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Conad Adriatico, fatturato 2015 verso il miliardo, in crescita del 4%

Conad Adriatico, la cooperativa Conad presente in Marche, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Albania e Kosovo, ha chiuso il bilancio 2015 con un utile netto di 4,7 milioni, con un fatturato di 962,8 milioni di euro, in aumento del 4% rispetto al 2014. Il patrimonio netto di Conad Adriatico, che ha la leadership assoluta in Abruzzo, sale a 118 milioni.
«Nel 2016 puntiamo a tagliare il traguardo del miliardo di fatturato di rete – ha detto Antonio Di Ferdinando, riconfermato dal Cda come direttore generale per i prossimi cinque anni – in coerenza con il piano di sviluppo triennale che prevede investimenti per 15 milioni, 63 aperture oltre a due distributori carburanti».

Rafforzate le quote di mercato in Abruzzo e Molise. In Abruzzo il fatturato della rete è incrementato del 3,7%, raggiungendo i 482 milioni di euro, mentre meno positivi sono i risutati della Basilicata.

Il progetto di bilancio approvato al 31 dicembre 2015 sarà sottoposto all’Assemblea dei Soci della Cooperativa il prossimo 22 maggio, con un Bilancio consolidato che porta un utile di 4,7 milioni al netto dei premi di fine anno di 17 milioni erogati ai Soci.

Conad Adriatico ha 273 imprenditori associati, 372 punti vendita (di cui 42 in Albania e Kosovo), 3.946 collaboratori (di cui 244 nella sede centrale).

 

Coop Alleanza 3.0 chiude il 2015 a +1,6%. Restyling per 102 pdv, focus su salute e food

Chiude il 2015 con un fatturato a 4,4 miliardi di euro (+1,6% sul 2014), un utile ante imposte di 19,5 milioni (utile netto a 4,5 milioni) e un patrimonio netto di 2,5 miliardi Coop Alleanza 3.0, la più grande Cooperativa italiana ed europea (per numero di soci) nata il 1° gennaio 2016 dalla fusione di Coop Adriatica, Coop Consumatori Nordest e Coop Estense.
Significativi i risultati della distribuzione dei carburanti: lo scorso anno, gli impianti gestiti dalle tre Cooperative – direttamente o attraverso società controllate – hanno erogato 216 milioni di litri di carburanti (+25,4% sul 2014), con vendite per 271 milioni di euro (+7,27% sull’anno precedente). In questo settore, Coop Alleanza 3.0 nel 2016 opererà attraverso la società Carburanti 3.0, che gestirà tutte le 61 stazioni di servizio.
L’utile ante imposte aggregato (quindi la somma dei risultati delle tre Cooperative unite) è di 19,5 milioni e l’utile netto aggregato ha raggiunto i 4,5 milioni. Questi risultati risentono del fatto che, in un anno straordinario come quello dell’unificazione, si è proceduto a effettuare svalutazioni straordinarie per complessivi 113 milioni di euro, in un’ottica di prudenza e con la volontà di permettere alla nuova Cooperativa di guardare al futuro e a una nuova stagione di sviluppo. Importante segnalare che il patrimonio netto di Coop Alleanza 3.0 raggiunge i 2,5 miliardi di euro, a conferma della solidità della stessa.

104 milioni di investimenti sulla rete

Ad aprile 2016, Coop Alleanza 3.0 – direttamente e attraverso società controllate che operano nel core business – registra vendite in crescita del 2,5% sul 2015; in salita anche le vendite di carburanti, con un aumento dei litri erogati del 20% sul 2015. La Cooperativa ha dato il via inoltre a un importante serie di interventi per lo sviluppo, la ristrutturazione della rete di vendita e per l’innovazione, con investimenti complessivi per 104 milioni di euro. In tutto, saranno coinvolti 102 negozi; solo nei primi quattro mesi dell’anno, gli interventi hanno interessato 22 punti vendita (con 15 nuove aperture e 7 ristrutturazioni), portando il totale dei negozi a 430 (di cui 64 ipermercati). I lavoratori superano, in tutto, le 22.000 unità, il 96% circa dei quali assunti con contratti a tempo indeterminato e sostenuti da programmi di formazione e di welfare.
Il Sud dell’Italia è centrale nel piano di sviluppo con la recente riapertura, dopo la ristrutturazione, di tre ipermercati ad Aprilia (Lt), Avellino e Afragola (Na) e l’inaugurazione del nuovo supermercato di Palermo.
«Coop Alleanza 3.0 è dei soci, e guidata dai soci – dichiara Adriano Turrini, presidente di Coop Alleanza 3.0 – Abbiamo realizzato questa fusione per riuscire a soddisfare in modo sempre più efficace nuovi e vecchi bisogni dei nostri soci. Cambiano le dimensioni e i modi in cui realizziamo il nostro scopo sociale, ma non lo scopo sociale stesso: offrire i migliori prodotti alla miglior qualità e al miglior prezzo possibile. Per questo ci impegniamo ad avere una presenza territoriale sempre più ampia, che va dal paesino di montagna all’isola della laguna veneta, sino alle grandi superfici nelle aree metropolitane: Coop Alleanza 3.0 deve essere presente dove sono presenti i propri soci. La nostra funzione non è puramente commerciale, ma abbiamo una vocazione sociale, e la solidità patrimoniale registrata è garanzia del Prestito sociale e di tutte le nostre attività. Credo, però, che il segnale più importante di questi primi mesi di Coop Alleanza 3.0 sia osservare come i soci abbiano capito e sostenuto una fusione di queste dimensioni, che ha come obiettivo finale quello di essere più grandi e nel contempo più vicini a tutti loro perché più presenti sui territori».

