatto sempre più gourmet. Penso per esempio ai Pomodoro del Piennolo del Vesuvio DOP, al Parma o al San Daniele DOP, ma anche allo Speck Alto Adige IGP e alla Mozzarella di Bufala Campana DOP.

E poi, ovviamente, gli hamburgher con chianina IGP, che per i giovani sono un po’ come la fiorentina al ristorante. E sempre in horeca vanno alla grande affettati e salumi e aceti balsamici come condimento: tanto appeal e forte leva di marketing.

Quindi il cibo di qualità ha vinto?

Diciamo che è sulla buona strada: i presupposti perché arrivi nel piatto del consumatore ci sono, anche se è indispensabile rafforzare e rendere costante il connubio tra produzione e distribuzione. Un’alleanza tra industria e ristorazione potrebbe dare ancora tanto di più all’alimentare di qualità.

DOP e IGP in mostra a Bruxelles, per valorizzare l’enogastrnomia italiana

Si è chiusa con successo l’esposizione “Geographical Indications–Italian cultural heritage”, presentata all’interno del Parlamento Europeo a Bruxelles e curata dalla Fondazione Qualivita, in collaborazione con AICIG e Federdoc. La mostra, con l’obiettivo di valorizzare i prodotti DOP IGP italiani attraverso il progetto Qualicultura, si ispira ai valori culturali contenuti nel Regolamento UE n.1151/12 e presenta le Indicazioni Geografiche non solo per le loro qualità e caratteristiche organolettiche uniche, ma per la loro capacità di cristallizzare nella memoria e nella cultura, la storia, i simboli, le arti, la letteratura e molte altre attività.

La cultura è il valore aggiunto delle Indicazioni Geografiche ed in particolare quelle italiane che hanno da sempre mantenuto vivo il loro legame inscindibile con i riferimenti storici dei territori e la tradizione delle loro comunità. Questa esposizione prende spunto dallo studio realizzato da Ismea con la collaborazione della Fondazione Qualivita nell’ambito del programma Rete Rurale nel quale emerge un enorme e prezioso patrimonio di risorse culturali collegate alle DOP IGP italiane: un asset sempre più importante per lo sviluppo delle denominazioni, sia in chiave turistica sia in chiave di marketing per il consumatore finale, che oggi è tenuto vivo soprattutto dai Consorzi di tutela.

La mostra, allestita proprio all’interno del Parlamento Europeo, rappresenta la grande opportunità di ricordare come debba essere centrale l’attenzioneverso il sistema delle DOP IGP -concepito dall’UE nel 1992 per consolidare lo sviluppo rurale e tutelare i prodotti agroalimentari e vitivinicoli -anche per la prossima legislatura, attraverso la riforma della Pac e l’introduzione di interventi migliorativi del sistema.

Nelle prossime settimane l’esposizione sarà spostata a Modica dove Qualivita e il Consorzio Tutela Cioccolato Di Modica si occuperanno dell’allestimento.

DOP e IGP: il Rapporto Ismea-Qualivita conferma il primato italiano

DOP IGP: con 818 Indicazioni Geografiche registrate a livello europeo si rafforza il primato mondiale dell’Italia per numero di prodotti. Ottimi risultati non solo sul fronte meramente numerico, ma anche su quello produttivo: 14,8 miliardi di valore alla produzione e 8,4 miliardi di valore all’export. Dati che testimoniano una crescita del +6% su base annua. In crescita anche i consumi nella GDO del +5,6% per le vendite Food a peso fisso e del +1,8% per il Vino.
Il settore Food

Nel 2016 conta 83.695 operatori (+5% sul 2015), vale 6,6 miliardi di euro alla produzione e 13,6 miliardi al consumo, cresce del +3% sul 2015, facendo registrare, pe quanto concerne l’export, un +4,4%.

Il comparto Wine

Con oltre 3 miliardi di bottiglie, vale 8,2 miliardi di euro alla produzione, cresce del +7,8% e sfiora i 5 miliardi di valore all’export (su un totale di 5,6 miliardi del settore).

