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Gruppo Alì riconosce 800mila premi ai dipendenti per il 2015

Il 2015 è stato un anno in crescita, con un +8% sull’anno precedente, che ha consentito di superare il tetto del miliardo di euro, e la proprietà di Gruppo Alì ha deciso di premiare i suoi dipendenti, con gratifiche per oltre 800.000 euro che hanno riguardato tutto il personale dell’azienda. Un modo per coinvolgerli e ringraziarli della parte avuto nel raggiungere i buoni risultati, raggiunti nonostante la crisi del settore distributivo.

L’insegna, che conta 108 supermercati in Veneto ed Emilia Romagna e oltre 3.200 dipendenti, da sempre punta su una radicata territorialità, responsabilità sociale, attenzione ai dipendenti e alla comunità locale.

Francesco Canella.
Francesco Canella.

«Di strada ne abbiamo fatta molta da quando, nel 1971, il primo punto vendita con il marchio Alì raggiunse il fatturato di 5 milioni di vecchie lire – commenta il Patron del Gruppo Alì Francesco Canella –. Oggi vogliamo condividere con tutto il personale dell’azienda gli importanti traguardi che abbiamo raggiunto grazie alla fiducia che i clienti ripongono in noi. Per noi è importante ricambiare la loro stima e ringraziare i collaboratori che ogni giorno sono impegnati al nostro fianco e in prima linea nel servizio al cliente».
Per garantire un servizio professionale e di qualità, infatti, solo nell’ultimo anno il gruppo alimentare padovano ha investito 600.000 euro in formazione del personale: dai corsi di primo soccorso e sicurezza alla gestione del punto vendita, dalla selezione delle risorse umane alle tecniche di vendita.

La crescita del gruppo Alì, Associato a Selex Gruppo Commerciale, una media di 3 milioni di scontrini al mese e una quota di mercato del 17%, è da sempre caratterizzata da azioni di responsabilità sociale, per restituire vantaggi al territorio in termini occupazione – sono 300 i nuovi assunti nel 2015 – e solidarietà. Nel 2015, grazie al coinvolgimento di clienti e dipendenti nella raccolta punti legata alle 560.000 Carte Fedeltà, Alì ha raccolto e devoluto oltre 1 milione di euro a sostegno di iniziative benefiche e sponsorizzazioni sociali. Tra i destinatari si annoverano le comunità della Riviera del Brenta colpite dal tornado, l’Istituto Oncologico Veneto IRCCS di Padova, il CUAMM, il Banco Alimentare Veneto, l’Ente Nazionale Protezione Animali del Veneto.

Lavazza punta al mercato francese: accordo con Carte Noire entro fine mese

Secondo l’agenzia stampa Reuters, Lavazza sarebbe pronta ad acquisire entro fine mese, per 750 milioni di euro, l’azienda di caffè francese Carte Noire, diventando così il primo operatore di caffè in Francia, secondo mercato europeo. Lavazza già lo scorso luglio aveva presentato un’offerta vincolante sul marchio francese, e ora, secondo fonti dell’agenzia, l’acquisizione sarebbe dunque imminente.

A febbraio 2015 Carte Noire è stata messa in vendita dal gruppo Mondelez International per cercare di evitare le leggi europee antitrust: era infatti diventato il maggiore marchio mondiale di caffè dopo aver rilevato D.E Master Blenders 1753.

L’acquisizione di Carte Noire, leader nel mercato francese del caffè con circa il 20% di quota nel canale retail, riguarda il mercato europeo che comprende 31 Paesi. La transazione proposta riguarda il canale retail (caffè macinato, cialde filtro e capsule compatibili Nespresso) e l’acquisizione dell’impianto produttivo di Laverune, situato nella regione del Languedoc-Roussillon, che continuerebbe a realizzare i prodotti Carte Noire inclusi nella transazione.

Con questa operazione, “un raro caso in cui – come scrive Reuters – un’azienda italiana è il compratore e non la preda”, Lavazza, settimo produttore di caffè al mondo, intende proporsi con forza sul mercato internazionale anche per evitare di finire assorbito da qualche multinazionale.