Coop Alleanza 3.0 conta oggi 2.780.000 soci: nel 2015 si sono registrate quasi 110 mila nuove adesioni, e solo nei primi quattro mesi del 2016, i nuovi soci della Cooperativa sono stati più di 48 mila, a conferma dell’ottima accoglienza ricevuta dalla nuova realtà.

Altro caposaldo delle attività previste per il 2016 e per il futuro è la valorizzazione delle produzioni locali grazie agli oltre 3.000 fornitori, suddivisi in 8 settori, dalla carne ai generi vari, dal pesce all’ortofrutta, per più di 3 miliardi di euro di acquisti l’anno. Per sposare al meglio la dimensione nazionale della Cooperativa con i presìdi locali instaurando un rapporto diretto con le specificità produttive e alimentari dei territori, la nuova direzione acquisti della Cooperativa è stata organizzata suddividendo i produttori in 6 poli regionali e dedicando una delle macro aree di settore al “territorio & biodiversità”.
Anche nel 2015 un occhio di riguardo è stato riservato alle iniziative per la tutela dell’ambiente e per la ridurre l’impiego di risorse e i costi energetici grazie ad investimenti su tutta la rete di punti vendita. Al 31 dicembre erano già 71 gli impianti fotovoltaici con un 26% dei consumi elettrici proveniente da energia “verde”.

È previsto un ulteriore sviluppo dei Punti salute, che diventeranno vere e proprie Aree salute e benessere, con oltre 5.700 referenze e superfici fino a 400 metri quadrati. Novità anche per le Aree ristorazione, con un’offerta che supererà quella tradizionale, con yogurteria e gelateria, per seguire i nuovi stili di vita dei consumatori. Infine, ci sarà un’importante riconversione e sviluppo dei negozi di ottica: il piano di estensione porterà, entro la fine del 2018, ad avere 70 corner direttamente gestiti con l’assunzione di 250 ottici diplomati.

Il Prestito continua a essere un istituto apprezzato dai soci prestatori: a fine 2015 i libretti erano 462.677, di cui oltre 12.400 nuovi, per un totale di 4,46 miliardi di euro e quasi 195 mila carte socio attive per i pagamenti.

Il Bilancio 2015 sarà oggetto di approvazione in 214 assemblee separate che prevedono la presenza di circa 80.000 soci e si svolgeranno dal 16 maggio al 3 giugno 2016 in tutti i territori in cui Coop Alleanza 3.0 è presente, e verrà ratificato dall’assemblea generale dei delegati che si terrà il giorno 11 giugno 2016.

Istat, ad aprile prezzi a -0,4% sul 2015, dato peggiore del 2016

L’Istat ha diffuso i dati provvisori per il mese di aprile sull’andamento dei prezzi al consumo: continua (e peggiora) la flessione già registrata a marzo, con un tasso complessivo di inflazione del -0,4% rispetto allo stesso mese del 2015 (era -0,2% a marzo), trainato ancora una volta dal ribasso dei beni energetici (-7,4%).
«L’Italia continua a rimanere in deflazione – commenta Giovanni Cobolli Gigli, Presidente di Federdistribuzione – e la situazione non sembra migliorare. Il dato di aprile è infatti il peggiore dall’inizio del 2016 e uno dei più bassi da molto tempo. Con questi numeri diventa anche più critico il raggiungimento del pur modesto obiettivo di inflazione annua per il 2016 del +0,2%. Anche escludendo l’effetto dei beni energetici, l’inflazione è ferma al +0,3%, sintomo di una domanda ancora debole».
Non sembra funzionare nemmeno l’assunto prezzi bassi=consumi aumentati. Commenta Cobolli Gigli «I consumi permangono in un limbo di crescita modesta (se escludiamo il settore auto, rischiano di essere pericolosamente vicini allo zero) perché le persone vivono ancora un clima di incertezza sul futuro, che frena gli acquisti e induce a ricostituire lo stock di risparmio, precedentemente eroso dalla crisi. Ed è anche su questa “leva immateriale” che occorre agire per tornare a crescere, ricreando sicurezza e fiducia con politiche che configurino un reale cambiamento per il Paese, attraverso la continuazione del programma di riforme, la creazione delle condizioni per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, fornendo più certezze che dubbi sulle pensioni».