Il trend degli ultimi 10 anni

Da due lustri a questa parte si segnala una crescita continua del sistema DOP IGP che ha così affermato il proprio peso economico nel Paese fino a rappresentare l’11% dell’industria alimentare e il 22% dell’export agroalimentare nazionale (nel 2015 era il 21%). Il Sistema delle DOP IGP in Italia garantisce qualità e sicurezza anche attraverso una rete che, alla fine del 2017, conta 264 Consorzi di tutela riconosciuti dal Mipaaf e oltre 10mila interventi annui effettuati dagli Organismi di controllo pubblici.

Uno sguardo ai vari comparti

Il settore dei Formaggi, che conta su 27.933 operatori, è la principale categoria delle DOP e IGP in termini di volume d’affari, con un valore alla produzione che supera i 3,7 miliardi di euro per un’incidenza del 57% sul totale del comparto Food.
Continua a crescere la quantità certificata (+2,9%). La quantità esportata, pari al 34%
della produzione certificata complessiva, mostra risultati che migliorano quelli già eccellenti del 2015: con quasi 1,65 miliardi di euro, l’export cresce del +3,3% e rappresenta il 49% del totale delle esportazioni del comparto Food. Buoni risultati a livello di export per i quattro prodotti che guidano la classifica del valore alla produzione, in ordine: Grana Padano DOP (+4%), Parmigiano Reggiano DOP (+9%), Mozzarella di Bufala Campana DOP (+11%), Gorgonzola DOP (+7%). Tra i prodotti principali, sui fronti produzione certificata e valore al consumo si segnalano trend positivi per Pecorino Romano DOP (+18% e +25%), Pecorino Toscano DOP (+32% e +10%) e Provolone Valpadana DOP (+12% e +9%).

I Prodotti a base di carne rappresentano la seconda categoria delle DOP e IGP per giro d’affari, con un valore alla produzione superiore ai 2 miliardi di euro per un’incidenza del 30% sul totale del comparto Food. Il settore, che conta 4.014 operatori, mostra trend positivi rispetto
al 2015 sia a livello di produzione certificata (+3,2%) che di valore (+10,7% alla produzione, +4,5% al consumo). L’export, che copre una quota del 17% della produzione, riporta ottimi risultati. Il Prosciutto di Parma DOP traina la filiera con oltre il 40% della categoria per quantità e valore alla produzione e quasi il 50% per valore all’export. Le altre grandi produzioni della categoria sono Mortadella Bologna IGP, Prosciutto di San Daniele DOP e Bresaola della Valtellina IGP che, ancora una volta sul fronte export, hanno riportato crescite
in doppia cifra rispetto al 2015. In crescita i valori relativi a Prosciutto Toscano DOP e Prosciutto di Norcia IGP.


Con 111 riconoscimenti i prodotti ortofrutticoli sono la categoria leader per numero di denominazioni. Il primato riguarda anche le quantità certificate – circa 600mila tonnellate. La categoria che vede impiegati 18.829 operatori, registra nel 2016 una flessione del -12% delle quantità certificate rispetto all’anno precedente e una battuta d’arresto ancora maggiore in termini di valore della produzione (-25%). Si evidenzia il ruolo di assoluto rilievo che ricoprono le esportazioni, che assorbono ben il 40% della produzione certificata complessiva del settore. Trainano la categoria i trend della Mela Alto Adige IGP (-15% volume e -33% valore rispetto al 2015) e della Mela Val di Non DOP (-14% volume e -33% valore), che rappresentano da sole l’80% della produzione certificata e il 67% del valore alla produzione.
Tra le altre denominazioni crescite consistenti su base annua per Melone Mantovano IGP (+250% in quantità e +170% in valore), Pistacchio Verde di Bronte DOP (+54% in quantità e +51% in valore) e Cipolla Rossa di Tropea Calabria IGP (+19% in volume e +34% in valore).

La categoria degli Aceti balsamici – che può contare su 650 operatori – mostra nel 2016 dinamiche positive, sia in volume sia in valore.  È l’Aceto Balsamico di Modena IGP a caratterizzare il comparto, rappresentando circa il 99% dei volumi certificati, dei valori alla produzione e dell’export.

Ai 43 Oli di Oliva del 2015 si aggiungono 2 nuove IGP regionali nel 2016 e una nel 2017, con la categoria che raggiunge complessivamente 46 riconoscimenti (42 DOP e 4 IGP). Il settore degli oli extravergini IG risulta fortemente collegato per quantità e valori ai primi tre prodotti della
graduatoria, rispettivamente Toscano IGP, Terre di Bari DOP, e Val di Mazara DOP. Seguono, con una crescita sostenuta, altre due denominazioni storiche: Riviera Ligure DOP e Umbria DOP.