«La nostra prima presenza all’estero è stata proprio in Francia, nel 1982. Da allora, quello francese ha rappresentato un mercato molto importante per Lavazza e ci aspettiamo che lo sia sempre di più in futuro – aveva affermato in luglio Alberto Lavazza, presidente dell’azienda-. Con Carte Noire, un’icona francese del caffè con un posizionamento premium unico, un marchio forte e molto noto, la Francia diventerebbe il nostro secondo mercato per dimensioni e importanza».

Lavazza, presente oggi in 90 Paesi nel mondo, ha una quota del 45% nel mercato italiano retail. «L’Italia continuerà a essere il nostro mercato chiave, quartier generale dell’azienda, centro di innovazione e delle nostre produzioni. In Francia, quarto Paese consumatore di caffè a livello globale e secondo a livello europeo, Lavazza ha l’opportunità di raggiungere una posizione di leadership» aveva assicurato, sempre lo scorso luglio, l’amministratore delegato di Lavazza Antonio Baravalle.

Per ora Lavazza non ha commentato l’accordo, che dovrebbe avvenire per metà cash e per metà a debito coinvolgendo probabilmente banche come Intesa Sanpaolo, Bnp Paribas, Rabobank e UniCredit.

Inalca del Gruppo Cremonini acquisisce il marchio Manzotin

Generale Conserve S.p.A., azienda italiana specializzata in conserve alimentari, e Inalca S.p.A., società del Gruppo Cremonini leader in Europa nella produzione di carni bovine, hanno siglato un accordo che regola la cessione a Inalca dello storico marchio di carni in scatola Manzotin.

Manzotin è un marchio con oltre 50 anni di storia nelle carni in scatola italiane, lanciato negli anni ‘60. Grazie alla decisione delle due aziende, l’acquisizione garantisce che il marchio Manzotin continui ad essere un brand Made In Italy a tutti gli effetti. Infatti, da un punto di vista produttivo, le due aziende confermano che il passaggio rappresenta la valorizzazione e l’ottimizzazione della concentrazione delle rispettive filiere verticali.

L’esecuzione finale dell’accordo, che non ha richiesto approfondimenti da parte dell’Antitrust, è prevista entro il mese di marzo.

 

Inalca S.p.A.
La società del Gruppo Cremonini leader europeo nella produzione di carni bovine, è una delle poche aziende italiane a presidiare l’intera filiera produttiva. L’azienda nel 2014 ha realizzato ricavi per 1,49 miliardi di Euro, di cui il 50% realizzato all’estero. Vanta una presenza internazionale con 11 impianti produttivi (di cui 6 in Italia, 2 in Russia, 2 in Angola, 1 in Algeria) e 21 piattaforme logistiche di distribuzione (6 in Russia, 4 in Angola, 3 in Algeria, 3 in Congo, 3 nella Repubblica Democratica del Congo, 1 in Mozambico, 1 in Costa d’Avorio). Inalca commercializza ogni anno oltre 500.000 ton di carne, produce 100.000 ton di hamburger, 200 milioni di scatolette, con 7.200 referenze di prodotto e 3.000 dipendenti.

Generale Conserve S.p.A.
Seconda azienda del mercato tonno olio con quasi il 17% di quota in valore, chiude il 2015 con un fatturato netto di 187 milioni di euro in continuo incremento verso gli anni precedenti. Il fatturato dell’azienda è sviluppato per il 60% circa da marchi propri (ASDOMAR, indiscusso leader nel mercato premium, detiene una quota in valore nel mercato tonno olio totale di circa il 7%), per il restante 40% il da Private Label. A dicembre 2013 il marchio storico della tradizione agro-alimentare italiana, DE RICA è entrato a far parte del portafoglio di Generale Conserve, con l’obiettivo di gestirne l’intera filiera produttiva, così come realizzato per il marchio ASDOMAR.