Coldiretti lancia l’allarme per le campagne italiane, dove ad aprile sono letteralmente crollati i prezzi: dal -24 % per il grano duro al – 57% per i peperoni, mentre si riducono le quotazioni del 34% per il latte, del 48% per i pomodori e del 54% per le arance “su valori al di sotto dei costi di produzione”. “Se sullo scaffale per i consumatori i prezzi sono praticamente stabili (-0,1%), nelle campagne – sottolinea la Coldiretti – la situazione alla produzione è drammatica. Oggi gli agricoltori devono vendere tre litri di latte per bersi un caffè, 15 chili di grano per comprarne uno di pane e dieci chili di pomodori ciliegini per comprare un pacchetto di sigarette”.
Le cause di questa situazione? L’anticipo dei calendari di maturazione, l’accavallamento dei raccolti, le varietà tardive diventate precoci, con eccesso di offerta prima e crollo della disponibilità: tutti effetti dell’andamento climatico anomalo sulle coltivazioni, che subiscono anche la pressione delle distorsioni di filiera e dal flusso delle importazioni, determinate dagli accordi agevolati. Come nel caso delle condizioni favorevoli concesse al Marocco per pomodoro da mensa, arance, clementine, fragole, cetrioli, zucchine, aglio, olio di oliva, all’Egitto per fragole, uva da tavola, finocchi e carciofi. “L’accordo con il Marocco – sottolinea la Coldiretti – è fortemente contestato dai produttori agricoli perché nel Paese africano è permesso l’uso di pesticidi pericolosi per la salute che sono vietati in Europa, ma anche perché le coltivazioni sono realizzate in condizioni di dumping sociale per il basso costo della manodopera”.
Sul settore agroalimentare pensano anche gli effetti dell’embargo russo, che ha azzerato le esportazioni di ortofrutta, formaggi, carni e salumi Made in Italy, provocando una turbativa che ha messo in crisi decine di migliaia di aziende agricole europee.

Secondo il preliminare Istat, rispetto ad aprile 2015, i prezzi dei beni registrano una flessione stabile a -1,0%, mentre il tasso di crescita dei prezzi dei servizi rallenta (+0,4%, da +0,7% del mese precedente). I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona aumentano dello 0,1% rispetto a marzo e diminuiscono dello 0,2% su base annua (da -0,3% del mese precedente).
I prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto aumentano dello 0,2% in termini congiunturali e diminuiscono dello 0,9% in termini tendenziali (era -1,1% il mese precedente).

Primark, prima battuta d’arresto in 12 anni, Ab Foods si “salva” con lo zucchero

Nel primo semestre dell’anno finanziario terminato il 27 febbraio 2016 e per la prima volta in 12 anni Primark, la catena di abbigliamento low-cost che ha appena debuttato in Italia, segna una (lieve) flessione nelle vendite, a parità di punti vendita: -1%. Lo ha annunciato la “casa madre” Associated British Foods, colosso dell’alimentazione con un forte interesse nello zucchero (e detentore, tra gli altri, del marchio Twinings) che per anni ha contato proprio su Primark per “pareggiare i bilanci”. Ora la questione è un po’ mutata, con vendite nello zucchero che hanno superato le previsioni: +4% di ricavi pretasse a 466 milioni di sterline (589 milioni di euro) contro i 454 milioni di sterline previsti. Dal canto suo Primark ha registrato un profitto operativo in calo dell’1% a 313 milioni di sterline (395 milioni di euro) a causa in parte del cambio sfavorevole con il dollaro con il quale sono effettuati gli acquisti, e in parte da un arretramento delle vendite invernali nel Regno Unito e all’ingente investimento dovuto alla “campagna americana”, con due store aperti nell’ultimo anno e altri sei in programma nel corso del 2016. Le vendite totali sono comunque cresciute del 5% e hanno raggiunto quota 2,7 miliardi di sterline (3,4 miliardi di euro).

Primark per anni ha guidato la crescita di Ab Foods passando da una quota nei profitti della compagnia del 32% nel 2012 all’attuale 59%. Le vendite di zucchero per contro, da anni in declino, hanno beneficiato di un aumento dei prezzi, oltre alle misure di taglio dei costi realizzate dalla compagnia.

George Weston, Chief Executive di Associated British Foods, minimizzando ha dichiarato: “I risultati dimostrano un progresso in tutte le nostre attività nonostante la dinamica dei cambi. Prosegue l’espansione dello spazio di acquisto e vendita con Primark, la riduzione dei costi e i miglioramenti delle prestazioni hanno contribuito  migliorare il risultato dello Zucchero e i margini di profitto sono aumentati nel Grocery e nell’Agricoltura”.