Il valore alla produzione per la categoria delle Carni fresche DOP e IGP nel 2016 supera gli 86 milioni di euro mentre il valore al consumo sfiora i 200 milioni di euro. Le esportazioni di carni fresche certificate rappresentano una ristrettissima nicchia (meno dell’1% del totale della produzione DOP IGP destinata ai mercati esteri), mentre oltre il 40% delle carni fresche DOP IGP è immesso nel mercato nazionale attraverso i canali “Horeca” e “Dettaglio tradizionale” (per le altre categorie del Food IG non si raggiunge il 10% su questi canali). Continua a crescere la grande filiera del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP sia per quantità certificata che per risultati di mercato con un valore al consumo che supera i 134 milioni di euro (+5,1%). Dinamiche altalenanti per i volumi certificati del comparto ovino, cresce l’Agnello di Sardegna IGP (+13%), diminuiscono Abbacchio Romano IGP (-26%) e Agnello del Centro Italia IGP (-6%).

Asiago DOP, al via il nuovo piano che regola l’offerta

Asiago Dop:  diventa operativo – grazie al decreto 1574/2017 del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali – il Piano di Regolazione dell’Offerta del formaggio Asiago, approvato all’unanimità dai caseifici produttori soci per il triennio 2017-2019.

Gli obiettivi

Preservare e, ove possibile, generare nuovo valore per la filiera dell’Asiago DOP garantendo ai produttori un’adeguata remunerazione con una crescente attenzione alla qualità. Sono questi gli obiettivi del nuovo piano di crescita programmata che, partendo dall’adeguamento dell’offerta alla domanda, prosegue nel mantenimento e miglioramento della qualità, a vantaggio dei consumatori. Un impegno che vede il piano triennale 2017-2019 agire in sinergia con gli strumenti di valutazione qualitativa già inseriti nel “piano dei controlli” dell’Asiago DOP ed in particolare con l’analisi sensoriale, diventata, dal 2012, elemento di valutazione cogente per tutti i produttori.

I punti

Il consorzio, che ha avuto modo di sperimentare i vantaggi della programamzione che regola i flussi di domanda e offerta, si trova oggi davanti a importanti novità.

Il nuovo piano, infatti:

  • semplifica il meccanismo di regolazione dell’offerta limitando gli eccessi di stock,
  • valorizza la denominazione “prodotto della montagna” ed ulteriori nicchie, come l’Asiago biologico,
  • punta a rafforzare l’orientamento al mercato con un approccio che premia i produttori impegnati ad esportare Asiago DOP nel mondo.

Più nel dettaglio: il piano triennale si basa su una programmazione trimestrale per Asiago Fresco e semestrale per Asiago Stagionato. Per il primo trimestre 2017, il punto di equilibrio dell’Asiago Fresco sarà di 348.248 forme (peso medio unitario di 14,2 kg); per il primo semestre 2017, per l’Asiago Stagionato, sono previste 135.688 forme dal peso medio di 9,65 kg, ad esclusione del Prodotto della Montagna per il quale è definita, per entrambe le tipologie, un’assegnazione annua simbolica.

“La regolazione dell’offerta ha mostrato, in questo triennio, i suoi effetti positivi; per Asiago Fresco, ad esempio, i margini medi al litro rispetto al prezzo del latte registrati nel triennio del piano produttivo sono stati del 64% superiori rispetto al triennio precedente” – afferma Fiorenzo Rigoni, Presidente del Consorzio di Tutela. “Il nuovo piano -prosegue Rigoni – si limita a creare le condizioni per evitare eccedenze di stock, che avrebbero ripercussioni negative per la filiera produttiva ed i consumatori. Una proficua ed efficace valorizzazione commerciale, atta a non svilire il prezzo del prodotto è, invece, responsabilità delle aziende che, a vario titolo, lo commercializzano.”