 

L’articolo è stato pubblicato sul sito www.mixerplanet.com

La top 10 dei rischi più temuti dalle aziende: in testa ancora la Business Interruption

L’interruzione delle attività (Business interruption, BI), non scende dal podio.

Da quattro anni consecutivi, infatti, è il rischio più temuto dalle aziende, che rappresenta rispetto al decennio scorso, una percentuale maggiore delle perdite complessive, e spesso supera ampiamente le perdite materiali dirette.

Seguono a ruota le evoluzioni del mercato, gli incidenti informatici, le catastrofi naturali, i cambiamenti legislativi, le evoluzioni macroeconomiche, la perdita di brand reputation, incendi ed esplosioni, l’instabilità geopolitica furti, frodi e corruzione. Sono questi i risultati dell’Allianz Risk Barometer 2016, il 5° sondaggio annuale sui rischi aziendali pubblicato da Allianz Global Corporate & Specialty (AGCS), che ha contattato oltre 800 risk manager ed esperti nel campo assicurativo di più di 40 Paesi.Schermata 2016-01-19 a 11.34.13

Naturalmente in questa top ten c’è chi sale e chi scende: è infatti sempre più evidente come nel 2016, la percezione del rischio da parte delle imprese stia sostanzialmente cambiando. I rischi tradizionali, come catastrofi naturali o incendi, preoccupano un po’ meno (perdono due posizioni rispetto alla scorsa rilevazione, classificandosi al quarto posto), mentre i timori crescono per l’impatto di altri eventi negativi, come la forte concorrenza di mercato e gli incidenti informatici.

Ben lo dimostra, per esempio, il fatto che per la prima volta, fra i primi tre rischi aziendali, rientrano in seconda posizione “l’Evoluzione del mercato” (34%) e in terza gli “Incidenti informatici” (28%). Questi ultimi sono anche indicati come il più alto rischio per le aziende nei prossimi 10 anni.

“Il panorama dei rischi per le aziende sta mutando poiché molti settori industriali stanno vivendo una trasformazione importante” spiega il CEO di AGCS Chris Fischer Hirs. “Le nuove tecnologie, l’aumento della digitalizzazione e ‘l’Internet delle cose’ stanno modificando il comportamento degli imprenditori e influenzando l’operatività industriale e i modelli di business. Tutto questo apre per le imprese moltissime opportunità, ma vi è la necessità di una risposta ad ampio raggio. In quanto assicuratori, dobbiamo collaborare con i nostri clienti per aiutarli ad affrontare queste nuove sfide in modo completo.”

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Un mercato sfidante

L’evoluzione del mercato è particolarmente sentita in settori come l’engineering, i servizi finanziari, la produzione, il marittimo, il farmaceutico e i trasporti, per i quali si colloca fra i tre principali rischi aziendali. Inoltre rappresenta una delle due principali preoccupazioni in Europa, Asia Pacifico e Africa & Medio Oriente.

Molte aziende si trovano ad affrontare un numero crescente di ostacoli che minacciano la loro redditività e talvolta anche i loro modelli di business.

“Le aziende cercano continuamente di rimanere attrattive con il cliente e di emergere in un ambiente competitivo e in rapida evoluzione, creando nuovi prodotti, servizi o soluzioni innovative”, spiega Bettina Stoob, Head of Innovation di AGCS. “I cicli di innovazione stanno diventando sempre più brevi, le barriere per l’accesso al mercato sono sempre più deboli; la digitalizzazione è in rapido aumento e vengono adottate nuove tecnologie disruptive per contrastare l’ingresso nel mercato di start-up sempre più agili”. Nel contempo, le aziende devono anche far fronte a cambi o novità nella legislazione, e devono così aumentare i requisiti di sicurezza o le limitazioni all’import/export.