Gli interessi di Ab Foods spaziano dal grocery, dove fornisce private label e marchi nel campo delle bevande, zuccheri e dolcificanti, oli vegetali, pane e prodotti da forno, cibi etnici, erbe e spezie, carni e latticini; nel campo dello zucchero e dell’agricoltura. Opera in 46 Paesi e detiene i marchi AB World Foods (Patak’s e Blue Dragon), ACH, Allied Bakeries, Allied Mills, George Weston Foods, Jordans, Dorset, Ryvita, Speedibake, The Silver Spoon Company, Twinings, Ovaltine, Westmill Foods e Sugar.

 

Randstad Award: Ferrero, Apple e Maserati le aziende più amate dai lavoratori

Randstad Award: Ferrero, Apple e Maserati si sono aggiudicate la palma della vittoria nella sesta edizione, come aziende più attrattive.

Lo studio, commissionato da Randstad all’Istituto belga ICMA e condotto su oltre 200.000 persone in 25 Paesi in modo indipendente (nessuna azienda si può iscrivere volontariamente per partecipare), ha misurato il livello di attrattività percepita da parte dei possibili dipendenti, ovvero quanto e per quali fattori le aziende sono capaci di attirare chi cerca lavoro o chi vuole cambiarlo.

I vincitori

Dai risultati dell’indagine, Ferrero risulta l’azienda italiana più attrattiva come datore di lavoro da parte dei potenziali dipendenti, con il 76,5% delle preferenze (tra tutti coloro che conoscono il brand), una percentuale che vale il primo posto al Randstad Award 2016. Tra i 10 fattori oggetto d’indagine, primaggia in quattro: sicurezza del posto di lavoro, atmosfera di lavoro piacevole, buon equilibrio tra vita professionale e privata, responsabilità sociale d’impresa.

Secondo posto sul podio ad Apple con il 75,4% di preferenze dei lavoratori italiani. L’azienda è apprezzata per buone condizioni economiche della società, formazione di qualità, opportunità di carriera, forte gruppo manageriale, contenuto di lavoro interessate, stipendio competitivo e benefit. Maserati è la terza azienda più ambita dai potenziali dipendenti italiani, scelta dal 72,3% di lavoratori: sebbene non si posizioni al primo posto in nessuno dei fattori, la casa automobilistica di Modena ottiene buoni risultati generali in tutti gli elementi di employer branding.

Analizzando l’area geografica, Ferrero primeggia nel nord e nel sud del Paese, Apple nel centro, Maserati nelle isole. Scomponendo il campione per genere, l’azienda della Nutella è il datore di lavoro più ambito dalle donne, mentre la casa del tridente dagli uomini. Ferrero primeggia anche tra i lavoratori di quasi tutte le età e livelli di istruzione.

Le aspirazioni degli italiani

Il fattore più importante ricercato in un datore di lavoro è rappresentato da retribuzione & benefit, (55% degli intervistati) seguito dalla sicurezza del posto di lavoro (53%) e dall’atmosfera di lavoro piacevole (49%). Poi vengono un buon equilibrio tra vita professionale e privata (43%), buoni condizioni economiche dell’azienda (41%), crescita di opportunità di carriera (38%), contenuto di lavoro interessante (35%), un luogo di lavoro comodo da raggiungere (30%), formazione di qualità (29%) e lavoro flessibile (28%).
Naturalmente poi il sesso e l’età comportano specifiche differenziazioni: le donne  ricercano maggiormente sicurezza del posto, atmosfera piacevole e equilibrio vita professionale-privata, mentre gli uomini sono più attenti alla solidità finanziaria, alle prospettive di carriera e  alla formazione. I giovani sono più orientati alle opportunità di carriera, alla formazione di qualità e all’atmosfera di lavoro piacevole, mentre i più anziani guardano con attenzione alla stabilità finanziaria dell’azienda e alla sicurezza del posto di lavoro. Analizzando i livelli di istruzione, chi ha laurea o master appare più stimolato dal contenuto del lavoro e dalle prospettive di carriera, mentre chi ha un’istruzione inferiore ricerca maggiormente sicurezza del posto, buona atmosfera e accessibilità.

I settori più ambiti
Il più gettonato è quello fashion & luxury (58,8%), seguono media (58,4%) ed elettronica (56,9%). Il dutto, ancora una volta, con le debite differenze: le donne sono più attratte da fashion & luxury, mentre gli uomini preferiscono l’elettronica. I lavoratori con livello di istruzione oltre il master sono orientati verso i media.