I vantaggi per l’export

Il piano 2017-2019 impatta anche sulle esportazioni. Tra il 2009 e il 2016, il fatturato export del formaggio Asiago è cresciuto di oltre il 60%. Una crescita che il Consorzio di Tutela intende continuare ad incentivare attraverso l’azione congiunta con le aziende esportatrici. Da un lato, dunque, un apposito capitolo del piano di programmazione dell’offerta prevede, per i caseifici impegnati a diffondere il prodotto all’estero, un “Bonus Export”, dall’altro il Consorzio di Tutela conferma e rafforza le sue attività all’estero con una particolare attenzione agli USA, al Canada e ai paesi emergenti dell’Asia e dell’America Latina.

Salame di Varzi D.O.P. ambasciatore dell’eccellenza d’Oltrepò nella Grande Distribuzione

Il Salame di Varzi è un’eccellenza a marchio D.O.P. tutta lombarda; un prodotto tradizionale della Valle Staffora nell’Oltrepò Pavese montano. Le sue origini sono leggendarie. Si fanno risalire ai Longobardi quale prodotto versatile ai loro lunghi trasferimenti. Mentre possiamo dire che le prime regole di produzione le diedero i monaci benedettini, che trovarono la giusta combinazione dei vari ingredienti che compongono oggi il Salame di Varzi: il perfetto equilibrio di tutte le parti magre e grasse del suino, sale e infuso di aglio in vino rosso (Bonarda O.P.).

22Il Salame di Varzi è realizzato con carne di suino macinata e sapientemente mescolata a sale marino, pepe in grani e l’infuso. Nella lavorazione del Salame di Varzi, vengono impiegati tutti i tagli di carne, anche le parti migliori come la coscia. La materia prima è attentamente ed accuratamente selezionata per conferire al prodotto stagionato le caratteristiche di morbidezza e profumo che lo contraddistinguono.

13Il periodo di stagionatura varia in funzione della pezzatura del prodotto: la filzetta del peso di 0,5-0,7 kg richiede un periodo di stagionatura di 45 giorni, il filzettone dal 0,7-1 kg di peso ha una stagionatura di 60 giorni mentre il cucito, che viene prodotto con il doppio budello e pesa 1-2 kg, arriva almeno a 180 giorni di stagionatura. Al taglio si presenta di forma allungata (intendendo la forma della fetta del salame che deve essere tagliato a becco di clarinetto), consistenza tenera e colore rosso vivo. Il sapore è tipicamente dolce e delicato e si combina ai profumi ed agli aromi fragranti e caratteristici strettamente condizionati dai tempi di stagionatura. Ricco di proteine nobili e sali minerali, il Salame di Varzi DOP ben si adatta ai moderni stili alimentari e alle diverse occasioni di consumo, arricchendole di gusto e sapore.

191La filiera del Salame di Varzi si stringe attorno al suo Consorzio che oggi vanta 9 Soci dei complessivi 12 produttori. Una produzione di nicchia, che riesce a soddisfare sia l’Ho.re.ca che la Gdo e che per il 2015, ha riportato una crescita della produzione del 4,3% per un totale di circa 420.000 kg. La quantità dei Salami D.O.P. certificati è di 450.139, mentre per il preaffettato sono circa 8.000, con un totale di 66.021 confezioni. Oggi il Salame di Varzi aderisce anche all’Istituto Salumi Italiani Tutelati (Isit).

di Guido Montaldo

Contraffazione delle Dop europee, un mercato parallelo da 4,3 miliardi di euro

Non è solo l’Italian Sounding e il Made in Italy, ma anche le Dop, le denominazioni di origine che interessano i prodotti europei in generale,  a subire i danni della contraffazione. Un mercato che, secondo un nuovo rapporto dell’Euipo, l’ufficio che si occupa di proprietà intellettuale, avrebbe movimentato nel 2015 4,3 miliardi di Euro.

Il rapporto indica anche i settori più colpiti dalla frode: le bevande alcoliche ad esempio con un 12,7%; ortofrutta e cereali con l’11,5 %; carni fresche e derivati all’11 %, formaggi al 10,6%, vini all’8,6% e mentre la birra è colpita solo per lo 0,1%.

Oltre la metà delle contraffazioni a valore (54%) comunque riguarda i vini. Il Paese più colpito è la Francia, non a caso, seguito da Germania e Italia, solo terza (ma ciò riflette anche il valore delle esportazioni alimentari).