Attacchi informatici sempre più sofisticati

Gli incidenti informatici sono aumentati di ben 11 punti percentuali rispetto all’analisi precedente, passando per la prima volta dalla quinta alla terza posizione. Cinque anni fa, nel primo report Allianz Risk Barometer, gli incidenti informatici erano considerati come fattore di rischio da appena l’1% degli intervistati. Secondo l’analisi, a seguito di un incidente informatico le principali cause di perdita economica per le aziende riguardano la perdita di reputazione (69%), l’interruzione delle attività (60%) e la richiesta di indennizzo a seguito di violazione dei dati (52%). Per questo le aziende ne hanno veramente paura. “Gli attacchi degli hacker stanno diventando sempre più mirati, durano più a lungo e possono provocare un’invasione continua” spiega Jens Krickhahn, esperto di assicurazioni informatiche per AGCS. Se gli attacchi informatici stanno aumentando per frequenza e gravità, le aziende non devono sottovalutare la pericolosità di un guasto operativo nei settori altamente digitalizzati e connessi. “Un semplice guasto tecnico o un errore da parte di un utente può dar luogo ad un importante blackout del sistema IT, provocando danni alla produzione o alle supply chain” afferma Volker Muench, esperto AGCS di property underwriting. “Una maggiore attenzione e un migliore controllo dei sistemi sono necessari per evitare grandi perdite informatiche per BI”, dichiara Krickhahn.

 

A Natale spese per alimentari su, regali in promozione, l’e-commerce avanza ancora

È stato un Natale post-crisi e gourmand quello appena passato, con spese sostenute sui beni alimentari “tradizionali” e decisioni oculate sugli altri generi dove si sono concentrati i regali, quali elettronica o abbigliamento, giocattoli e articoli per la casa, dove si è preferito cercare le promozioni e si è fatto ampio uso dell’e-commerce.

Secondo Coldiretti per il cenone (“praticato” dall’82% degli italiani) sono stati spesi quest’anno 2,2 miliardi di euro, mentre Codacons stima una cifra ancora più alta, 2,8 miliardi, il 5% in più del Natale 2014. La spesa generale si aggirerebbe invece intorno ai 10,1 miliardi, +3% sull’anno scorso e in crescita per la prima volta dopo otto anni. A tavola si è cercata la tradizione rifuggendo esotismi e delikatessen fuori stagione: largo dunque a pollame, bolliti, cappelletti in brodo e dolci fatti in casa. Un megapaniere Made in Italy che Coldiretti ha così diviso: 850 milioni di euro sarebbero stati spesi per il pesce e le carni (compresi i contestatissimi salumi), 400 milioni di euro per spumante, vino e bevande, 350 milioni di euro per i dolci (panettone e pandoro con il primo scelto dal 76% degli italiani che “batte” il secondo di quasi dieci punti, tranne al Sud), 300 milioni di euro per verdure, frutta fresca e secca e conserve, 200 per pane e pasta e 100 milioni per formaggi e uova.

Se solo nove italiani su cento hanno trascorso il 25 dicembre al ristorante, è stato boom per gli agriturismi, complice il bel tempo e la voglia di prodotti del territorio e genuini: una scelta attuata da 750mila italiani, il 15% in più dell’anno scorso.

Dall’estero poi arrivano i primi dati sull’ormai giornaliera lotta tra retail tradizionale ed e-commerce, con quest’ultimo che anche quest’anno avanza. Nel Regno Unito le visite in negozio sono diminuite del 9% nei giorni precedenti il Natale, disertati a favore di pub e ristoranti (dati Springboard). Per Barclaycard (che effettua metà delle transazioni via carta di credito) le vendite in negozio nei primi dieci giorni di dicembre sono calate del 2,3% mentre l’e-commerce ha registrato un +9,4%.

Anche il fattore meteo, con temperature ben sopra la media stagionale, non ha aiutato le vendite di articoli prettamente invernali quali cappotti, stivali e maglioni.