Orario di lavoro
Dalla ricerca del Randstad Award emerge che – sebbene in base al contratto i dipendenti dovrebbero lavorare in media 41 ore a settimana per il tempo pieno e 29 ore in media a settimana per il part time – i dipendenti lavorano in media 42 e 31 ore a settimana per tempo pieno e part time. Circa un terzo degli italiani, in maggioranza uomini, dichiara di lavorare più di 40 ore a settimana. Il 46% dei dipendenti è soddisfatto del proprio orario di lavoro attuale, mentre il 45% lavorerebbe di più per uno stipendio più alto e il 2% lavorerebbe di più per la stessa retribuzione. Il 7% lavorerebbe di meno guadagnando di meno.
Ma perché lavorare di più? Una retribuzione superiore è la motivazione indicata dall’83% dei dipendenti. Solo per il 38% al primo posto c’è l’avanzamento di carriera (e specialmente in ottica maschile e dei lavoratori tra i 25 e i 44 anni), per il 22% lo sviluppo personale. Poi vengono anche maggiore influenza sul lavoro, maggiore autostima e una via di fuga dalle attività domestiche.

Chi lavora di meno, invece, lo fa per avere un maggiore tempo libero per sé (74%) e una vita più sana e meno stressante (58%). Dopo vengono l’esigenza di più tempo da passare con i figli (esigenza avvertita più dalle donne), più tempo da dedicare a sport e hobby, più tempo per scuola, studio, formazione, ma anche la volontà di prendersi cura di un familiare, di fare volontariato a scopo sociale o di avviare un’attività in proprio.

Se l’orario flessibile conferma l’elevato gradimento, si va pure affermando lo Smart Working: il 68% dei dipendenti italiani desidera lavorare da casa (tra questi prevalgono i lavoratori più anziani) almeno occasionalmente: di questi il 39% preferirebbe il telelavoro occasionale, il 19% un numero fisso di giorni, il 10% ogni giorno.

Rewe nel 2015 registra il miglior risultato operativo della sua storia

Con 52,4 miliardi di euro (+3,7% sul 2014) nell’anno finanziario 2015 il gruppo tedesco Rewe ha registrato il miglior risultato operativo dalla sua creazione “superando in modo significativo le previsioni per l’anno finanziario” come ha dichiarato il Ceo Alain Caparros alla presentazione dei risultati, non ancora certificati, a Cologna.

Rewe, che ha interessi nella Gdo come nel turismo, ha dichiarato un EBITA di 587 milioni di euro (+12%) e un fatturato in crescita del 2,6% in Germania e del 6,8% negli altri Paesi in cui opera (Italia con il marchio Penny, Francia, Austria, Svizzera ed Europa dell’Est). Il profitto sarebbe cresciuto del 22%.

Penny, il “braccio” discount di Rewe ha generato un fatturato di 4,1 miliardi di euro nei cinque Paesi in cui è presente al di fuori della Germania (Italia, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Romania) con una crescita del 4,2%. È cresciuta anche in Germania, un mercato fortemente competitivo, del 2,8% a 7 miliardi di euro, quando la crescita del segmento è stata l’anno scorso solo dello 0,3%.

Sul fronte retail in Germania i punti vendita dell’azienda hanno registrato un 4,4% in più nelle superfici di grande estensione e del 10,6% nei pdv medi. Il fatturato dei supermercati Rewe (sia a gestione diretta sia in franchising) è aumentati del 5,5% sul 2014.

Una crescita superiore alla media del settore, ma che specie in Germania ha tratto beneficio dall’aumento della spesa dei consumatori, particolarmente nell’ultimo trimestre del 2015. Ma secondo la compagnia anche i numerosi investimenti impiegati nell’ammodernamento della rete (sono investiti 1,3 miliardi di euro) hanno portato a questi risultati straordinari.

 

Esselunga, 2015 in crescita a 7,3 miliardi (+4,3%). E a fine anno debutta a Roma

L'Esselunga di Rozzano, uno dei sei punti vendita aperti ex-novo nel 2015.

Ha il segno più il bilancio 2015 del Gruppo Esselunga, con le vendite in crescita a 7.312 milioni di Euro (+4,3% sul 2014), investimenti per 400 milioni, e un organico medio salito di 795 unità a 21.930 dipendenti.
Il Cda di Esselunga ha esaminato i risultati 2015 così sintetizzati:
Un incremento del fatturato particolarmente significativo in un momento non facile per la Gdo, che vede il mercato di riferimento crescere solo del 2,4% (Fonte IRI).
Il Margine Operativo Lordo, a quota 625 milioni di Euro, è cresciuto del 20% rispetto all’anno precedente (quando si era attestato a 521 milioni). Il Risultato Operativo è stato pari a 431 milioni di euro (+29% rispetto al 2014). Cresce anche l’Utile netto, a 290 milioni di Euro (+37% rispetto ai 212 milioni del 2014). La Posizione Finanziaria Netta passa a -116 milioni di Euro (era di -85 milioni nel 2014).