La denominazione di origine è un mercato “ricco”, in quanto sempre più i consumatori controllano e richiedono la provenienza degli alimenti che consumano, considerandola come garanzia di qualità ed essendo disposti anche a spendere di più. La contraffazione colpisce naturalmente i marchi più popolari come il vino della regione di Bordeaux o lo Champagne, lo Scotch Whisky e i nostri Parmigiano Reggiano e Prosciutto di Parma.

Consumo pro-capite di prodotti a denominazione per Paese.
Consumo pro-capite di prodotti a denominazione per Paese.

I prodotti a denominazione di origine – si legge nel rapporto – provengono principalmente da Francia, Regno Unito ed Italia, che rispondono per l’86% del totale delle esportazioni extracomunitarie, rispettivamente con il 40%, il 25% e il 21%. In tutti e tre i casi le esportazioni sono trainate da un numero limitato di prodotti/denominazioni: Champagne e Cognac in Francia; Scotch Whisky nel Regno Unito e Grana Padano e Parmigiano Reggiano in Italia.

Top 10 delle Dop europee.
Top 10 delle Dop europee.
Gli USA sono la destinazione principale delle esportazioni, con 3,4 miliardi di euro, di prodotti a denominazione di origine, che sono il 30% del totale, seguiti da Svizzera, Singapore e Canada (839, 829 e 729 milioni di euro).

 

Anche l’Olio Garda Dop a Tuttofood

Il Consorzio di Tutela Olio Garda DOP partecipa a Tuttofood (Pad. 2 Stand U16) in Fiera a Milano. Quattro giorni di fiera per raccontare e far assaggiare l’Olio Garda DOP grazie alla presenza dei produttori e soci del Consorzio di Tutela.
“Tuttofood quest’anno è una presenza per noi importantissima – sottolinea Andrea Bertazzi, Presidente del Consorzio – Milano in questi giorni avrà i riflettori puntati grazie anche alla concomitanza con Expo Milano 2015. Il primo maggio comincerà infatti questo grande evento proprio a pochi passi dal quartiere espositivo. Noi punteremo sul nostro olio DOP, un rappresentante per eccellenza della gastronomia italiana”.
Tuttofood è il primo impegno del Consorzio di Tutela Olio Garda DOP nel periodo di Expo. Tra le altre attività in programma da maggio a ottobre la partecipazione al contenitore di eventi promosso da Expo Veneto per la promozione dei prodotti DOP e IGP della regione (info www.expoveneto.it) e la Rassegna Valtenesi con Gusto e del Pesce di Lago, manifestazione che promuove l’olio del Garda attraverso i ristoratori del lago (info www.expo.bs.it).

Asiago DOP 2014 stabile ma aumentano lo stagionato e il Prodotto della montagna

Una leggera crescita della produzione che però nasconde “movimenti interni” tra le tipologie, frutto di una attenta politica di valorizzazione del prodotto: sono i risultati 2014 di Asiago DOP.  La leggera crescita nelle produzioni totali infatti è passata dalle 1.620.136 forme del 2013 alle 1.626.146 forme del 2014, con un aumento del +0,37%. C’è però stata una sorta di staffetta tra le due principali tipologie di formaggio, che ha visto la riduzione del 3,15% della produzione di Asiago DOP Fresco e l’aumento del 22,79% rispetto al 2013 della produzione di Asiago DOP Stagionato, passato da 219.813 a 269.912 forme.

“I risultati complessivi raggiunti – afferma il Presidente del Consorzio, Roberto Gasparini – permettono di chiudere il 2014 secondo gli obiettivi prefissati garantendo stabilità delle produzioni e dei prezzi. Un obiettivo che il lavoro e le scelte di tutti i soci hanno reso possibile in questo primo anno di applicazione del piano di crescita programmata.”

È andata bene poi la tipologia Asiago DOP Prodotto della Montagna, prima DOP italiana insignita nel 2006 dalla Comunità Europea con tale menzione, realizzata interamente al di sopra dei 600 metri, con solo latte di montagna, che ha aumentato la sua produzione del 38,42% fino a 51.621 le forme. Un risultato coerente con la strategia di valorizzazione che da tempo il Consorzio di Tutela persegue per questo formaggio.

Nel 2015 il Consorzio impegnato in azioni per promuovere anche l’export, che nei primi nove mesi del 2014 ha registrato un + 3,8% di vendite.

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