L’emorragia di visite (e vendite) nei negozi fisici sarebbe però dovuta anche all’usanza esportata dagli USA e sempre più diffusa (quest’anno è partita anche da noi, anche se ancora in tono minore) delle promozioni del Black Friday/Cyber Monday, appuntamento ormai atteso per concentrare gli acquisti spendendo meno. E chi non ci ha pensato, prosaicamente e laicamente ha pensato di rimandare gli acquisti all’appuntamento successivo, che nei Paesi anglosassoni è il Boxing Day, il 26 dicembre, avvio dei saldi. Anche qui però una larga fetta andrà alle vendite online che si prevede cresceranno del 22%. Da noi per i saldi si dovrà invece aspettare fino al 2 gennaio in Sicilia e al 5 gennaio nel resto d’Italia.

Negli USA le vendite natalizie online secondo Forrester aumentaranno ancora quest’anno di un ulteriore 11% raggiungendo i 95,5 miliardi di dollari. Il successo dell’e-commerce è stato, secondo alcuni analisti, spinto anche dall’uso sempre più diffuso di effettuare ricerche e compere via smartphone, con la possibilità di fare acquisiti in pochi minuti e in qualsiasi momento, approfittando delle promozioni e scegliendo i prezzi più bassi.

A Safe and Sustainable Future, DNV studia il Pianeta guardando al 2050 (infografica)

Si chiama “A Safe and Sustainable Future” lo studio di DNV GL, noto ente di certificazione internazionale, per immaginare lo stato dell’arte del Pianeta nel 2050, dal punto di vista dell’economia, la società e, naturalmente, l’ambiente. In coincidenza con l’avvio dei lavori di Cop 21, la conferenza sul clima dell’ONU in corso da oggi a Parigi, DNV GL ha tracciato il profilo del mondo che ci aspetta se non invertiremo velocemente la rotta.

Nel 2050, il 70% della popolazione vivrà in aree urbane e 3 miliardi di persone saranno destinate alla povertà e a vivere nelle baraccopoli. Il 60% dei principali ecosistemi sarà a rischio; i livelli di diossido di zolfo e di diossido di azoto aumenteranno rispettivamente del 90% e del 50%, causando smog, piogge acide e fuliggine, soprattutto nei Paesi emergenti. Il livello dei mari s’innalzerà da 1 a 2 metri, con milioni di persone obbligate a lasciare le aree costiere dove vivono.

DNV GL Planet under pressure Ambiente

DNV GL - Planet under pressure Società

DNV GL - Planet under pressure Economia

La lista di situazioni ad alto rischio che ci troveremo ad affrontare è lunga. Ma secondo lo studio non è troppo tardi per intervenire. Tanto che gli esperti di DNV GL hanno individuato le 36 barriere fondamentali da aggirare; a partire dall’insufficiente consapevolezza dei singoli, passando per la debolezza dei quadri di riferimento istituzionali, sino ad arrivare alle carenze economiche e tecnologiche specifiche.
«Senza un impegno concreto, prevedere quello che ci aspetta di qui a qualche anno non è difficile. Nei prossimi decenni l’umanità si troverà ad affrontare le sfide più grandi mai incontrate. Abbiamo un’opportunità unica per plasmare un futuro prospero, dove le principali minacce per ambiente, economia e società siano state individuate e contenute, ma non possiamo più aspettare. Dobbiamo agire» ha detto Luca Crisciotti, CEO di DNV GL.
Lo studio si conclude illustrando l’insieme di cambiamenti fondamentali da attuarsi nelle sfere dell’economia, dei sistemi di governance e della società. Come riorganizzare sussidi e incentivi, incorporare le valutazioni ESG (Environmental, Social e Governance) nelle valutazioni finanziarie, rivedere l’urbanistica secondo principi di sostenibilità e definire nuove unità di misura per la crescita oltre al PIL, che non è in grado di esprimere il benessere della nazione o le condizioni dell’ambiente.