Come si legge in una nota, “la politica di contenimento dei prezzi, pur a fronte di un incremento dei costi dei fornitori, si è rivelata ancora una volta centrale nella strategia di Esselunga, premiata con una crescita dei clienti del 5%, trainata anche da numerose iniziative promozionali”.
Sul fronte degli investimenti l’insegna ha investito 400 milioni di Euro. Negli ultimi cinque anni sono stati investiti oltre 1,8 miliardi di Euro.
L’organico medio ha raggiunto 21.930 unità con un incremento di 795 persone rispetto al 2014. Il 72% dei dipendenti è in forza con orario full-time e il 92% ha un contratto a tempo indeterminato. Negli ultimi cinque anni l’organico medio è cresciuto di oltre 2.600 persone. Grande è stato il focus sulla formazione professionale e di mestiere, che l’anno scorso ha coinvolto oltre 19.000 dipendenti, per un totale di 380.000 ore. Negli ultimi tre anni sono state erogate al personale complessivamente oltre 1 milione di ore di formazione.

Nel 2015 sono stati aperti sei punti vendita: Milano Via Adriano, Rozzano (MI), Casale Monferrato (AL), Sesto Calende (VA), Soliera (MO). Sono stati demoliti e ricostruiti ampliandoli i negozi di Corte Franca (BS) e Sassuolo (MO) mentre è stato completamente ristrutturato il negozio di Milano Viale Papiniano. Nel 2016 è prevista, tra le altre, l’apertura del primo Superstore a Roma.

Mediobanca fotografa la Gdo 2010-2014 e anche in Italia il discount vince

Eurospin Italia campione di crescita (+48,7%) e di redditività con un roe nel 2014 pari al 24,2%; Esselunga, seconda ma staccata, di efficienza,  con 16mila euro di vendite per metro quadro. Questi i dati che colpiscono a una prima lettura del rapporto “I maggiori gruppi italiani della Gdo alimentare, 2010-2014″ dell’Area Studi Mediobanca. A conferma della forza davvero dirompente del modello discount che non accenna a recedere e vince anche in Italia, oltre che in molti altri Pesi europei (emblematico è il caso del Regno Unito che abbiamo raccontato in vari suoi aspetti).

La fotografia è a dir poco in bianco e nero: tra 2010 e 2014 infatti il fatturato dei maggiori operatori della Gdo italiana è cresciuto  dell’1,5%, ma ha ceduto l’1% nell’ultimo anno. Il contesto italiano risulta contraddistinto da uno scenario particolare e anche contradditorio con una bassa presenza di grandi superfici (1,4% degli esercizi) e un libero servizio che copre il 50% del totale; un’offerta complessiva elevata pari a 226mq ogni mille abitanti, meno della Germania (343 mq), ma davanti a Spagna (, i 193 della Francia e i 99mq del Regno Unito; forte apertura del mercato, con i primi tre operatori della Gdo rappresentano il 34% del mercato contro il 53/54% di Francia e Spagna e il 61% di Germania e Regno Unito.

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Eurospin “vince” su vari fronti: veloce riciclo del magazzino (17,5 giorni), rapido pagamento dei fornitori (67 giorni), bassa incidenza dei costi del personale (5,6% del fatturato), meno della metà della media degli altri operatori, con un fatturato per addetto doppio rispetto ad Esselunga: 650mila euro contro 325mila. Eurospin conta 6.300 dipendenti contro i 21.100 di Esselunga. Dal 2010 Eurospin ha cumulato utili netti per 550 milioni, metà di quanto realizzato da Esselunga che ha toccato 1,1 miliardi. Profondo il rosso di Carrefour: -2,4 miliardi di euro.
Ed è innegabile la sofferenza delle insegne francesi. La perdita di fatturato ha fatto seguito a dinamiche differenti delle strutture commerciali. Dal 2010 Carrefour ha ridotto dell’ 11,1% i punti vendita complessivi (diretti e franchising/affiliazione), passando da 1.302 a 1.158 (-144 unità). Nel caso di Auchan-SMA si è invece avuto un progresso del 2,6%, da 1.827 a 1.875 (+48). Le maggiori espansioni sono segnate da Eurospin Italia (+19,4%) e Coop (+9,3% su base omogenea), seguite da Esselunga (+5,7%). La rete più estesa nel 2014 è quella di Auchan-SMA con 1.875 punti vendita, dei quali oltre l’82% in franchising/affiliazione, formula cui il gruppo francese fa ricorso più estensivo (81,9% del totale), seguito da Carrefour con 1.158 punti (55% circa in franchising/affiliazione) e Eurospin Italia con 1.003 punti (diretti e franchising). Esselunga (149) e Coop (802) gestiscono solo proprietà.
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Sguardo sulle Coop

Il sistema Coop ha chiuso il 2014 con un fatturato aggregato a 11,2 miliardi, in perdita operativa (-0,2% il mon sul fatturato), ma con un risultato corrente (2,6% del fatturato), grazie al contributo della gestione finanziaria (2,8% del fatturato). Sei delle 11 società dell’aggregato Coop hanno chiuso il 2014 con una perdita operativa. Coop Liguria è stata la migliore (mon al 2,7% del fatturato). In cinque anni l’aggregato delle coop ha cumulato utili per 53 milioni, rivenienti da proventi finanziari netti per 1.036 milioni, margini industriali per 136 milioni e proventi non ricorrenti per 194 milioni, a fronte di svalutazioni finanziarie per 814 milioni e imposte per 499 milioni. Unicoop Firenze è la cooperativa di maggiori dimensioni (2,7 miliardi) e quella più efficiente (13.800 euro per mq). Dal 2016 è operativa Coop Alleanza 3.0, fusione di tre precedenti cooperative, con ricavi stimati in 5 miliardi di euro.