Istat: a settembre si fermano le vendite al dettaglio. Bene la grande distribuzione

Battuta d’arresto a settembre per le vendite al dettaglio, che diminuiscono dello 0,1% rispetto ad agosto, ma rispetto al settembre 2014 vi è una crescita dell’1,5% in valore. Nei primi nove mesi dell’anno, dunque, le vendite sono aumentate dello 0,2% in valore.
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Lo afferma l’Istat nella sua rilevazione mensile sull’andamento del commercio al dettaglio. Con riferimento ai primi nove mesi, il valore delle vendite mostra variazioni positive sia per gli alimentari sia per i non alimentari (rispettivamente, +1,5% e +0,5%).

Significative le performance della grande distribuzione che rispetto al mese di settembre 2014 mette a segno una variazione positiva del 3,1% (risultato di un 3,2% per i prodotti alimentari e del 2,9% per quelli non alimentari), mentre si registra una variazione nulla per le imprese operanti su piccole superfici (-0,2% per gli alimentari e +0,1% per i non alimentari).

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Quanto alla tipologia di esercizio della grande distribuzione a settembre 2015 si registrano aumenti del 2,6% per le vendite degli esercizi non specializzati e del 5,3% per quelle degli esercizi specializzati. Tra i primi, aumentano del 2,6% le vendite degli esercizi a prevalenza alimentare e del 3,5% quelle degli esercizi a prevalenza non alimentare.

In particolare, per gli esercizi non specializzati a prevalenza alimentare, si registrano aumenti per tutte le tipologie distributive: ipermercati (+2,7%), supermercati (+2,2%) e discount (+3,6%).

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Per quanto riguarda il valore delle vendite di prodotti non alimentari a settembre 2015 si registrano andamenti piuttosto eterogenei fra i vari gruppi. Le variazioni positive più ampie, in termini tendenziali, riguardano i gruppi di prodotti di Giochi, giocattoli, sport e campeggio (+3,9%) e Abbigliamento e pellicceria (+2,5%). Le flessioni più marcate riguardano i gruppi Cartoleria, libri, giornali e riviste (-2,2%) e Dotazioni per l’informatica, telecomunicazioni e telefonia (-1,1%).

Terzo trimestre “eccellente” per Carrefour. Anche in Italia

Carrefour ha diffuso oggi i dati di vendita consolidati del terzo trimestre e dei primi nove mesi del 2015, che la nota del retailer definisce eccellente, con una crescita organica del 4,2% nel terzo trimestre. Ci soffermiamo però sul periodo più lungo.

Il gruppo ha registrato vendite nei primi nove mesi pari a 63.864 milioni di euro, di cui 33.926 all’internazionale, che cresce più della Francia (a variazione organica: +4,5% contro 1,7%). Nel complesso la crescita delle vendite del gruppo nei nove mesi si assesta su +3,4%. Sfavorevole è l’impatto dell’evoluzione del prezzo dei carburanti: le vendite dei punti vendita con distributore, infatti, registrano risultati inferiori al resto della rete.

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In particolare la Francia nei nove mesi consolida la crescita già positiva nel 2012 e 2013 in tutti i formati (ipermercati compresi): +1,7% la variazione organica e +1,6 a rete confrontabile. Consistenti le performance dei punti vendita di prossimità, anche se, ovviamente, pesano meno del 20% del giro d’affari totale.

Con 33.926 milioni di vedite, l’internazionale fa segnare una crescita organica nei nove mesi del 4,5% e a rete confrontabile del 3,2%, più rallentata in Europa, che vale circa il 50% delle vendita (+1,4 e +1,6 rispettivamente), in forte crescita in America Latina (+15,7% quella organica e +11,6% a rete confrontabile). In asia le vendite in organica sono in discesa dell’8,8%, ma quelle totali rescono dell’8,6% grazie all’impatti favorevole dei cambi.

In Italia si torna a crescere

Per quanto riguarda l’Italia, il terzo trimestre segna una svolta e una forte accelerazione delle vendite: +5,9% a rete confrontabile: 5,6% coprendendo anche la vendita di benzina. Ma le vendite totali crescono del +11,4%. Nei nove mesi il trend è sempre positivo per quanto riguarda le vendite totali (+6%), ma a rete confrontabile hanno ancora il segno meno davanti: -0,2%. La ripresa dei consumi nel terzo trimestre si fa quindi sentire sui conti del colosso d’oltralpe, dopo gli ultimi anni difficili.

Qui potete scaricare il comunicato originale

Censis: i Millenials, giovani che non ti aspetti

Com’è nella sua lunga tradizione di osservatore della società italiana, il Censis nella ricerca «Vita da Millennials: web, new media, startup e molto altro. Nuovi soggetti della ripresa italiana alla prova» realizzata per il Padiglione Italia di Expo 2015 offre una lettura dei giovani assai diversa da quella stereotipata della rappresentazione mediatica che va per la maggiore. I giovani, dice il Censis non nono quelli pigri e apatici così spesso rappresentati. Viceversa sono vitali, pieni di energia, con tanta voglia di fare. Una generazione che a Expo ha partecipato attivamente. Ma siamo distanti dalla “meglio gioventù” degli anni Sessanta e Settanta, perché è forte il senso dell’io, della soggettività nei Millenials, quanto forte era il senso della collettività nei Baby boomers.

Voglia di impresa

Il Censis traccia un profilo dei Millennials contraddistinto da una grande voglia di imprenditorialità. Quasi 32.000 nuove imprese nate nel secondo trimestre del 2015 fanno capo a un under 35, cioè sono nate più di 300 imprese al giorno guidate da giovani, con una crescita del 3,6% rispetto al trimestre prec: edente a fronte del +0,6% riferito al sistema d’impresa complessivo. Un terzo delle imprese avviate nel trimestre è stato fondato da un giovane. Alle barriere di accesso al mercato del lavoro e ai rischi di incaglio nella precarietà, i Millennials italiani hanno opposto una forza vitale partendo da una potenza italiana consolidata: l’imprenditorialità.

Contemporaneamente, sempre riferendosi al rapporto con il lavoro, per il Censis sono 2,3 milioni i Millennials (i giovani di 18-34 anni) che svolgono un lavoro di livello più basso rispetto alla propria qualifica (sono il 46,7% di quelli che lavorano, rispetto al 21,3% dei Baby Boomers di 35-64 anni),

“Pur di entrare nel mondo del lavoro, pur di «stare in partita», tanti Millennials si accontentano di impieghi lontani dal loro percorso di formazione, anche in nero”. E una volta chlavorano, non si tirano indietro: lavorano oltre l’orario (3,8 milioni), spesso senza compenso per gli straordinari (1,1 milioni), spesso anche di notte (1,1 milioni) o in remoto (11,8 milioni).

La frontiera dell’innovazione

Ovviamente riguardo alla tecnologia, i Millennials sono per il 94% utenti di internet, per l’87% attivi sui social network e sono loro ad aver fatto decollare l’e-commerce: il 64% nell’ultimo anno ha acquistato almeno un prodotto o un servizio in rete nell’ultimo anno. Sobrietà e sharing economy vanno a braccetto nella loro quotidianità. Il 31,7% acquista prodotti usati (contro il 14,7% dei Baby Boomers), il 21,9% si sposta regolarmente in bicicletta (fa altrettanto solo il 10,3% dei 35-64enni) e l’8,4% (il 4,1% dei 35-64enni) utilizza il car sharing e il bike sharing.

Sul fronte dei valori espressi e condivisi, sono allo stesso tempo individualisti, solidali e global e sono decisamente proiettati verso il futuro. Il 42,1% di loro contro un dato medio del 20,9% pensa che i gironi moigliori per l’Italia devono ancora arrivare e che il futuro vada costruito con una spinta al cambiamento nel quotidiano.