Fatturato_aggregate_Coop

Il report esamina sei tra i maggiori Gruppi italiani della Gdo operanti prevalentemente nella distribuzione alimentare al dettaglio: Auchan-SMA; Canova 2007, holding della famiglia Brunelli cui fa capo la Finiper, con i marchi Iper e Unes; Carrefour Italia; Eurospin Italia, catena discount controllata con quote paritetiche del 25% ciascuna dalla cooperativa DAO – Dettaglianti Alimentari Organizzati (Lavis, Tn), Migross (della famiglia veronese Mion), Shop (della famiglia Pozzi, attraverso la Supermarkets Dugan) e Vega (cooperativa di dettaglianti attiva in Veneto e Friuli VG); Supermarkets Italiani della famiglia Caprotti con il marchio Esselunga; e le cooperative di consumatori (nove più due società da esse controllate) operanti a marchio “Coop”.

Una sintesi del rapporto è scaricabile a questo link.

 

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L’ascesa di Poundland e l’evoluzione del discount in Uk

Donne ai vertici di Gdo e largo consumo? Sono solo il 15%

Come sempre ogni anno c’è poco da festeggiare, quando si guardano i numeri. Non è purtroppo una sorpresa scoprire che solo il 14,9% del management esecutivo nelle aziende della grande distribuzione e del largo consumo è donna. Lo rivela uno studio di Esm: The European Supermarket Magazine.

La questione è sempre la stessa: nonostante ormai le donne rappresentino la maggioranza delle laureate (il 60% in Italia nel 2013 secondo Alma Mater) e mediamente si laureano prima e con voti più alti, una volta entrate con il mondo del lavoro la musica cambia. E il soffitto di cristallo è ancora troppo spesso. Secondo l’analisi di Esm infatti meno di una donna su sei è rappresentata nei comitati esecutivi.

Sono state prese in considerazione 150 aziende, a livello globale, della grande distribuzione e del largo consumo, che hanno un totale di 1.354 membri nei comitati esecutivi: di questi, 1.152 (l’85,1%) sono uomini e solo 202 (il 14,9%) donne.

Solo quattro tra le aziende prese in considerazione (ovvero il 2,67%) hanno almeno la metà del comitato esecutivo rappresentato da donne, 13 aziende includono almeno un terzo di donne nel comitato (8,6% delle aziende), e 34 ne hanno almeno un quarto (22,67%). Per contro, ben 55 delle aziende prese in considerazione non  hanno alcuna donna nel comitato esecutivo (36,67%). E questo dopo che ormai da anni (vedi lo studio storico di Catalyst confermato anche recentemente da Dow Jones e dal Peterson Institute for International Economics), i dati rivelano come le aziende che hanno donne nel top management sono quelle più redditizie e che hanno i risultati migliori in Borsa.

Senza parlare del fatto che le donne sono e restano i maggior decisori di acquisto all’interno della famiglia praticamente in tutti i campi, dalla spesa all’automobile, ai prodotti finanziari.

Tra le compagnie più “women-friendly” l’analisi individua Kimberly-Clark (detentore tra gli altri dei marchi Kleenex e Huggies, con cinque donne nel Senior Leadership Team, 62,5%), Diageo (sette donne nel comitato esecutivo, 43,75%); il russo X5 Retail Group (cinque donne nel comitato esecutivo, 38,46%); il retailer svedese Axfood (quattro donne nel comitato esecutivo, 36,36%); L’Oréal (cinque donne nel comitato esecutivo, 31,25%, che ha anche una donna a capo della filiale italiana, Cristina Scocchia), la multinazionale del food General Mills (sette donne nel comitato esecutivo, 31%) e il produttore di prodotti cartacei svedese SCA (sei donne nell’Organisation & Management Team, 30%).

Tra gli amministratori delegati donne si segnalano Indra K. Nooyi di PepsiCo, Alison Cooper di Imperial Tobacco, Annikka Hurme dell’azienda di latticini finlandese Valio, Joanne Denny-Finch della britannica IGD, Denise M. Morrison di Campbell Soup, Siobhán Talbot del gigante del latte irlandese Glanbia e Irene Rosenfeld di Mondelez International.