Cambiare passo per crescere

Qualche perplessità l’analisi del Censis l’ha sollevata, non per la impeccabilità dei numeri, ma per la loro lettura. La voglia di far impresa dei Millenials non è forse frutto proprio di una prospettiva di precarietà tipico di questa generazione alla quale vengono offerti solo lavori camuffati da stage sottopagati, a meno che non si trasformino in micro impresa o lavoratori autonomi? Certo, vivendo in una società più aperta, viaggiano di più, hanno un sistema di valori contraddistinto da un soggettivismo etico, consumano con maggiore sobrietà (ma lo stanno facendo anche milioni di famiglie). Ma riguardo al quadro celebrativo della flessibilità sul lavoro, dello stacanovismo come lo definisce il Censis e dell’imprenditorialità giovanile, come replica naturale del capitalismo molecolare che distingue l’economia italaiana, qualche perplessità resta.

«I dati del Censis sono importanti – afferma una Millennial impegnata in una startup, Barbara Labate, amministratore delegato di Risparmiosuper – perché dà il quadro di un forte ecosistema che sta crescendo in Italia, ma non basta. Stiamo cercando di copiare il modello americano, ma siamo distanti, perché pochi fondi investono nelle startup. Per gran parte di queste nuove aziende un finanziamento di 50 mila euro significa vivere sei mesi, con il risultato che si trasforma in un lavoro a tempo determinato per chi vi è impegnato. Se non si cambia passo, creiamo solo delle nanoaziende che non riescono ad avere una prospettiva di sviluppo internazionale».

Migliora il clima di fiducia tra i cittadini e tra le imprese. Indice Istat ai massimi da due anni

Un altro passo avanti verso la ripresa. Così potrebbe essere letta la rilevazione sul clima di fiducia dei cittadini e delle imprese divulgato oggi dall’Istat.

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L’indice Istat del clima di fiducia dei consumatori aumenta a settembre 2015 a 112,7 da 109,3 del mese precedente. Anche l’indice composito del clima di fiducia delle imprese italiane (Iesi, Istat economic sentiment indicator) sale passando a 106,2 da 103,9 di agosto. Entrambi gli indici permangono ai livelli massimi osservati negli ultimi due anni.

È una fiducia diffusa, quella tra i consumatori, tanto che tutte le componenti sono in ascesa, con un incremento più consistente per quella economica (a 143,2 da 133,1) ma anche per quella personale (a 103,6 da 101,4), quella corrente (a 108,0 da 104,0) e quella futura (a 122,0 da 117,7).

I cosumatori giudicano meglio l’attuale situazone economica del Paese (a -47 da -61) e anche le attese al riguardo salgono nelle stime (a 14 da 6) e contemporaneamente vedono un rallentamento nella crescita dei prezzi sia nei 12 mesi passati sia nei prossimi 12 mesi (a -19 da -14 e a -18 da -14 i saldi). Diminuiscono significativamente le attese di disoccupazione (a 7 da 25).

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Riguardo le imprese, crescono tutti i climi di fiducia: quello del settore manifatturiero (a 104,2 da 102,7), quello delle costruzioni (a 123,3 da 119,5), quello dei servizi di mercato (a 112,2 da 110,0) e quello del commercio al dettaglio (a 108,8 da 107,8).

Nel commercio al dettaglio in particolare, il clima di fiducia sale a 108,8 da 107,8. Aumenta il saldo dei giudizi sulle vendite correnti (a 16 da 14) e diminuisce quello relativo alle aspettative sulle vendite future (a 28 da 29); in diminuzione sono giudicate le scorte di magazzino (a 10 da 12).

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Il clima di fiducia migliora sia nella grande distribuzione (a 106,1 da 105,8) sia in quella tradizionale (a 114,5 da 112,1). Nella prima, aumenta il saldo dei giudizi sulle vendite correnti (a 18 da 16) e diminuisce quello relativo alle aspettative sulle vendite future (a 32 da 35); nella seconda, resta stabile il saldo dei giudizi sulle vendite correnti (a 6) e aumenta quello relativo alle aspettative (a 20 da 14). Quanto, infine, alle scorte di magazzino, il saldo passa a 13 da 15, nella grande distribuzione e a 3 da 4, in quella tradizionale.

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