 

 

Tech: i 10 trend del 2016 secondo Gfk. Così cambieranno i consumi

 

Tech, sempre più tech: il 2016 si prospetta sempre più connesso. Ma quali sono i trend emergenti? Ce lo racconta il report Tech Trends 2016, elaborato da GfK.

I primi, grandi protagonisti saranno gli Invisible analytics: parliamo di tutti quei dati che i consumatori si lasciano alle spalle. Tracce, anche anonime, delle loro interazioni online con le imprese: dagli acquisti (alimentari e non) all’ora in cui usano l’home banking, dagli annunci che hanno visto ai marchi che ricercano. L’analisi di questi dati raccolti in maniera passiva, in qualche modo a “invisibili”, sarà sempre più fondamentale per le aziende che vogliono comprendere a fondo il consumatore e le sue abitudini.

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E poi c’è la Realtà virtuale: negli ultimi anni si è investito molto in questa tecnologia, con lo sviluppo di display montati sulla testa (HMD) per un’esperienza di gioco “immersiva”. Secondo Gfk, il mercato dell’intrattenimento sarà un banco di prova, che consentirà di creare maggiore consapevolezza sulle potenzialità della realtà virtuale. In futuro, la RV potrà essere applicata anche in altri settori, come i viaggi, la vendita al dettaglio e l’istruzione.

Parlando poi di Tecnologie Indossabili sarà il caso di fare un debito distinguo: quelle di fascia alta (Google Glass e Apple Watch ) incuriosiscono, certo, ma non vanno bene per tutte le tasche. Diverso è invece il discorso per contapassi e fitness tracker – che rappresentano da soli circa il 58% del volume delle vendite di wearables in Europa. E che spiegano bene l’evoluzione del settore.

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Smart Home. Secondo uno studio internazionale di GfK, il 50% delle persone pensa che le tecnologie connesse alla “casa intelligente” avranno un impatto significativo sulla vita quotidiana nei prossimi cinque anni. Tuttavia, per essere davvero “smart” la casa del futuro dovrà essere anche semplice e connessa, con tutti i dispositivi in grado di comunicare tra di loro. Al momento la situazione non è così idilliaca, a causa di un mercato frammentato e di numerose criticità in tema di tutela della privacy e protezione dei dati. Per sviluppare pienamente questo settore sarà fondamentale una maggiore collaborazione.

Quanto ai droni, nonostante l’attenzione crescente dei media, essi non sono propriamente una novità. L’utilizzo dei droni a scopi commerciali è già realtà – dalle riprese aeree alla mappatura del paesaggio, dalle consegne commerciali alla distribuzione di aiuti, fino all’agricoltura meccanizzata – ma le potenzialità di questi dispositivi non sono state ancora completamente esplorate.

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Intelligenza artificiale. Home Cube, Power Badge, RankBrain, Hound: termini ancora poco noti, ma a partire dal 2016 potrebbero entrare a far parte del vocabolario della tecnologia di consumo. Secondo il Financial Times, “L’intelligenza artificiale è la tendenza più interessante negli investimenti in start-up dall’avvento dei Big Data”. Colossi come Apple, Facebook e Google stanno già investendo in maniera significativi in questo settore. E a breve potrebbe essere normale avere un assistente personale robotico basato sull’intelligenza artificiale.

Video. Il consumo di video negli ultimi anni è cresciuto oltre ogni previsione, e l’online sta rapidamente diventando il canale privilegiato per questo tipo di contenuti. Il consumatore connesso oggi può guardare contenuti video su qualsiasi piattaforma e in qualsiasi momento, dai brevi clip sui social media, allo streaming di film e alle smart TV. Secondo le ultime previsioni, entro il 2019 circa l’80% di tutto il traffico internet dei consumatori sarà costituito da contenuti video. Un mercato in costante evoluzione e con un potenziale enorme per le imprese.

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Pagamenti da mobile. I consumatori connessi sono sempre più propensi a pagare beni e servizi con il proprio smartphone. Nella realtà, però, la situazione è ancora frammentata: nei mercati maturi permane una certa resistenza, mentre in Asia e Africa c’è molta apertura nei confronti dei pagamenti da mobile. Nel corso del 2016, produttori e rivenditori dovranno 3 confrontarsi sempre di più con questo tema, per riuscire a far fronte alle nuove abitudini di pagamento dei consumatori.

Automobili connesse. L’idea della vettura connessa non è nuova, ma è solo negli ultimi cinque anni – con la diffusione capillare degli smartphone – che è diventata parte dell’esperienza quotidiana. Quasi tutti i produttori di apparecchiature e accessori hanno nel proprio listino dispositivi in grado di connettersi e offrire un’esperienza sempre più ricca per il guidatore.

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Stampa 3D. Anche se non è ancora entrata a far parte della vita quotidiana, la stampa 3D sta diventando una tecnologia sempre più accessibile per consumatori e imprese, grazie anche ai costi sempre più ridotti. Un mercato dal potenziale enorme, che nessuna azienda può permettersi di ignorare.

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